Letture festive – 149. Crescere – 11a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

11a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 16 giugno 2024
Dal libro del profeta Ezechièle – Ez 17,22-24
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 2Cor 5,6-10
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 4,26-34


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letture festive 149

Crescere è qualcosa che accomuna il mondo animale e umano dei con Dio e dei senza Dio al mondo vegetale. E precisamente dal mondo vegetale il profeta Ezechiele ricava l’immagine utilizzata nel suo testo profetico. Ma l’agire divino descritto dal profeta si caratterizza in realtà per interventi di discontinuità provocati in dinamismi del crescere che potremmo definire naturali. Il Signore Dio, infatti, prende un ramoscello dalle punte dei rami di un albero di cedro già cresciuto, lo toglie e lo trapianta su qualcosa di già alto e imponente, realmente o simbolicamente, il monte di Israele (forse il monte del tempio), qualcosa, peraltro, di minerale e non di vegetale. Qui il piccolo ramoscello – dice il profeta – metterà rami e farà frutti, diventando un magnifico cedro, grande e capace di offrire dimora e accoglienza ai volatili. Questo intervento che fa crescere trova poi una sorta di prolungamento in interventi capaci di sostenere quei modi di crescere che incontrano difficoltà – come quando si parla di innalzare l’albero basso – o persino in interventi capaci di far ripartire un crescere apparentemente impossibile – come quando si parla di far germogliare l’albero secco. Ma a questi interventi divini che promuovono il crescere si intrecciano e in parte si contrappongono interventi che si muovono in direzioni almeno apparentemente contrarie: interventi di un Signore Dio che umilia l’albero alto e fa seccare l’albero verde. Se i con Dio sono invitati da questa pagina a interrogarsi sul significato da attribuire agli interventi di Dio nelle proprie esistenze e nella storia, i senza Dio – ma forse anche i con Dio – possono indagare quali significati attribuire alle vicende e alle esperienze che nelle proprie vite e nella storia promuovono il crescere o, al contrario, vi si oppongono. Così, guidati dalle parole del profeta, si potranno ricercare i luoghi, gli eventi e le esperienze, nelle quali qualcosa di piccolo viene trapiantato in un luogo che ne valorizza e fa crescere le grandi potenzialità; si potranno riconoscere le esperienze di crescita che rappresentano spazi e tempi accoglienti per chiunque le voglia abitare; ci si potrà interrogare su cosa possa aiutare un crescere che appare troppo debole e stentato; si potrà coltivare la speranza che anche un crescere apparentemente concluso in modo definitivo dalla morte possa – in modo inatteso – riprendere vita. Ma con Dio e senza Dio sono interpellati da questa pagina profetica anche su quali siano le altezze alle quali punta un crescere che andrebbe invece ridimensionato, opponendovi forse un saggio e lungimirante decrescere. O addirittura quali siano gli alberi già troppo rigogliosi e apparentemente destinati a crescere ulteriormente dei quali dovremmo, come con Dio e come senza Dio, augurarci invece il rapido e completo disseccamento: l’albero delle guerre e quello delle violenze; l’albero delle ingiustizie e quello delle diseguaglianze sociali; l’albero dello sfruttamento indiscriminato del pianeta e quello delle sofferenze non necessarie inflitte agli animali.

