Il denaro, l’amore e il cielo
1° Incontro Lidia Maggi – Vai
2° Incontro Maurizio Marcheselli – Vai
3° Incontro Daniela Leoni – Vai
4° Incontro Luigi Bettazzi – Vai
Lidia Maggi
1. «Sdraiati su letti d’avorio, canterellano al suono dell’arpa» (Amos 6) – La denuncia dei Profeti
I profeti sono i predicatori della Legge, cercano di attualizzare questa parola che è stata consegnata e che rappresenta la carta costituente del popolo di Israele. Comprendono che essa è un dono ed una esigenza, segno della promessa incondizionata e gratuita, ma anche del patto esigente ed impegnativo. Allora la loro considerazione sul denaro è fortemente legata al criterio della giustizia. Pertanto, quando vedono i ricchi che accumulano, opprimendo i miseri e maltrattando i poveri, e pretendono di interpretare il loro successo in termini di benedizione da Dio, lo sguardo acuto e penetrante dei profeti denuncia l’ingiustizia e il tradimento del patto di solidarietà tra il popolo. Il problema non è il denaro, bensì è il suo errato uso, che sfocia nell’idolatria, ossia nel riporre le proprie sicurezze su qualcosa di costruito artificialmente e non in Dio.
Maurizio Marcheselli
2. «Non possiedo né oro, né argento» (Atti 3) – La Chiesa e la ricchezza negli Atti degli Apostoli
Negli “Atti degli Apostoli” Luca indica, tra le note caratteristiche della Chiesa di Gerusalemme, la koinonìa, ossia la comunione fraterna, che è quella solidarietà fraterna che trova la sua espressione più riconoscibile ed evidente nella condivisione di ciò che si possiede e del denaro. Per Luca il fatto che ogni cosa sia in comune è la manifestazione visibile di una dimensione interiore. Se, da un lato, la condivisione non è un punto di partenza, bensì un punto di arrivo, dall’altra lato l’esistenza di un livello profondo conduce ad una prassi che esprime in un modo visibile il livello intimo dell’unità del cuore e dell’anima. Il punto irrinunciabile è che, nell’adesione al Vangelo, una persona non può ritenere che ciò che possiede sia unicamente per sé e per la sua famiglia. Nella visione lucana la ricchezza non può avere una destinazione puramente privata, ma implica inevitabilmente un atteggiamento solidale. La povertà non è bella; invece la solidarietà sì.
Daniela Leoni
3. Rabbi disse: «Fare la carità raffredda la passione per il denaro» – Racconti e detti dei chassidim
Il chassidismo è un movimento “mistico” di rinascita spirituale che si afferma in gran parte dell’Europa orientale nella prima metà del sec. XVIII. I suoi insegnamenti educano i discepoli a vivere nella gioia, ma anche nella carità e nella solidarietà, conducendo una vita tutta spesa nel fervore religioso. Nell’ebraismo i beni materiali non sono ritenuti un male in sé stessi. Essi implicano però la condivisione, che sola custodisce l’uomo dalla brama di possesso e gli permette di servire Dio nella quotidianità della sua esistenza. Intesi diversamente, i beni materiali si traducono in autosufficienza, in dimenticanza della gratuità del dono divino, in empietà del vivere. Il denaro quindi è un grave pericolo: chi lo possiede, deve porre attenzione che esso non si trasformi per lui in un laccio, capace di farlo cadere dal servizio a Dio. Se la ricchezza non può nulla, invece l’elemosina può ottenere benedizioni e grazie senza numero: libera dai peccati e addirittura è capace di salvare dalla morte, perché Dio, che è il soccorritore dei poveri, mai abbandona il povero che grida a lui.
Luigi Bettazzi
4. «Il ricco non si salva» (Matteo 19) – La dottrina sul denaro nei documenti della chiesa contemporanea
Nell’iniziare il Concilio vaticano II, papa Giovanni XXIII ricordava che la Chiesa è sempre stata per i poveri, ma che doveva diventare la Chiesa dei poveri. Cioè: la Chiesa per i poveri è una Chiesa di brave persone, le quali aiutano i poveri – sia quelli vicini a casa che quelli lontani – i quali si sentono sempre degli ospiti nella Chiesa e dei beneficati della Chiesa. Invece devono essere loro i protagonisti della Chiesa, come lo sono stati nella Chiesa primitiva. I poveri sono il sacramento di Cristo, e la Chiesa deve prendere l’ispirazione da Cristo, il quale, essendo ricco, si è fatto povero. L’enciclica “Populorum progressio” (1967) inizia con la frase: «Il nuovo nome della pace è lo sviluppo del popoli». Dopo venti anni l’enciclica, “Sollicitudo rei socialis” (1987) afferma che il nuovo nome della pace è la solidarietà, e che la solidarietà è il nome attuale della carità. E si è cristiani soltanto se si ha la carità e nella misura in cui la si vive.