Letture festive – 129. Barriere – 4a domenica del Tempo ordinario – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
4a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 28 gennaio 2024
Dal libro del Deuterònomio – Dt 18,15-20
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 7,32-35
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 1,21-28
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letture festive 129
A seconda del punto di vista, le barriere possono essere viste, tanto da con Dio quanto da senza Dio, come protezioni da una minaccia esterna o come ostacoli che impediscono un contatto e un incontro. Mosè, nel racconto del Deuteronomio, riferisce della richiesta del popolo di una barriera che preservi il popolo stesso da un contatto diretto con il Signore Dio, un contatto uditivo o visivo che viene ritenuto potenzialmente mortale. Il Signore Dio dichiara legittima questa preoccupazione e questa richiesta del popolo e comunica a Mosè che susciterà un profeta incaricato di dire al popolo quanto Dio gli comanderà. Questa figura profetica – caratterizzata nello stesso tempo come figura di barriera, di mediazione e di comunicazione – dovrà essere riconosciuta dal popolo e comportarsi fedelmente. Ne deriva una duplice responsabilità: quella del popolo di ascoltare il profeta come portavoce di Dio e quella del profeta di trasmettere fedelmente le parole di Dio, non le proprie né – tanto meno – quelle di altre divinità. Per i con Dio, queste dinamiche si ricollegano a quelle presenti in buona parte delle religioni: sistemi e dispositivi, ruoli e figure di mediazione e intermediazione del divino stesso, istituzionali o carismatiche che siano. Il tutto allo scopo di delimitare con qualche forma di barriera la potenza del divino perché non risulti distruttiva. Per i senza Dio, il tema di una potenza divina che richiede barriere per risultare sopportabile ovviamente non si pone in questi termini, ma anche per i senza Dio si pone il problema di situazioni che possono richiedere barriere di protezione o sistemi e dispositivi, ruoli e figure di mediazione e intermediazione. Basti pensare a realtà come la morte e il dolore, particolarmente difficili da affrontare e accettare, ma anche ad aspetti di sé stessi o di altri, che non si vorrebbero riconoscere e ammettere, o anche a responsabilità e compiti che non si riescono a svolgere o a sopportare. Si tratta di aspetti della realtà del mondo o della propria realtà personale che portano spesso senza Dio – ma ovviamente anche con Dio – a innalzare barriere difensive di vario tipo e a cercare aiuto in mediatori e intermediari. Queste figure di mediatori assumono in alcuni casi un ruolo delicato, rilevante e di grande responsabilità, per cui è sperabile che – dentro e fuori le comunità ecclesiali – con Dio e senza Dio trovino sempre persone affidabili, adeguate e responsabili, capaci di svolgere in modo efficace questa funzione di barriera, magari temporanea, rispetto a realtà pericolose o addirittura distruttive e mortali.
Questo discorso di Paolo – fortemente segnato, da una parte, dall’attesa della parusia imminente e, dall’altra, dai condizionamenti culturali del suo tempo – indica nella relazione matrimoniale tra uomo e donna una fonte di preoccupazioni mondane e, di conseguenza, una barriera che può tenere lontani da Dio. Gli sposi, infatti, vengono descritti qui come preoccupati di piacersi a vicenda, anziché preoccupati di piacere al Signore, e quindi come persone che si trovano ad essere divise rispetto agli oggetti della propria preoccupazione. All’opposto, chi non è sposato, uomo o donna, viene indicato come qualcuno che si preoccupa delle cose del Signore, come fa la vergine, per essere santa nel corpo e nello spirito. Le donne sposate, lo si ribadisce, si preoccupano invece delle cose del mondo e come possano piacere al marito. Paolo afferma di scrivere tutto questo senza l’intenzione di porre vincoli o intrappolare ai suoi lettori, ma aggiunge di voler parlare per il loro bene e perché si comportino degnamente, restando fedeli al Signore senza deviazioni. Pare sottintendere, cioè, un rischio di comportarsi in modo non degno e infedele al Signore, deviando dalla retta via. Paolo