Letture festive – 110. Autorità – 29a domenica del Tempo ordinario – Anno A
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
29a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 22 ottobre 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 45,1.4-6
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési – 1Ts 1,1-5b
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 22,15-21
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letture festive 110
Secondo il sorprendente e paradossale testo del profeta Isaia, l’autorità del grande imperatore persiano Ciro, il suo potere e la sua funzione – in particolare l’aver lasciato andare libero il popolo di Israele, ponendo fine così alla sua schiavitù – sono un potere e una funzione che si originano e che dipendono fondamentalmente dall’iniziativa e dalla scelta di Dio e precisamente del Dio che il popolo eletto rivendica insistentemente come proprio, unico e universale, un Dio che, tuttavia, opera senza che lo stesso Ciro ne sia minimamente consapevole. Con Dio e senza Dio possono ricavare da questo brano almeno tre insegnamenti: il primo è che non è sempre chiaro quale sia l’origine reale e ultima dell’autorità e del potere che qualcuno esercita, poiché l’esercizio dell’autorità e del potere presentano spesso – anche per gli stessi che li esercitano – un’opacità che impedisce di cogliere con chiarezza tutte le forze implicate; il secondo insegnamento è che riguardo all’autorità e al potere sarebbe importante praticare quello che la tradizione gesuitica riconducibile a Ignazio di Loyola chiama discernimentodeglispiriti, per capire che cosa – anche nell’autorità e nel potere – proviene da uno spirito buono (comunque lo si voglia intendere) e che cosa – nella medesima autorità e potere – proviene, invece, da uno spirito cattivo (comunque lo si voglia intendere); anche con il terzo insegnamento rimaniamo nella tradizione gesuitica: quella della teologia cristiana novecentesca di Karl Rahner che, con la sua teoria dei cosiddetti cristiani anonimi, sembra descrivere una situazione analoga a quella in cui si trova a operare l’imperatore Ciro. I cosiddetti cristiani anonimi, infatti, si comportano e agiscono sostanzialmente da cristiani pur senza saperlo o addirittura escludendolo espressamente, per lo meno a parole e sulla base della loro attuale auto-consapevolezza. Si tratta di una condizione che evidenzia come la dimensione più fondamentale che riguarda e orienta le persone, con Dio o senza Dio, anche per ciò che riguarda la dimensione di fede, non sia anzitutto quella teorica e della consapevolezza esplicita, ma piuttosto la dimensione pratica del vissuto concreto. Quale che sia il fondamento dell’autorità di Ciro, quale che sia la consapevolezza che lo stesso Ciro ne ha, in ogni caso, questa autorità viene esercitata nella storia, sulle persone e sui popoli e così produce degli effetti, buoni o cattivi. Per condurre una vita degna o addirittura per condurre con autorità una missione liberatrice, la consapevolezza della verità – nel caso di Ciro riguardo a chi gli conferisce autorità – non risulta decisiva, mentre risulta decisivo piuttosto il suo modo effettivo di agire e di comportarsi in quanto autorità politica che può aprire o chiudere, schiavizzare o liberare. In modo analogo, si potrebbe dire che la diversa e contrapposta consapevolezza della verità che con Dio e senza Dio possono avere – ad esempio riguardo all’esistenza o non-esistenza di Dio – passa in secondo piano rispetto alla bontà etica della loro condotta pratica.
Quali siano le caratteristiche che dovrebbe avere l’autorità in una comunità cristiana, composta da con Dio e da senza Dio, è ciò che si può ricavare dall’inizio della prima lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica. Si tratta in primo luogo di un’autorità che si presenta come condivisa e non monocratica: oltre a Paolo anche Silvano e Timoteo risultano tra gli autori della lettera. Si tratta di un’autorità che intende anzitutto comunicare sentimenti di gratuità e di pace, un’autorità che ritiene l’esistenza stessa dei credenti ai quali si rivolge motivo per una gratitudine da coltivare nella preghiera. Si tratta di un’autorità che riconosce e apprezza nei cristiani di Tessalonica la presenza di quelle che sono le tre virtù fondamentali di ogni credente: una fede che si manifesta operando il bene, una carità che viene esercitata senza temere la fatica, una speranza che traspare da uno sguardo fermo e fiducioso verso il futuro. L’autorità di Paolo, Silvano e Timoteo, nel riconoscere tutto ciò che è già presente nei credenti ai quali si rivolge, afferma implicitamente il proprio stesso limite in quanto autorità, un limite che viene sottolineato ulteriormente con il richiamo all’alterità di Dio, al quale si attribuisce la decisione di amare e scegliere i componenti della comunità. Se infatti la parola dell’annuncio evangelico giunge anche attraverso coloro che con autorità l’hanno annunciata, gli altri due fattori, altrettanto necessari e decisivi, che vengono ricordati ai Tessalonicesi sono la potenza interiore di un’ispirazione e illuminazione spirituale e la necessità di un profondo convincimento capace di far radicare la parola nella vita. Si tratta di un modo di intendere ed esercitare l’autorità che si caratterizza per il fondamentale riconoscimento di ciò che è già presente nei singoli credenti e per il credito dato a una capacità di vivere il vangelo da parte di ciascun credente, che l’autorità deve in fondo soltanto accogliere, sostenere e orientare, affinché possa contribuire alla bellezza e ricchezza della vita della comunità cristiana. Si tratta di un modo di intendere ed esercitare l’autorità che nelle nostre comunità cristiane di oggi, costituite da con Dio e da senza Dio, potrebbe consentire e favorire certamente dinamiche di maggiore partecipazione attiva da parte di tutti.
