Letture festive – 154. Riunire – 16a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

16a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 21 luglio 2024
Dal libro del profeta Geremia – Ger 23,1-6
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini – Ef 2,13-18
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 6,30-34


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letture festive 154

Far perire e disperdere quel gregge che è il popolo stesso è il peccato capitale che, per bocca del profeta Geremia, il Signore rimprovera ai pastori, specificando i tre modi della loro inadempienza al compito assegnato di riunire e cioè: l’aver disperso, l’aver scacciato, il non essersi preoccupati per le pecore affidate affinché fossero condotte a trovare un pasto sufficiente e adeguato. Sono tre problemi che anche oggi, come con Dio o come senza Dio, possiamo rilevare nella cura pastorale delle comunità cristiane, da parte di coloro che ne sono stati posti alla guida e che riguardano chi spontaneamente si allontana dalla comunità perché non più interessato, chi per un qualche motivo viene allontanato da qualcuno che appartiene alla comunità, chi si allontana perché nessuno all’interno della comunità si è preoccupato di offrire un nutrimento che corrispondesse alle necessità personali. Ma in alcuni casi quelle che appaiono come tre tipologie diverse possono risultare collegate nelle numerose esperienze di allontanamento dall’esperienza ecclesiale. Già nel 1967, l’anno successivo alla conclusione del Concilio, sulla rivista dei gesuiti francesi Christus, François Roustang pubblicava un articolo intitolato Il terzo uomo, per indicare come, in epoca post-conciliare, nella Chiesa Cattolica, insieme al cosiddetto primo uomo, che in nome della tradizione antica aveva opposto resistenza al rinnovamento proposto dal Vaticano II, e al cosiddetto secondo uomo che, al contrario, aveva aderito con convinzione al rinnovamento conciliare, si delineassero i tratti di un cosiddetto terzo uomo. Questi, avendo iniziato a comprendere più chiaramente i contenuti della fede cattolica professata e celebrata in una liturgia che passava dal latino alle lingue moderne, si era accorto che questa fede non risultava più per lui così significativa come aveva pensato fino a quel momento e quindi ne prendeva le distanze, allontanandosi da una Chiesa ritenuta non più necessaria nel cammino personale per diventare più autenticamente umani. Nel 1999 il filosofo Pietro Prini intitolava Lo scisma sommerso il volume nel quale raccontava l’allontanamento per lo più silenzioso ma solo apparentemente indolore di tanti credenti dalla Chiesa cattolica, questa volta credenti che – come il secondo uomo di Roustang – avevano sperato in un rinnovamento ecclesiale lasciato intravedere dal Concilio ma in seguito rimasto incompiuto se non addirittura contrastato dai vertici della Chiesa e ultimamente tradito. Questo progressivo riaffermarsi nella Chiesa dei decenni successivi al Concilio di quello che Roustang chiamava il primo uomo, rispetto al secondo e al terzo ha prodotto abbandoni e fuoriuscite volontarie, espulsioni e allontanamenti imposti dal primo uomo, mancata recezione delle istanze e delle preoccupazioni del secondo e del terzo uomo. Se l’antico profeta Geremia annunciava in futuro pastori capaci di riunire, di nutrire e di non perdere neppure una delle pecore affidate, come odierni con Dio o senza Dio, abbiamo dovuto assistere per diversi decenni e rischiamo tuttora di dover assistere come Chiesa – spesso per responsabilità di pastori inadeguati che sembrano prendersi cura solo del primo uomo – alla dispersione, agli allontanamenti e alla carenza di cibo nutriente per gli altri, che pure, invece, nella Chiesa dovrebbero potersi sentire a casa propria.

Riunire due gruppi contrapposti in una unità superiore è l’auspicabile processo che la lettera agli Efesini sembra descrivere come realizzato in Cristo Gesù. In un contesto ecclesiale di epoca neotestamentaria che si può immaginare popolato di credenti provenienti dalla cultura ellenistica e da credenti provenienti dall’ebraismo, l’autore della lettera indica un cammino che noi odierni lettori potremmo applicare a gruppi potenzialmente contrapposti di credenti con Dio e di credenti senza Dio. I vicini di oggi, così come quelli di ogni epoca del cristianesimo, sono i con Dio, mentre ai senza Dio si addice maggiormente la connotazione di lontani. Ma l’autore della lettera sembra rivolgersi precisamente a questi ultimi, quando scrive “voi che eravate i lontani” e “coloro che erano vicini”. E quel Cristo Gesù, che viene definito come “la nostra pace”, colui al quale si deve l’abbattimento del muro di separazione e di inimicizia, opera attraverso un intervento – l’abolizione di una Legge, fatta di prescrizioni e di decreti – che suppone un cambiamento da parte dei con Dio. La figura di un Gesù che crea in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace e che riconcilia tutti e due con Dio in un solo corpo, sembra voler riunire lontani e vicini soprattutto rimuovendo gli ostacoli creati dai vicini, dai con Dio. Negli odierni contesti ecclesiali, che vedono in molte comunità la presenza prevalente e dichiarata di con Dio accanto a quella per lo più minoritaria e nascosta di senza Dio, questa pagina neotestamentaria potrebbe invitare a una sorta di sbilanciamento delle pratiche di comunione a favore dei cosiddetti lontani e dei senza Dio. Per rendere accessibile a tutti la figura di Gesù, fare spazio alle diversità intra-ecclesiali e riunire tutti coloro che si sentono interpellati dal messaggio evangelico, si dovrebbero rimuovere gli ostacoli posti anzitutto e soprattutto dai con Dio che si considerano i vicini. Questi ultimi, infatti, guide o membri della comunità – attraverso un ricorso più o meno esplicito a quella che ritengono la Legge religiosa, fatta di prescrizioni e di decreti da osservare – sono perennemente tentati di escludere e allontanare, anziché avvicinare e riunire nella comunità, quelli che considerano i lontani e i senza Dio. Ma in questo modo, forse senza accorgersene e forse in buona fede, i cosiddetti vicini, i con Dio, operano nelle comunità cristiane orientandole in direzioni che rischiano di diventare radicalmente antievangeliche e quindi anti-ecclesiali, escludendo e allontanando dalla Chiesa, insieme ai lontani e ai senza Dio, la stessa figura di Gesù e lo stesso messaggio evangelico.

