Letture festive – 173. Attesa – 33a domenica del Tempo ordinario – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
33a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 17 novembre 2024
Dal libro del profeta Daniele – Dn 12,1-3
Dalla lettera agli Ebrei – Eb 10,11-14.18
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 13,24-32
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letture festive 173
Nel libro del profeta Daniele l’attesa viene caratterizzata come un tempo d’angoscia per il fatto di non sapere in anticipo chi potrà salvarsi e questa salvezza viene rappresentata come il trovare scritto il proprio nome in un misterioso libro. L’altra immagine utilizzata è quella del risveglio di molti che si trovano nella regione della polvere, quasi che la morte – polverizzandoli – li avesse fatti tornare alla condizione in cui si trovavano prima della loro stessa creazione. Tutti i risvegliati si troveranno condotti a una condizione di eternità, anche se di segno opposto, perché alcuni – i saggi e coloro che avranno indotto molti alla giustizia – si risveglieranno alla vita eterna, risplendendo come stelle per sempre, mentre altri, invece, alla vergogna e infamia eterna. Quelle del libro e del risveglio dalla regione della polvere possono risultare suggestioni potenti, tanto per con Dio quanto per senza Dio. Questi rimandi al tema dell’attesa di una qualche forma di eternità la richiamano in diversi modi e possono essere collegati a figure recenti di credenti con Dio che però hanno saputo intrecciare un dialogo prezioso con i senza Dio. Si pensi, ad esempio e in particolare, a Carlo Maria Martini e a Michela Murgia. Il primo, secondo la testimonianza riportata nel libro Carlo Maria Martini. Il silenzio della parola da don Damiano Modena, che lo ha assistito nell’ultima fase della sua vita, sei mesi prima della morte nel 2012 avrebbe detto queste parole: «Vorrei dirvi che anche se dall’altra parte non ci fosse nulla, sono felice di aver vissuto questa vita e di averla condivisa con voi». Si tratta, per con Dio e per senza Dio, della splendida testimonianza di un grande credente e della sua fiduciosa convinzione che il vissuto cristiano di un’intera esistenza, condivisa con altri, sia talmente ricco da poter avere in sé un senso e un valore profondo, anche nel caso non esista un Dio e non vi sia un aldilà verso cui rivolgere l’attesa di una qualche forma di propria sopravvivenza individuale. Si potrebbero, inoltre, interpretare queste parole come una prova di quanto sia stato profondo e partecipe da parte di Carlo Maria Martini l’ascolto di quei senza Dio che ha voluto mettere in cattedra, perché potessero prendere la parola, quando ha dato vita a Milano all’iniziativa delle Cattedre dei non credenti. Quanto a Michela Murgia, credente, cattolica, teologa femminista e attivista queer, la sua scelta è stata quella di spendersi consapevolmente nell’attesa di una morte che il decorso della malattia ha consentito di prevedere con dolorosa precisione. Nell’accettare la propria finitezza e nel dedicare il tempo di attesa della morte all’impegno per ciò in cui ha sempre creduto, Michela Murgia ci ha offerto una preziosa testimonianza evangelica su come si possa vivere l’attesa della fine sconfiggendo la disperazione e facendo crescere la speranza, nella convinzione che il mondo, con le persone che lo abiteranno, non finirà insieme a noi e che anzi – anche grazie a noi, al nostro impegno e alla nostra dedizione – avrà la possibilità di essere migliore. Riprendendo i termini utilizzati dal profeta Daniele potremmo quindi dire che il Carlo Maria Martini saggio e la Michela Murgia che ha indotto molti alla giustizia, per molti con Dio e per molti senza Dio sono già scritti nel libro di coloro che si sono risvegliati dalla polvere per entrare in una condizione di eternità nella quale risplendono come stelle nel cielo.
