Letture festive – 156. Incomprensione – 18a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

18a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 4 agosto 2024
Dal libro dell’Esodo – Es 16,2-4.12-15
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini – Ef 4,17.20-24
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 6,24-35


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letture festive 156

Nel brano di Esodo la mormorazione che ad un certo punto si alza da tutta la comunità degli Israeliti testimonia una radicale incomprensione delle motivazioni e degli obiettivi di Mosè e Aronne: «Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Si potrebbe certamente interpretare questa frase come un occasionale momento di sfogo o come una espressione paradossale, volta a evidenziare il problema della fame che il popolo inizia a soffrire, o ancora come un espediente narrativo dell’autore biblico che si prepara a narrare il dono della manna. Ma in realtà questa frase biblica può interpellare anche oggi con Dio e senza Dio su come possa o debba essere compreso il messaggio di liberazione che, provenendo già dalle pagine veterotestamentarie, diventa uno degli elementi centrali del vangelo. Si tratta infatti di domande decisive per il carattere salvifico e liberante del messaggio biblico e cristiano: questo messaggio produce vita o morte per la moltitudine di viventi che lo accoglie? La destinazione alla quale si potrà arrivare giustifica e compensa il faticoso attraversamento del deserto che si dovrà compiere? Possiamo essere certi dell’adeguatezza di motivazioni, obiettivi e comprensione del messaggio da parte di chi svolge la funzione di guida attraverso il deserto? A queste domande con Dio e senza Dio probabilmente darebbero, almeno su alcuni aspetti, risposte diverse e – proprio per questo – entrambi potrebbero essere tentati di accusarsi reciprocamente di incomprensione riguardo alla verità del vangelo o all’interpretazione del messaggio cristiano o, ancora, riguardo all’essenza e alle condizioni necessarie per una comune vita ecclesiale. Ma – proprio per questo – sarebbe importante che invece questa diversità di risposte venisse da entrambi reciprocamente accettata, come una pluralità legittima nella Chiesa. All’interno di una medesima comunità ecclesiale, infatti, nessuno dovrebbe pretendere di comprendere la verità del messaggio evangelico in un modo che impedisca ad altri di comprenderlo in coscienza diversamente. Le eventuali incomprensioni dell’uno o dell’altro (in particolare riguardo agli aspetti dottrinali del messaggio cristiano) andrebbero perciò reciprocamente accettate e tollerate quando risultino erronee per l’uno ma in coscienza vere per l’altro, essendo in questo caso il presunto errore insuperabile per l’ignoranza invincibile dell’uno o dell’altro. Tornando ora alle tre domande iniziali, da parte loro, i senza Dio dovrebbero quindi accettare che per i con Dio la vita promessa dal messaggio cristiano e la destinazione ultima del cammino attraverso il deserto siano anche e ultimamente la vita eterna dopo la morte e che le guide ecclesiastiche in questo cammino possano essere dei con Dio che condividono queste convinzioni o – nel caso fossero dei senza Dio – che rispettino le convinzioni dei con Dio. Ma, reciprocamente, i con Dio dovrebbero accettare che per i senza Dio la vita promessa dal messaggio cristiano e la destinazione ultima del cammino attraverso il deserto sia compresa diversamente e che le guide ecclesiastiche in questo cammino possano essere dei senza Dio che condividono queste convinzioni o – nel caso fossero dei con Dio – che rispettino le convinzioni dei senza Dio. Se tutto questo nella Chiesa avvenisse davvero, si potrebbe forse rispondere positivamente e in modo concorde alla domanda se valga la pena attraversare il deserto per arrivare alla destinazione (quale che sia). Si potrebbe inoltre rispondere positivamente e in modo concorde anche alla domanda sull’adeguatezza di motivazioni, obiettivi e comprensione del messaggio evangelico da parte delle guide ecclesiali (con Dio o senza Dio che siano). E se tutto questo nella Chiesa avvenisse davvero, forse inizialmente si faticherebbe a comprenderlo, ma alla domanda antica riguardante la manna nel deserto: «Che cos’è?», si potrebbe forse rispondere in modo concorde che questo è il vero pane che, pur nella sua leggerezza, può nutrire la Chiesa e il mondo.