Nel brano di Marco il riunire in un luogo deserto gli apostoli, cioè letteralmente (come indica la parola in greco) gli inviati in missione che sono ritornati, ebbene questo riunire diventa un’azione che Gesù compie per consentire loro di riposarsi, in una situazione nella quale non hanno neppure il tempo di mangiare, e un’azione con la quale Gesù asseconda lo spontaneo riunirsi attorno a lui del gruppo apostolico. Si tratta comunque del riunire un gruppo di persone impegnate in una missione a servizio di altre persone, la grande folla di cui si parla nei versetti successivi, una folla che accorre e addirittura precede a piedi Gesù e gli apostoli nel luogo che loro raggiungono spostandosi in barca. La conclusione piuttosto sorprendente del brano è che Gesù sospende la propria iniziativa di riunire gli apostoli, iniziativa che doveva servire a concedere loro il meritato riposo, per dedicarsi anzitutto all’insegnamento rivolto alla folla che si è riunita intorno a lui e agli apostoli, una folla verso la quale il Gesù di Marco prova compassione, vedendola come pecore che non hanno pastore. Per noi odierni con Dio o senza Dio possono risultare significative tanto questa dinamica del duplice riunirsi del gruppo degli apostoli e della folla quanto la gerarchia d’importanza tra le due forme del riunirsi che l’evangelista sembra suggerire con il comportamento di Gesù. Il gruppo apostolico, infatti, sembra trovare la propria ragione di esistenza in funzione della folla alla quale è inviato a insegnare, al punto che Gesù annulla il riposo inizialmente proposto agli apostoli per dare priorità all’insegnamento rivolto alla folla. Si tratta di un approccio che dovrebbe ispirare anche le pratiche della comunità ecclesiale, subordinando le esigenze degli evangelizzatori al bene superiore degli evangelizzati, con Dio o senza Dio. In realtà, come avviene in molte realtà sociali costituite da con Dio o da senza Dio, anche nella Chiesa i gruppi che la governano tendono quasi inevitabilmente a salvaguardare sé stessi, a perpetuare le proprie prerogative nel tempo e a mantenere, se non addirittura ad accrescere, i meccanismi che garantiscono l’esercizio del potere. In questo modo, si possono verificare, anche nella Chiesa, gli slittamenti che portano un gruppo, come quello degli apostoli, inizialmente riunito per una determinata missione e per il servizio di altre persone, a diventare progressivamente un gruppo di potere che tende a dimenticare significato e obiettivi della propria esistenza come gruppo così come il carattere subordinato delle proprie esigenze. Se (come Chiesa che sa cogliere la provocazione di papa Francesco) riconosciamo di trovarci, come con Dio e come senza Dio, non solo in un’epoca di cambiamento ma nel bel mezzo di un radicale cambiamento d’epoca, allora le domande su come stia realmente affrontando questo cambiamento l’attuale gruppo apostolico che è al vertice e alla guida delle comunità ecclesiali di tutto il mondo e cioè sostanzialmente i vescovi e i preti in quanto ministri ordinati, ebbene queste domande sono legittime, se non doverose. L’impressione, infatti, è che ampi settori del gruppo apostolico attualmente al vertice e alla guida delle comunità ecclesiali di tutto il mondo prima e forse più di avere a cuore la loro missione apostolica siano preoccupati di salvaguardare sé stessi e perpetuare le proprie prerogative, mantenendo i meccanismi che garantiscono l’esercizio del loro potere all’interno del tradizionale sistema ecclesiale. La loro missione, in realtà, sarebbe quella di riunire attraverso un insegnamento rinnovato che sia all’altezza del cambiamento d’epoca, coloro che di questo insegnamento potrebbero beneficiare. Ciò dovrebbe avvenire in un rinnovato sistema ecclesiale che corrisponda al messaggio evangelico e alle condizioni di con Dio e di senza Dio che vivono in questo nostro tempo e abitano questo nostro mondo. Verso con Dio e verso senza Dio le attuali guide della Chiesa dovrebbero allora provare la stessa compassione e avere le stesse priorità del Gesù di Marco, che sceglie di riunire – anziché gli apostoli affaticati – le pecore senza pastore bisognose di sentirsi rivolgere un nuovo insegnamento.