sembra ritenere in definitiva che la vita matrimoniale in sé stessa costituisca per chi la sperimenta una barriera che tiene lontani da Dio, mentre la vita dei non sposati – di coloro che la tradizione cristiana ha poi chiamato consacrati – sarebbe priva di questa barriera. Nella bimillenaria storia del cristianesimo questa valutazione di una strutturale inferiorità qualitativa della vita matrimoniale rispetto alla vita consacrata (non a caso definita via di perfezione) ha avuto una grande e pressoché ininterrotta fortuna durata fino a pochi decenni fa. Oggi con Dio e senza Dio, dentro e fuori le comunità ecclesiali, per lo più convergono nel ritenere superata o da superare questa valutazione spiritualistica e dualistica che disprezza le dimensioni umane del corpo, della sessualità, degli affetti e dell’impegno nelle attività del mondo e della storia. Anzi, le dimensioni umane che per molto tempo erano state ritenute una barriera all’incontro autentico e profondo con Dio sono divenute ora – per i con Dio – luoghi dell’incontro con il divino e – per i senza Dio – forme di esperienza umana più materiali e concrete ma non per questo inferiori a quelle tradizionalmente ritenute più alte e spirituali. Diversamente da quando la fuga dal mondo – ad esempio nella forma del monachesimo eremitico – veniva apprezzata come la scelta spirituale più alta, oggi questa stessa fuga dal mondo viene guardata con sospetto dagli stessi con Dio come una barriera che tiene lontani da quello stesso Dio che nel mondo ha scelto di coinvolgersi fino all’incarnazione. A maggior ragione i senza Dio vedono nella fuga dal mondo il tentativo di innalzare una barriera difensiva e deresponsabilizzante, proprio quando, invece, i tanti problemi del mondo odierno richiederebbero un supplemento evangelico di responsabilità, di impegno e di coinvolgimento.
La barriera che Gesù incontra al centro di questo brano di Marco è quella innalzata dallo spirito impuro dal quale l’uomo nella sinagoga è posseduto. Si tratta di una barriera difensiva che riconosce nella parola di Gesù la forza che libera l’umanità imprigionata, abbattendo le barriere e mandando in rovina le forze che la tenevano prigioniera. Ma il clamore drammatico dell’esorcismo che costituisce il vertice di questo testo non deve far passare inosservate agli occhi di con Dio e di senza Dio le barriere – meno evidenti ma non meno dannose – nascoste nelle premesse e nelle conclusioni del brano stesso. Si tratta delle barriere innalzate – forse involontariamente – dagli scribi, cioè gli interpreti esperti delle leggi e tradizioni religiose, quindi in buona sostanza i teologi dell’epoca, descritti qui come privi di autorevolezza e ripetitori di insegnamenti vecchi ai quali si fatica a riconoscere una qualche autorità. Non è un caso che la scena si svolga tutta all’interno della sinagoga, cioè dell’assemblea radunata dei credenti ebrei, alla quale corrisponde – anche etimologicamente nella lingua greca – l’assemblea radunata dei credenti cristiani, cioè la ecclesìa-chiesa. Si potrebbe pensare, allora, che l’esperienza di barriere innalzate per tenere interiormente prigionieri come anche l’esperienza di barriere innalzate da insegnamenti vuoti che nascondono la forza del vangelo siano esperienze vissute anzitutto all’interno delle comunità credenti. E forse nelle comunità credenti odierne queste barriere sono le stesse che rischiano di separare gli odierni ascoltatori, con Dio o senza Dio, da quell’insegnamento nuovo dato con autorità che i testi biblici dovrebbero costituire per chiunque li ascolti, un insegnamento capace persino di liberare dai propri dèmoni chiunque venga raggiunto in profondità dalle parole evangeliche. In ogni contesto odierno comunitario e religioso, sempre esposto al rischio del formarsi di queste barriere, il perentorio invito a tacere rivolto da Gesù allo spirito impuro, per liberare l’uomo posseduto, dovrebbe forse scuotere in modo salutare anche coloro che – magari involontariamente e inconsapevolmente – con un insegnamento vecchio e dato senza autorevolezza, finiscono però per innalzare barriere che impediscono al Vangelo di raggiungere tutti coloro, con Dio o senza Dio, ai quali invece sarebbe destinato.