Letture festive – 157. Negatività – 19a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

19a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 11 agosto 2024
Dal primo libro dei Re – 1Re 19,4-8
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini – Ef 4,30-5,2
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 6,41-51


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letture festive 157

Nell’esistenza di con Dio e di senza Dio possono presentarsi momenti nei quali tende a prevalere un approccio caratterizzato dalla negatività più radicale, quella che può condurre a ritenere la propria vita come ormai priva di senso o troppo faticosa da portare avanti. Chi attraversa questi momenti può arrivare a coltivare il desiderio di morire o addirittura pensieri di suicidio che a volte vengono concretamente tradotti in pratica. Si tratta in molti casi di persone che soffrono di gravi forme di depressione o che sono lungamente provate da vissuti pesanti o che sono improvvisamente colpite da eventi tragici e a volte del tutto inattesi. La condizione del profeta Elia descritta in questo passo del 1 libro dei Re sembra rientrare tra queste forme di negatività, ma riuscendo infine a evitarne l’esito mortale. Già il suo desiderio di morire, infatti, si esprime paradossalmente in una frase che sembra una preghiera: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Nel racconto biblico dopo queste parole il profeta, spossato da una giornata di cammino nel deserto, si corica e si addormenta, ma questo sonno non si rivela mortale, perché il tocco di un angelo insieme alle parole «Àlzati, mangia!» risveglia il profeta. Questi si trova accanto pane e acqua e dopo aver mangiato si riaddormenta. La scena si ripete e infine il profeta, inizialmente debilitato dal cammino di un solo giorno, con la forza del cibo donato riesce a camminare addirittura quaranta giorni e quaranta notti, compiendo così il proprio esodo. A noi odierni con Dio o senza Dio questa pagina biblica può suggerire un duplice e prezioso insegnamento: riconoscere la negatività nella sua reale portata, ma lasciarci aiutare da chi può risvegliarci e nutrirci per affrontare questa negatività proseguendo il cammino della vita. Ma si tratta di un insegnamento che risuona in modi diversi per con Dio e per senzaDio, dal momento che per i primi un radicale e finale superamento di ogni negatività è già garantito dalle infallibili promesse divine di un mondo ultraterreno senza lacrime. Per questi stessi con Dio, inoltre, vengono garantiti dal medesimo Dio, attraverso i suoi angeli, un risveglio e un nutrimento sufficienti a camminare verso la nuova terra e il nuovo cielo promessi. Per i senza Dio, invece, la percezione delle negatività di questo mondo è più radicalmente drammatica, ma forse anche più dolorosamente realistica, non essendo mitigata dalla originaria bontà e onnipotenza di un Dio creatore e provvidente. I senza Dio, privi di consolazioni o speranze ultraterrene che risultano per loro poco credibili e seguendo in questo l’insegnamento del poeta e filosofo Giacomo Leopardi, si trovano in qualche modo obbligati a prendere sul serio fino in fondo le tante negatività del mondo nella loro dolorosa tragicità. Si pensi, ad esempio, alle sofferenze degli innumerevoli viventi vittime innocenti di violenze praticate da altri viventi; si pensi alle esistenze tormentate senza colpa da gravi malattie o deficit fisici o psichici; si pensi alle gravi ingiustizie sociali ed economiche che colpiscono buona parte della popolazione del pianeta; si pensi agli eventi sfortunati e casuali cui ogni vivente si trova esposto nella sua estrema vulnerabilità; si pensi alla dolorosa irrecuperabilità di tanti errori involontari o inconsapevoli ma anche – per chi è dotato di una coscienza etica – di tante colpe e malvagità, una dolorosa irrecuperabilità che la storia accumula nel trascorrere del tempo. Il tentativo che accomuna credenti con Dio e credenti senza Dio consiste nel provare ad affrontare questa negatività del mondo lasciandosi guidare da una speranza ispirata dal messaggio biblico ed evangelico, anche se questa speranza viene interpretata necessariamente in modi diversi. Si tratta, tra senza Dio e conDio, della differenza che corre tra Il principio speranza del filosofo Ernst Bloch con il suo Ateismo nel cristianesimo e la Teologia della speranza del teologo Jürgen Moltmann. Entrambi – il senza Dio Bloch e il con Dio Moltmann – guardano al futuro cercando di superare la negatività e lo fanno con un approccio che entrambi chiamano speranza. Entrambi come Elia si lasciano toccare, risvegliare e nutrire dall’insegnamento delle Scritture bibliche e – in modi diversi – invitano noi lettori con Dio o senza Dio delle pagine bibliche e delle loro pagine teologiche a fare altrettanto: lasciarci toccare, risvegliare e nutrire dall’insegnamento delle Scritture bibliche, per essere aiutati a fronteggiare le negatività nel miglior modo possibile.

