Letture festive – 145. Guida – Domenica di Pentecoste – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
Domenica di Pentecoste – Anno B – 19 maggio 2024
Dagli Atti degli Apostoli – At 2,1-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati – Gal 5,16-25
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 15,26-27. 16, 12-15
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letture festive 145
Nella narrazione di Atti degli Apostoli riguardante la Pentecoste, potremmo vedere lo Spirito come colui che abilita una pluralità di guide e mediatrici linguistiche e culturali a parlare nelle diverse lingue, affinché tutti – compresi gli odierni con Dio e senza Dio – possano essere introdotti e guidati al messaggio evangelico. Questo messaggio, infatti, non può essere espresso né ascoltato in un’unica lingua, dal momento che deve – prima – guidare ciascuno a comprendere e riconoscere sul piano linguistico e culturale un determinato contenuto o una determinata proposta e dal momento che deve – poi – guidare ciascuno ad accettare e sentirsi attratto, coinvolto e convinto anche sul piano emotivo e affettivo da questo stesso contenuto o da questa stessa proposta. Da una parte, infatti, ascoltare il messaggio evangelico in quella che ciascuno, con Dio o senza Dio, può considerare una lingua nativa o lingua madre – anziché una lingua straniera o appresa solo parzialmente – consente di cogliere, anche nelle sfumature e nelle complessità, il significato di ciò che viene comunicato e trasmesso, cioè il messaggio cristiano. E, dall’altra parte, ascoltare il messaggio evangelico in quella che ciascuno, con Dio o senza Dio, può considerare una lingua nativa o lingua madre consente, a questo stesso messaggio evangelico, di risuonare emotivamente e affettivamente per ciascuno in modo diverso da come potrebbe avvenire nel caso di una lingua straniera o appresa solo parzialmente. Se poi si considera come già in generale, anche nella Chiesa, la necessità di essere guidati in lingue e linguaggi diversi nasca dal fatto di avere provenienze diverse, caratteristiche diverse e forse anche percorsi e destinazioni diverse, ciò vale in particolare e a maggior ragione nel caso dei con Dio rispetto ai senza Dio. Così, nel complesso reticolo dei cammini odierni, dove convergenze e divergenze tendono a intrecciarsi in modi e traiettorie spesso non prevedibili, quanto di decisivo avviene nell’esistenza umana (quelle che Atti definisce le opere di Dio) deve poter essere udito tanto da con Dio quanto da senza Dio in un linguaggio o in una lingua che ciascuno possa riconoscere come nativa e materna. Solo se risulta ascoltabile da ciascuno in modo personalizzato e individualizzato perché viene pronunciato in una pluralità di linguaggi, il messaggio evangelico può diventare insieme comprensibile, eloquente e persuasivo. E solo a queste condizioni lo Spirito del messaggio evangelico può manifestarsi come forza impetuosa che raggiunge soggetti di volta in volta diversi, abilitandoli a diventare guide personalizzate e mediatrici linguistiche e culturali, capaci di indicare o suggerire – tra i tanti teoricamente possibili – a ciascun con Dio o senza Dio il cammino per lui migliore.
Secondo il Paolo della lettera ai Galati, la guida dello Spirito consente di sfuggire a quella forma di sottomissione alla Legge che si limita a evidenziare l’incapacità umana a fare il bene, senza però dare la forza di compiere questo stesso bene. Questa guida dello Spirito, invece, cioè questo camminare secondo lo Spirito lasciandosene guidare, viene presentato come il fattore decisivo che consente di affrontare adeguatamente il conflitto tra il bene e il male, a partire dalla capacità di distinguerli l’uno dall’altro. Questo che, a partire dalle sue radici bibliche, nella tradizione spirituale cristiana e in particolare nella sua forma ignaziana viene chiamato discernimento, riguarda anche oggi tanto i con Dio quanto i senza Dio. Ma il linguaggio che Paolo utilizza scrivendo ai Galati, quando contrappone i desideri dello Spirito e i desideri della carne, potrebbe risultare per noi con Dio o senza Dio di oggi fuorviante o poco comprensibile. Questa distinzione e contrapposizione tra i rispettivi desideri di Spirito e carne, infatti, ha buone probabilità di risuonare alle nostre orecchie cattoliche come filtrata da una lunga tradizione ed educazione in buona parte dualistica e sessuofobica, ma andrebbe invece ricollocata nel suo contesto biblico e problematizzata in modo che possiamo riconoscerla come realmente in grado di guidarci anche oggi. Già i due elenchi che Paolo propone di questi desideri reciprocamente contrapposti della carne e dello Spirito sembrano in realtà contrapporre ciò che – per un egoismo autoreferenziale – minaccia la qualità delle relazioni e ciò che invece – grazie a un’apertura generosa – le favorisce. Una diversa formulazione, forse più comprensibile per noi odierni con Dio o senza Dio, potrebbe essere allora quella che traduce i desideri dello Spirito con desideri capaci di far fiorire l’esistenza e di produrre frutti di vita, mentre una traduzione adeguata di desideri della carne potrebbe essere quella di desideri che alimentano pulsioni di morte, pulsioni egoistiche, violente, distruttive e autodistruttive. Compresi in questo modo, i desideri capaci di far fiorire l’esistenza e di produrre frutti di vita sono quelli che la guida dello Spirito evangelico dovrebbe consentire di riconoscere come desideri dello Spirito (nel linguaggio paolino) o (nel linguaggio ignaziano) come mozioni buone che si producono nell’anima o spiriti buoni. La medesima guida dello Spirito evangelico dovrebbe poi consentire di riconoscere, distinguendoli dai primi, i desideri che alimentano pulsioni di morte, pulsioni egoistiche, violente, distruttive e autodistruttive, cioè i desideri della carne (nel linguaggio paolino) o (nel linguaggio ignaziano) le mozioni cattive che si producono nell’anima o gli spiriti cattivi. Con Dio e senza Dio potrebbero ritenere che sia piuttosto semplice distinguere gli uni dagli altri, ma la sapienza e l’esperienza cristiana insegna che – perlomeno in alcuni casi – non è affatto così. Questo discernimento spirituale non è infatti un processo dall’esito scontato, quasi lo si possa ridurre all’impegno volontaristico a fare un bene che risulterebbe evidente, evitando un male altrettanto chiaramente riconoscibile. Ciò spiega l’importanza che Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, ha attribuito alla pratica del discernimento, cercando di delinearne alcune regole nel volume degli Esercizi Spirituali. I desideri e le pulsioni, infatti, nel loro essere spesso molteplici, mutevoli e contraddittorie, tendono a sfuggire categorizzazioni rigide e precise e richiedono quindi a con Dio e a senza Dio di esercitare un discernimento che dovrebbe sempre essere guidato da un’ispirazione evangelica.