Per l’autore della lettera agli Ebrei l’attesa è quella che lui stesso attribuisce alla figura del Cristo e riguarda ciò che viene indicato come l’essere collocati dei suoi nemici sotto i suoi piedi, con un’immagine che richiama la completa sottomissione dei nemici sconfitti in guerra al loro vincitore. Nella rappresentazione della storia della salvezza di questo autore neotestamentario tutto ciò che di davvero decisivo si doveva compiere in realtà è già avvenuto: Cristo, infatti, ha già offerto l’unico sacrificio necessario e sufficiente per i peccati, rendendo perfetti per sempre coloro che sono stati santificati, avendo ottenuto il perdono. Per questo non c’è più necessità di offerte o sacrifici per i peccati e l’attesa in ultima analisi riguarda unicamente il progressivo sottomettersi dei nemici al Cristo, e cioè il moltiplicarsi nella storia di quei benefici effetti che sono stati prodotti a partire dal diffondersi del messaggio cristiano. Come odierni lettori con Dio o senza Dio di questa pagina neotestamentaria siamo invitati a interrogarci sul significato che questa attesa attribuita al Cristo può assumere per noi e le nostre reazioni e risposte sono probabilmente diverse a seconda se ci troviamo ad essere nella condizione di con Dio o di senza Dio. Un con Dio, infatti, nel porsi davanti alla storia umana con il massimo impegno, sa comunque con certezza che il piano divino culminato in Gesù avrà infine un esito positivo. Ma anche nel caso peggiore – quello di una dissoluzione apocalittica del mondo e di una distruzione catastrofica dell’umanità – un con Dio potrà sempre contare su un recupero di bene in una vita ultraterrena. Per i senza Dio, invece, questa è l’unica vita, l’unica storia e l’unico mondo e quindi il moltiplicarsi nella storia di quei benefici effetti che sono stati prodotti a partire dal diffondersi del messaggio cristiano diventa un’opportunità decisiva da cogliere, in questa vita, in questa storia e in questo mondo, senza che si possa contare su una sorta di piano B da realizzare in caso di fallimento di un iniziale piano A. Ciò non implica ovviamente un atteggiamento di distacco privo di interesse o un comportamento di chiusura egoistica in sé stessi, come se con il singolo individuo finisse il mondo. Al contrario ai credenti senza Dio il messaggio evangelico chiede un supplemento di altruistica disponibilità e di generosa lungimiranza per non far coincidere la propria fine con la fine di tutto e di tutti. Per un senza Dio, quindi, l’attesa attribuita alla figura del Cristo riguarda realizzazioni che richiedono l’impegno di tutti coloro – con Dio o senza Dio – che possono parteciparvi in modo attivo e costruttivo. E pur essendovi le condizioni perché infine le diverse forme del bene prevalgano sulle diverse forme del male, non vi sono garanzie a priori che questo certamente avverrà. L’attesa, da questo punto di vista, si rivolge a un futuro che – in quanto tale e cioè non ancora avvenuto – rimane realmente aperto a diverse e addirittura opposte possibili realizzazioni, ideali e utopiche o tragiche e distopiche.
Le forme di attesa che potremmo riconoscere come delineate in questo passo evangelico di tonalità apocalittica riguardano una molteplicità di oggetti diversi. Per questo – a seconda di quale sia l’oggetto atteso – l’attesa stessa assume significati e valenze piuttosto diverse tra loro ma tutte rilevanti per noi lettori odierni con Dio o senza Dio. L’attesa di tribolazioni e di sconvolgimenti cosmici, infatti, risulta ancora oggi come al tempo dell’evangelista, tanto per con Dio quanto per senza Dio, piena di angoscia e di preoccupazione, anche perché non viene mai indicato con precisione quando si verificheranno questi accadimenti. L’attesa della venuta di una figura celeste di Figlio dell’uomo che arrivi finalmente a radunare i suoi eletti sembrerebbe invece dover coincidere con il desiderio di affrettare per quanto possibile il momento di questo raduno. Il testo, tuttavia, non specifica se ciò venga a coincidere con la morte degli eletti stessi e in questo caso certamente l’attesa dei senza Dio, ma forse anche quella dei con Dio, potrebbe non essere caratterizzata da tutta questa fretta. L’attesa che riguarda il divenire tenero del ramo di fico, un indicatore dello spuntare di foglie tra cui si potranno poi cogliere i frutti, è probabilmente la forma più decisiva e preziosa di attesa tanto per con Dio quanto per senza Dio. Essa, infatti, si associa alla capacità di discernere i segni dei tempi in cui la salvezza si presenta, come offerta da cogliere al momento opportuno, non troppo presto e neppure troppo tardi. Ma a questo punto vale la pena notare come il Gesù di Marco specifichi che non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga, parole che possono essere interpretate in una duplice direzione. Da una parte, infatti, per noi lettori odierni il testo può risuonare come l’annuncio apocalittico di una imminente fine del mondo già al tempo in cui scriveva l’autore evangelico, una fine annunciata ma ovviamente smentita dalla storia che è proseguita fino a noi, una fine annunciata che ritorna periodicamente come monito apocalittico in ogni epoca storica, compresa la nostra. Dall’altra parte, invece, la generazione che non passerà prima che tutto ciò avvenga potrebbe essere intesa, da con Dio e da senza Dio, come il tempo di vita di ciascuna persona in ogni epoca, dagli inizi fino alla fine della storia. Ogni persona, in questo senso, prima che venga la propria fine individuale deve aspettarsi di dover attraversare in qualche modo tutta la gamma di esperienze, tribolazioni e sconvolgimenti, così come ogni generazione deve accettare di essere sottoposta a una sorta di giudizio universale rispetto al modo in cui nel proprio tempo ha orientato la storia dell’umanità e dei viventi su questo pianeta. E il fatto che nessuno sulla terra possa sapere il giorno e l’ora di questi eventi non è poi alla fine così importante, perché anche se cielo e terra passeranno, per i credenti con Dio o senza Dio è sufficiente sapere di potersi attendere con certezza che le parole del vangelo ci accompagneranno sempre e non passeranno mai.