Letture festive – 167. Priorità – 28a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

28a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 13 ottobre 2024
Dal libro della Sapienza – Sap 7,7-11
Dalla lettera agli Ebrei – Eb 4,12-13
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 10,17-30


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letture festive 167

Nel libro della Sapienza ciò che viene implorato nella preghiera viene definito prudenza o sapienza, che potrebbero essere intese come la capacità di riconoscere prima per scegliere poi, tra le varie opzioni possibili, quelle a cui dare la priorità. Ciò vale tanto per i con Dio quanto per i senza Dio e la prima priorità è precisamente quella di saper riconoscere e scegliere questa capacità come decisiva. Ma non si tratta ovviamente di una capacità importante in sé stessa quanto piuttosto per ciò che essa consente e rende vivibile, cioè un’esistenza che sa attribuire il giusto valore e la giusta importanza a tutto ciò che si trova ad affrontare. Per questo la prudenza o sapienza, intesa come capacità di discernere quali siano le priorità del momento, viene annoverata dalla tradizione etico-filosofica e teologica tra le virtù definite cardinali, per il fatto di rappresentare il cardine sul quale si possono inserire altre capacità e virtù collegate. Il brano del libro della Sapienza esalta il valore di questa virtù, ritenendola una incalcolabile ricchezza e sottolineandone la superiorità rispetto a molte realtà ritenute comunemente importanti e preziose: scettri e troni, ricchezze e gemme, oro e argento. L’autore biblico la preferisce a salute, bellezza e luce; lo splendore che viene da lei non tramonta; insieme a lei vengono tutti i beni. Da questo punto di vista, saper riconoscere quando la salute debba avere priorità sembra essere, per l’autore biblico, più importante della salute stessa. Saper attribuire priorità in modo sapiente e adeguato è come lo splendore di una luce che non dovrebbe conoscere tramonto. Tutti i beni vengono insieme a questa virtù, perché sa dare priorità ai beni che di volta in volta lo meritano, dal momento che un bene è veramente tale quando viene accolto e goduto nel momento opportuno. E proprio qui si trova forse una difficoltà che anche oggi possiamo incontrare, come con Dio o come senza Dio: quella di sottovalutare l’importanza di avere chiare, per rispettarle, le priorità di ciò a cui nella vita dobbiamo dare la precedenza rispetto ad altro. Le condizioni spesso incalzanti del nostro vivere quotidiano, infatti, non agevolano la pratica di questa virtù e rischiano di farci cadere, magari per superficialità, in due errori: il primo è quello di perdere di vista quali siano le reali e importanti priorità che, se riconosciute, coltivate e rispettate potrebbero farci vivere al meglio la nostra esistenza; il secondo possibile errore è quello di sbagliare la successione temporale di ciò a cui dovremmo dare priorità, con il risultato di dedicare attenzione a ciò che potrebbe attendere e lasciarci invece sfuggire occasioni preziose. Si tratta di quelle che nel linguaggio biblico ed evangelico sono evocate dal termine kairòs e cioè il presentarsi attuale del momento opportuno, quello nel quale si rende disponibile e accessibile, per con Dio o per senza Dio, l’esperienza di una qualche forma di salvezza.

Questo passaggio folgorante della lettera agli Ebrei sulle caratteristiche della parola di Dio potrebbe essere letto come una descrizione di come questa stessa parola risulti decisiva nella individuazione delle priorità che un’esistenza evangelica dovrebbe cercare di darsi. Analogamente a quanto proposto dal libro della Sapienza in relazione alla virtù della prudenza o sapienza, anche qui la prima priorità consiste nel dare spazio alla parola di Dio nel suo agire come strumento per arrivare a cogliere le vere priorità. In quanto lettori con Dio o senza Dio di questa pagina neotestamentaria siamo invitati a lasciarcene interpellare e attraversare fino a giungere in profondità, come suggerisce l’immagine di una spada che, essendo dotata di lama a doppio taglio, risulta tagliente comunque la si utilizzi. L’azione della parola viene quindi descritta come capace di penetrare fino a ciò che distingue la dimensione psichica da quella spirituale e questa stessa azione della parola può raggiungere ciò che nel credente garantisce connessioni e collegamenti funzionali alla sua esistenza di fede, così come può arrivare anche a toccare le realtà spirituali che al credente sono più interne e intime. E tutto ciò per discernere i sentimenti e i pensieri del cuore. Il fatto che l’occhio di Dio venga descritto dall’autore della lettera nei termini di uno sguardo davanti al quale è impossibile nascondersi e davanti al quale si è responsabili richiama con Dio e senza Dio all’importanza di individuare con cura le proprie priorità per poi rispettarle, nella consapevolezza di doverne rispondere, come minimo, alla propria coscienza. Ma la parola di Dio, per i credenti con Dio o senza Dio che ne riconoscono l’autorevolezza, oltre che invitare a una sincera indagine introspettiva, offre una grande varietà di criteri e di indicazioni, di contenuti e di suggestioni. Tutto ciò può risultare prezioso quando, nel ricercare quali priorità darsi, con Dio e senza Dio cercano di far incontrare e dialogare il proprio mondo interiore con criteri e indicazioni, contenuti e suggestioni provenienti dal messaggio biblico ed evangelico.