Nonostante le sue ambiguità e ambivalenze, l’autorità è per con Dio e per senza Dio una realtà con la quale si devono necessariamente fare i conti e il vangelo di Matteo non si sottrae al confronto, collocando proprio l’autorità come tema centrale nel famoso passo sul tributo da pagare o meno a Cesare. Autorità morali dell’ebraismo del tempo sono i farisei, l’autorità di Gesù come maestro veritiero e libero nell’esprimersi è quella che – almeno a parole – gli viene riconosciuta dagli inviati dei farisei. Autorità dell’imperatore romano e autorità di Dio sono quelle che Gesù con la sua risposta invita a mettere a confronto. L’ambiguità dell’autorità religiosa nemica di Gesù consiste nel predisporre – dietro le apparenze di un legittimo quesito giuridico-politico e insieme etico-religioso – quella che è a tutti gli effetti una trappola, preparata già attraverso l’invio a Gesù di due gruppi tra loro diversi o addirittura avversari sul piano religioso e politico (discepoli dei farisei e erodiani). In questo modo, infatti, quale che sia il tipo di risposta che Gesù potrà dare, uno dei due gruppi risulterà certamente insoddisfatto e avrà motivi per criticare, sul piano etico-religioso e politico, quello che con ipocrisia adulatoria è stato appena chiamato maestro veritiero. Ma qui – dopo aver dichiarato l’intenzione maliziosa dei suoi interlocutori – la geniale via d’uscita che il Gesù di Matteo si apre in questa situazione apparentemente senza sbocchi, consiste in una sorta di gesto profetico e simbolico accompagnato da parole, che ricorda da vicino il funzionamento delle parabole. Qui la provocazione di Gesù prende le mosse dalla richiesta che gli venga mostrata la moneta del tributo e dalla successiva domanda su a chi appartengano l’immagine e l’iscrizione sulla moneta stessa. La risposta che indica l’imperatore romano consente a Gesù di lanciare la sua provocazione, apparentemente diretta e semplice ma in realtà carica di sottintesi a livelli diversi: che si debba dare a ciascuno il suo è un’affermazione apparentemente ovvia, ma non è altrettanto ovvio che cosa propriamente appartenga all’imperatore e sia sottoposto alla sua autorità e che cosa invece propriamente appartenga a Dio e sia sottoposto alla sua autorità. Il probabile riferimento chiave presente nelle parole di Gesù è quello all’immagine ovvero all’icona come si legge nell’originale greco. Un’immagine, quella dell’imperatore, che invita a riconoscere il carattere mondano del denaro e del suo potere, collegandoli al carattere mondano del potere dell’imperatore, del quale però qui implicitamente si contesta il carattere divino, presente nella concezione orientale ma anche romana, opponendogli l’autorità di chi invece davvero è Dio. Il modo con il quale Gesù tratta la moneta che gli viene mostrata, consiste sì in un riconoscimento, ma si tratta di un riconoscimento che – per il modo in cui i vangeli in generale considerano il denaro – sembra piuttosto lontano dall’apprezzamento e dalla valorizzazione. Si nota, invece, un avvicinarsi – se non a un vero e proprio disprezzo – per lo meno a un ridimensionamento del valore del denaro e del potere mondano, che si trovano collegati, anche simbolicamente, nella moneta imperiale romana. Tutto ciò risulta ancora più chiaramente se si passa all’altra autorità, quella di Dio, e si prova a cogliere il riferimento nascosto e implicito all’altra immagine o icona, contrapposta a quella dell’imperatore, l’icona che il lettore della bibbia ebraica, nella versione in greco cosiddetta deiSettanta, poteva trovare nel primo capitolo di Genesi: l’essere umano come icona–immagine del Dio che lo ha creato. Solo così la provocazione di Gesù ai suoi interlocutori, maliziosi ma esperti nelle Scritture, mentre evita di farlo cadere nella trappola che gli è stata preparata, sposta radicalmente la questione su quale sia l’autorità che l’essere umano credente può e deve riconoscere, per il fatto che in qualche modo le appartiene, essendone l’icona-immagine vivente, ben più preziosa di una semplice moneta. Noi lettori di oggi, con Dio o senza Dio, possiamo essere raggiunti dalla provocazione evangelica in modi diversi: i con Dio potranno cogliere l’invito a relativizzare l’autorità del denaro e dei poteri mondani che vi sono collegati, in virtù della propria appartenenza al Dio di cui ci si riconosce icone viventi e alla cui autorità ci si sottomette; i senza Dio potranno scegliere di riconoscere nell’essere umano un’icona-immagine alla quale va attribuito, in ogni circostanza, un valore qualitativamente superiore a quello che il denaro e le autorità mondane, con i loro simboli e i loro strumenti, tendono a rivendicare per sé stesse.
Riferimenti:
Una breve presentazione della teoria di Karl Rahner riguardo ai cosiddetti cristiani anonimi si può trovare al n. 2 delle riflessioni teologiche su questo sito del Centro Informazione Biblica.