In questo passaggio della lettera agli Efesini troviamo un elenco di quelli che potremmo intendere come indicatori di negatività, che valgono anche oggi per con Dio e per senza Dio: «Asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità». A questi indicatori vengono contrapposti, come fossero indicatori di positività: l’essere «benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandosi a vicenda». L’esortazione dell’autore della lettera a far scomparire da sé questi atteggiamenti e comportamenti negativi viene motivata con un riferimento che potremmo interpretare come trinitario: non rattristare lo Spirito, imitare il Dio che perdona e camminare nella carità nel modo in cui anche Cristo ci ha amati. Nel testo sembra prevalere il carattere di esortazione spirituale e morale a impegnarsi per superare le negatività, ma come lettori odierni con Dio o senza Dio potremmo forse interpretare la presenza o assenza di queste negatività appunto come un indicatore della presenza o assenza di quella pienezza di vita cristiana che qui viene richiamata attraverso i riferimenti trinitari. Se cioè nell’esistenza di noi credenti con Dio o senza Dio si esprime una negatività che si manifesta sotto forma di asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità, allora si può pensare che non siamo ancora realmente inseriti in quella che per i con Dio è la vita trinitaria o che non ci appartiene ancora quell’autenticità di vita evangelica che ne può essere la traduzione per i senza Dio. Se invece nell’esistenza di noi credenti con Dio o senza Dio si esprime una positività che si manifesta nell’essere benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandoci a vicenda, allora si può pensare che siamo già realmente inseriti in quella che per i con Dio è la vita trinitaria o che sostanzialmente già ci appartiene quell’autenticità di vita evangelica che ne può essere la traduzione per i senza Dio. Rimane difficile stabilire quali siano rispettivamente le cause e quali gli effetti perché, tanto per con Dio quanto per senza Dio, si tratta piuttosto di un processo di reciproca influenza tra indicatori di negatività o positività, da una parte, e l’inserimento nella vita trinitaria o l’autenticità di vita evangelica dall’altra parte. E questa reciproca influenza può essere viziosa o virtuosa a seconda che ci irrigidisca in una negatività che ci isola o che ci apra a una positività che avvicina ciascuno di noi agli altri e ci avvicina tutti al Vangelo.

La negatività descritta in questo passo del vangelo di Giovanni è fondamentalmente, per con Dio e per senza Dio, quella che si origina interiormente in qualcuno, quella che poi all’esterno si accresce attraverso le negatività di altri appartenenti al medesimo gruppo e che infine riversandosi su un soggetto terzo (appartenente o meno al medesimo gruppo) può arrivare a negare in diversi modi questo stesso soggetto. Nel caso raccontato dall’evangelista la negatività è quella che nasce dalla mormorazione di quelli che vengono definiti Giudei, i quali negano l’origine celeste di Gesù perché ritengono di conoscerne il padre e la madre. La narrazione giovannea gioca qui sull’ambiguità dello stesso linguaggio religioso e sui fraintendimenti che si producono quando si sovrappongono significati simbolici e dati concreti. L’evangelista qui, attraverso tre frasi messe in bocca allo stesso Gesù, invita anche noi, odierni lettori con Dio o senzaDio, a spostarci dal nostro iniziale punto di vista per arrivare a cogliere l’autentico significato del testo. La prima frase – «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» – ricorda a quei con Dio e a quei senzaDio che si trovassero inseriti in un vortice di negatività che tende a distruggere gli altri, quanto possa rivelarsi importante l’aiuto altrui per sottrarsi alle proprietendenze distruttive e per riuscire infine a disinnescarle. La seconda frase – «io lo risusciterò nell’ultimo giorno» – richiama la necessità di aprirsi (non importa qui se in modo teistico o non-teistico) a una prospettiva di vita più larga e più grande di quella che appare nell’immediatezza del quotidiano. Se infatti con Dio e senza Dio vogliono uscire dalle strettoie della negatività, che in tanti modi finisce per produrre morte e distruggere gli altri, devono riconoscere che questa negazione degli altri e del loro spazio di vita dipende spesso da un modo di guardare alla propria vita troppo ristretto perché vi possa essere spazio per tutti. La terza frase – «I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti» – invita invece con Dio e senza Dio a non dare per scontato che ciò che in passato è stato nutriente possa esserlo per tutti e allo stesso modo anche oggi. Alcuni, invece, anche oggi coltivano nella Chiesa una negatività aggressiva che, con una visione storicamente miope, cerca di legittimarsi facendo appello alla Tradizione dei padri e alla conservazione immutabile di un patrimonio ricevuto una volta per tutte. Con questo obiettivo alcuni vorrebbero distruggere anche quanto di nuovo e inedito nella Chiesa e nel mondo potrebbe risultare nutriente almeno per qualcuno, qualcuno a cui pure il messaggio evangelico sarebbe destinato. Per qualcuno, infatti, conDio o senzaDio, proprio l’incontrare questo nuovo e questo inedito potrebbe forse rappresentare l’unico modo – di cui non dovrebbe essere privato – per potersi nutrire di un pane che dà vita e che in questo modo sconfigge la morte.