La domanda che nel vangelo di Marco innesca un percorso di approfondimento riguardo a quali siano le priorità che dovrebbe darsi il discepolo di Gesù viene posta da un tale, anonimo, che corre incontro a quello che definisce un maestro buono. Il quesito posto a Gesù parte da quali siano le priorità nel da farsi se si ha come priorità il desiderio di ricevere in eredità una vita in pienezza. Anche per noi odierni con Dio o senza Dio la domanda rimane sostanzialmente la medesima e la prima risposta di Gesù ci ricorda che, benché la bontà idealmente appartenga solo al divino, ci si può avvicinare a ciò che consente di ricevere una vita in pienezza cercando di condurre una vita sufficientemente buona, osservando quelle che sono regole etiche universalmente condivise. Se poi qualcuno, con Dio o senza Dio, ritiene di condurre già una vita sufficientemente buona sul piano del rispetto delle regole etiche universalmente valide, allora le priorità possono diventare altre e più alte. Chi si trova in questa condizione, cioè, può decidere di fare un passo ulteriore che consiste nel far diventare una priorità qualcosa che – anche se non è ricompreso tra il bene che a tutti è richiesto – per chi lo sceglie diventa ciò che gli manca, anzi l’unica cosa che manca. Ma anche quando l’invito a compiere questo passo, l’invito a darsi una diversa priorità, è accompagnato da uno sguardo d’amore da parte di Gesù, non è detto che ciò sia sufficiente, soprattutto se questo passo consiste nel separarsi dai propri beni per darli ai poveri e così – essendo diventato a propria volta povero – seguire il cammino proposto da Gesù. Con Dio e senza Dio a questo punto si trovano costretti dalla provocazione evangelica messa da Marco sulla bocca di Gesù a rivedere le proprie priorità in modo radicale. E questa radicalità può facilmente far diventare scuri in volto coloro che – essendo ricchi – tendono spesso a orientare le loro priorità in modo da salvaguardare la propria ricchezza. L’esito di una provocazione evangelica rivolta a un ricco – con Dio o senza Dio – sembra essere spesso quello di un allontanarsi nella tristezza, per aver sperimentato l’inconciliabilità delle priorità evangeliche con le priorità dettate dal possesso delle ricchezze. Il Gesù di Marco che fa notare ai discepoli come sia difficile per un ricco entrare in quel modo di abitare la realtà che i vangeli chiamano Regno di Dio suggerisce come ciò che richiede priorità divergenti da quelle evangeliche possa rappresentare un ostacolo nel cammino del discepolato cristiano. Al ricco che se va via triste Marco contrappone Pietro che, come portavoce dei discepoli, afferma la radicale scelta di priorità che loro hanno compiuto: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Il Gesù di Marco risponde promettendo a chi, lasciando familiari e beni, ha dato priorità al seguire lui una triplice ricompensa: cento volte tanto in beni e familiari (a eccezione del padre, rimpiazzato dal Padre celeste), persecuzioni e una vita senza confini. Sembra delinearsi così un modo evangelico di dare la priorità attraverso una forma di distacco da tutto ciò a cui si ritiene normalmente doveroso dare la priorità (affetti, legami familiari, impegni di lavoro…). Ma questo non porta a una perdita definitiva, bensì a una sorta di ritrovamento di tutto questo nella forma di una restituzione. Questa però deve attraversare quelle che vengono chiamate persecuzioni, prima di arrivare a una modalità di esistenza i cui confini iniziali si ritrovano a essere non ristretti, ma dilatati. Come lettori con Dio o senza Dio di questa pagina neotestamentaria siamo invitati allora a prestare attenzione al modo nel quale ci diamo delle priorità, lasciando che le nostre scelte seguano prioritariamente le dinamiche evangeliche, ne vengano attratte e trovino in esse ispirazione.