Nel cammino dell’esperienza cristiana di con Dio e di senza Dio il crescere non coincide mai con quello che si potrebbe immaginare come un semplice processo di aumento, accumulo ed espansione. In questo testo tratto dalla seconda lettera di Paolo ai cristiani di Corinto, ad esempio, l’autentico crescere dei credenti coincide in realtà con la capacità – che dovrebbe crescere nel tempo – di gestire con equilibro e in modo dinamico le relazioni tra aspetti, elementi e dimensioni diverse e che si trovano tra loro in una sorta di inevitabile tensione, anche se ultimamente protese verso un crescere. Se per i con Dio la dinamica del crescere delineata da Paolo può essere interpretata agevolmente come tensione verso un compimento futuro e ultraterreno, caratterizzato dalla visione escatologica, dall’abitare finalmente con il Signore e dall’andare in esilio da un corpo destinato alla morte, per i senza Dio generalmente il crescere è orientato e si concentra sugli altri e opposti aspetti, elementi e dimensioni. Da questo punto di vista, i senza Dio (ma forse anche i con Dio) crescono allora nel camminare con fede, crescono mentre sperimentano la dimensione del trovarsi come in esilio rispetto a quello che potrebbe e dovrebbe essere un mondo ideale; crescono nel modo di abitare e vivere il proprio corpo finché vivono e abitano in questo mondo. Ma per entrambi, con Dio e senza Dio, il modo in cui crescere è collegato allo sforzarsi di essere graditi al Signore e la misura di questo crescere viene collegata al giudizio del tribunale di Cristo e alla relativa ricompensa per le opere compiute sia nel bene che nel male. Si tratta di una rappresentazione tipicamente religiosa e di un linguaggio tradizionalmente familiare al mondo dei con Dio, mentre i senza Dio per poter apprezzare il significato e il valore di questo testo necessitano di una sorta di traduzione: quanto all’essere graditi, si potrebbe tradurlo con la necessità che il crescere di un’esistenza credente sia riconoscibile come qualcosa di buono e quindi gradito per chi lo incontra; quanto al giudizio del tribunale di Cristo, lo si incontra nel sottoporre fin da ora la propria esistenza alle provocazioni e alle critiche che si trovano nelle pagine evangeliche; quanto alla ricompensa o non ricompensa per le opere compiute sia in bene che in male, tutti noi, con Dio o senza Dio sperimentiamo come, in realtà, forse non tutte ma certamente molte delle nostre azioni, buone e cattive, producono effetti, buoni e cattivi, per noi e per gli altri, già fin da ora e già in questo mondo, senza dover necessariamente attendere un altro tempo e un altro mondo.

Le parabole evangeliche che utilizzano la metafora vegetale e agricola della semina e del seme, come quelle di questo passo di Marco, invitano i loro ascoltatori (e ovviamente anche noi lettori odierni con Dio o senza Dio) a cogliere – nella realtà che viene chiamata regno di Dio – i diversi aspetti della dinamica del crescere. La prima parabola sottolinea il carattere casuale e spontaneo, sconosciuto e misterioso, automatico e inevitabile, del germogliare prima e del crescere poi da parte del seme, fino ad arrivare a una maturazione che consente infine la mietitura. Per i con Dio la misteriosa realtà del regno cui parabole come questa vogliono introdurci può essere collegata al riconoscimento di forme di intervento divino nei momenti metaforicamente rappresentati dall’azione del seminatore, dal dinamismo di crescita interno al seme, dallo sviluppo della pianta fino alla maturazione della spiga e dalle operazioni di mietitura e raccolta. Per i senza Dio, invece, è necessario cercare interpretazioni diverse che, tuttavia, possono basarsi sulle medesime realtà umane e naturali cui si ispirano le metafore stesse della parabola. Nello specifico: il farsi vicino di quella misteriosa realtà che il vangelo chiama regno si potrebbe identificare con un progressivo diffondersi di atteggiamenti, comportamenti e relazioni ispirate al messaggio evangelico; perché questo avvenga servono soggetti che seminino il messaggio evangelico attraverso parole, testimonianza e comportamenti ispirati a questo medesimo messaggio; quando ciò avviene parole, testimonianza e comportamenti manifestano un dinamismo di crescita che, attraverso movimenti spesso sotterranei e invisibili, trasforma il disfarsi del seme nel crescere di un germoglio prima e di una pianta poi; questa pianta cresce fino al produrre una quantità moltiplicata di parole, testimonianza e comportamenti ispirati al messaggio evangelico che trovano la loro origine nascosta nel dinamismo intrinseco al seme iniziale pur potendo essere in parte diversi e originali; la mietitura e la raccolta poi, non segnano la fine, ma al contrario il nuovo avvio di un crescere esponenziale e virtualmente infinito di ciò che il seme portava in sé potenzialmente. Se tutto questo vale per l’esperienza cristiana dei credenti senza Dio (ma in realtà anche dei credenti con Dio), qualcosa di analogo si può dire anche riguardo alla parabola del granello di senape. Qui il tema del crescere del seme più piccolo fino a diventare la pianta più grande dell’orto viene associato al tema sociale, comunitario ed ecclesiale di un crescere che sappia diventare accoglienza e ospitalità universali, di un crescere che sia capace di rendere comunità, società e chiese come un nido e un riparo per tutte le creature viventi che ne hanno bisogno, temi che la drammaticità delle condizioni del pianeta e di coloro che lo abitano rendono attuali e urgenti, temi che dovrebbe sensibilizzare e responsabilizzare tutti noi credenti con Dio o senza Dio che vorremmo lasciarci ispirare dal messaggio evangelico.