Da questo testo della lettera agli Efesini si potrebbero ricavare le caratteristiche di quella incomprensione fondamentale che minaccia l’esperienza religiosa cristiana di con Dio e di senza Dio. Si tratta dell’incomprensione intellettualistica e dottrinale che fraintende il cristianesimo e la sua verità identificandole con determinati contenuti dottrinali e determinate concezioni teoriche. L’autore della lettera, dopo aver scongiurato i destinatari di non comportarsi più come i pagani, con i loro vani pensieri, argomenta che non così loro, i credenti di Efeso, hanno imparato a conoscere Cristo. Una sua autentica comprensione, infatti, il dargli ascolto davvero e l’essere istruiti in lui, secondo la verità che è nello stesso Gesù, vengono presentati nei termini di un abbandonare l’uomo vecchio, che si corrompe seguendo passioni ingannevoli, per rivestire l’uomo nuovo, che si rinnova nello spirito della mente. Si tratta, quindi, di una conoscenza e comprensione della figura di Cristo Gesù che, non solo per gli Efesini ma anche per gli odierni con Dio e senza Dio, coincide fondamentalmente con una pratica di conversione e di trasformazione del proprio essere umani da un modo definito vecchio a un modo definito nuovo. Si tratta, ancora, di un ascoltare e di un lasciarsi istruire che coincide fondamentalmente con la conversione spirituale della propria mentalità, superando passioni ingannevoli e corruttrici. In questo senso la verità del cristianesimo, correttamente compresa, consiste fondamentalmente in una pratica di conversione e trasformazione del proprio modo di stare al mondo che si ispira alla figura di Gesù raccontata nei vangeli. E per questa ragione, l’interpretazione in termini di contenuti dottrinali del messaggio cristiano ne rappresenta una sostanziale incomprensione. Se invece, da parte di con Dio e di senza Dio, si riconosce come prevalente il carattere pratico e trasformativo del messaggio cristiano rispetto ai suoi aspetti contenutistici e dottrinali, allora si aprono, per con Dio e per senza Dio, notevoli possibilità di convergenza su tanti aspetti e dimensioni della vita cristiana ed ecclesiale, e ci si avvicina a una più autentica comprensione della stessa verità del Vangelo.

L’incomprensione sembra essere un filo rosso che attraversa buona parte del vangelo di Giovanni, a indicare, da una parte, i limiti e le incapacità di comprensione degli interlocutori – con Dio o senza Dio – del Gesù giovanneo, ma anche il carattere non immediato delle sue parole e dei suoi gesti. In questo testo, che consiste in un dialogo tra Gesù e la folla, possiamo trovare tre forme di quella incomprensione tipicamente religiosa che Gesù rimprovera ai suoi interlocutori. Ma anche noi lettori odierni con Dio o senza Dio di questa pagina evangelica siamo messi in guardia rispetto al rischio di cadere nelle medesime forme di incomprensione, anche se oggi forse – più che i senza Dio – corrono questo rischio soprattutto i con Dio. La prima forma di incomprensione religiosa del messaggio cristiano consiste infatti nell’aspettarsi in modo quasi miracoloso un beneficio immediato e concreto (pane mangiato a sazietà) da quella che invece dovrebbe essere una ricerca della figura di Gesù motivata da segni visti o intravisti e quindi da comprendere meglio. La seconda forma di incomprensione vede il cristianesimo come religione concentrata sul dovere di compiere determinate opere in quanto comandate da Dio, trascurando quell’atteggiamento di fede nell’approccio alla figura di Gesù e al messaggio evangelico che dovrebbe invece caratterizzare, in modi diversi, tanto i con Dio quanto i senza Dio. Se infatti la fede dei con Dio è chiamata a rivolgersi a una figura divina realmente esistente, la fede dei senzaDio deve intende sé stessa soprattutto come un modo – ispirato al messaggio evangelico e alla figura di Gesù – di guardare, interpretare e interagire con la realtà, nel suo insieme e nei suoi diversi particolari. La terza forma di incomprensione religiosa consiste nell’intendere il cristianesimo essenzialmente come una religione dei padri e della Tradizione, finendo per assolutizzare, ritenendole intoccabili, quelle che in realtà sono forme religiose storicamente condizionate, già modificate nel corso del tempo e – in quanto tali – modificabili. Una folla che richiede e si aspetta da Gesù una replica del dono della manna, come quella ricevuta dai padri al tempo di Mosè, fatica a riconoscere come nella novità della figura di Gesù sia presente il vero pane del cielo, un pane capace di saziare. Davanti a novità e trasformazioni che possono interessare il cristianesimo odierno, infatti, i senza Dio, essendo già nella condizione di dover reinterpretare radicalmente e in senso non-teistico i contenuti della Tradizione e della religione dei padri, si trovano facilitati. Da parte loro, i con Dio, perlopiù maggiormente legati agli aspetti propri della Tradizione e della religione dei padri, non faticheranno certamente a riconoscere, in quanto ormai acquisita dal cristianesimo odierno, la centralità di quella figura di Gesù che per la folla del racconto evangelico ancora faceva problema. Ma questi stessi con Dio potrebbero, invece, trovare difficoltà nell’accettare e affrontare oggi alcuni dei cambiamenti radicali richiesti con urgenza dalle condizioni del cristianesimo, delle comunità ecclesiali e di questo nostro mondo.