Questo passo del vangelo di Giovanni presenta la funzione di guida di Gesù nei confronti dei suoi come destinata a essere in futuro esercitata dallo Spirito della verità e questa sorta di trasferimento del ruolo di guida da Gesù allo Spirito della verità avviene essenzialmente grazie alla testimonianza che lo Spirito della verità dà di Gesù. Ma in realtà, anche i discepoli – compresi gli odierni discepoli con Dio o senza Dio – sono chiamati a dare testimonianza di Gesù e come tali, nella circolarità ricorsiva tipica del ragionamento giovanneo, questi stessi discepoli potrebbero forse essere visti come rappresentanti di Gesù o addirittura – analogamente allo Spirito della verità – possibili guide per altri cui la loro testimonianza è rivolta. In generale questo discorso di Gesù nel vangelo di Giovanni, in particolare per la terminologia che utilizza, sembra avere come sfondo implicito una sorta di procedimento giudiziario dove la verità va ricercata e stabilita tenendo conto di testimonianze e attraverso il supporto e l’intervento di una preziosa guida: lo Spirito della verità, definito qui paraclito cioè, nella lingua greca, una sorta di avvocato difensore chiamato al proprio fianco come assistente e patrocinatore della propria causa. Questo Spirito della verità viene presentato come l’unico che può fare da guida ai discepoli verso tutta la verità, una verità che la narrazione di Giovanni fa coincidere con le molte cose che il Gesù nei discorsi della cena avrebbe da dire ai suoi, ma di cui i suoi non sono capaci per il momento, di portare il peso. Si tratta di una verità nella sua interezza che riguarda molte cose non ancora dette ma prima o poi da dire e si tratta di un peso che rischia di essere al momento insopportabile ma che prima o poi dovrà diventare sostenibile. Ma il discorso di Gesù fa convergere tutto ciò in direzione dello Spirito della verità, che in queste trasformazioni svolgerà il proprio ruolo di guida e di patrocinatore della causa in una duplice direzione temporale: da una parte, infatti, non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che ha udito, e cioè saprà cogliere dal passato tutto quello che è importante e prezioso; ma dall’altra parte questo stesso Spirito della verità annuncerà le cose future, cose che – appartenendo realmente al futuro – non saranno mai completamente deducibili dal passato e neppure prevedibili nel presente. Potremmo notare che chi volesse fare a meno di una delle due polarità temporali, di quella rivolta al passato o di quella rivolta al futuro, difficilmente potrebbe esercitare una guida che si richiami e si ispiri a quella esercitata dallo Spirito della verità secondo il vangelo di Giovanni. Da questo punto di vista, il ruolo di guida dello Spirito della verità può ricordare a con Dio e a senza Dio la funzione della cosiddetta Tradizione vivente della Chiesa nella sua duplice caratteristica di processo di incessante rielaborazione del patrimonio vissuto e credente di una ormai bimillenaria vicenda ecclesiale, e di servizio a una odierna testimonianza del vangelo che ne riproponga la freschezza e l’autenticità, aprendola a un futuro possibile. Considerando poi la misteriosa verità che Giovanni indica come troppo pesante da sopportare nella sua interezza in una determinata fase storica, se volessimo individuare una verità pesante da sopportare che riguardi il rapporto tra con Dio e senza Dio, potremmo indicare l’esistenza – in senso teistico – o la non-esistenza – in senso non-teistico – di Dio stesso. Ma su questa verità, che sembrerebbe contrapporre con Dio e senza Dio, lo Spirito della verità, il paraclito del testo di Giovanni, può venirci in aiuto, non tanto svelandoci fin da ora quale tra le due convinzioni corrisponda al vero, ma facendoci da guida in un modo sorprendente e in una direzione inattesa. Fedele, infatti, al proprio ruolo di guida e di assistente, chiamato al proprio fianco come patrocinatore della propria causa da ciascuno di noi, con Dio o senza Dio, il paraclito svolgerà la sua funzione ricordandoci che, quale che sia – tra le due contrapposte convinzioni di con Dio e di senza Dio – quella che infine risulterà corrispondente al vero, l’unica autenticamente e interamente evangelica verità che è troppo pesante da sopportare per il momento, ma alla quale il paraclito ci condurrà è quella che si rivelerà capace di risultare infine (riguardo all’esistenza o meno di Dio) come una verità buona e sopportabile non soltanto per me, con Dio o senza Dio, ma – insieme – anche per l’altro da me, con Dio o senza Dio.