Letture festive – 109. Invitati – 28a domenica del Tempo ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

28a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 15 ottobre 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 25,6-10a
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi – Fil 4,12-14.19-20
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 22,1-14


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letture festive 109

Nella visione di Isaia tutti i popoli sono invitati a un banchetto che non si limita a quanto sarebbe necessario e sufficiente per placare la fame, ma nutre in modo ricco e sovrabbondante. A questo invito si collega la promessa di togliere il velo che impedisce di vedere con chiarezza, mentre ricche, sovrabbondanti e addirittura sorprendenti sono le promesse fatte agli invitati: eliminare la morte per sempre, asciugare le lacrime da ogni volto, far scomparire ciò che riempie di vergogna, così che ci si possa rallegrare per la salvezza sperata e ottenuta. Quella che viene rappresentata dall’autore biblico è la vita ideale alla quale tutti vorrebbero essere invitati, una vita che nutre con sovrabbondanza, che riesce a vedere con chiarezza e dalla quale la morte e le lacrime scompaiono. Ma la realtà e l’esperienza sono – per lo meno fino ad oggi – ben diverse, anche se in modi e gradi molto differenziati, a seconda di quale sia la parte del mondo nella quale si è nati e si vive e a seconda di quale sia la condizione sociale ed economica nella quale si ha il privilegio o la sfortuna di trovarsi. Tutto questo pone domande molto serie ai con Dio e ai senza Dio che leggono questa pagina biblica. I con Dio devono confrontarsi qui con una delle obiezioni fondamentali all’esistenza di un Dio buono e onnipotente che inviti davvero tutti a una vita buona e bella, o in molti casi anche solo minimamente vivibile e dignitosa. Da parte loro i senza Dio – ma in realtà anche i con Dio – dovrebbero probabilmente porsi il problema di come gli umani possano per lo meno tentare di rendere questa vita invitante e sensata per il maggior numero di viventi. Da questo punto di vita, l’insistenza di papa Francesco – anche attraverso la recente esortazione apostolica Laudate Deum – sull’urgenza di agire perché il pianeta e i viventi possano evitare la rovina, suggerisce un’ulteriore e molto attuale interpretazione di questa pagina profetica. Se si vuole che le prossime generazioni di con Dio e di senza Dio possano ancora essere invitate al banchetto della vita, urge togliere il velo delle illusioni e delle menzogne che negano l’urgenza di una radicale conversione nel modo di abitare il pianeta, soprattutto da parte di chi finora ha consumato le vivande più ricche lasciando ad altri solo le briciole. Se si vuole che l’eliminazione della morte non sia il risultato dall’eliminazione di ogni vita sul pianeta, dal momento che solo i viventi muoiono, si deve invertire il cammino già tragicamente intrapreso di una accelerata distruzione della biodiversità sul nostro pianeta. Se si vuole che vi sia speranza in una salvezza ancora possibile, ci si deve anzitutto lasciar toccare dalle lacrime dei viventi che soffrono e convertirsi dalla vergognosa superficialità che con Dio e senza Dio hanno finora dimostrato con i loro comportamenti nei confronti del pianeta.

Paolo propone il proprio stile di vita come quello di un invitato al banchetto della vita che sa adeguarsi alle necessità del momento. Per questo sa vivere nella povertà e sa vivere nell’abbondanza, è allenato alla sazietà ed è allenato alla fame. E si dichiara capace di tutto, grazie alla forza superiore che lo sostiene. Questo, tuttavia, non lo rende un individuo isolato, ma gli fa riconoscere con gratitudine l’aiuto che altri gli possono offrire, perché il bisogno di cui è portatore venga riconosciuto e possa essere in qualche modo soddisfatto. Non si viene infatti invitati per essere lasciati nella propria solitudine ma, al contrario, per incontrare e condividere insieme ad altri invitati. I con Dio e i senza Dio che appartengono, come noi, alla minoranza ricca della popolazione mondiale, sono allora invitati dall’urgenza della conversione imposta dalle condizioni del pianeta, anzitutto a ridurre i propri consumi per invertire il cammino verso il disastro. Diventa sempre più difficile negare che, come con Dio e come senza Dio nelle società dell’Occidente ricco del mondo, abbiamo vissuto dal secolo scorso ad oggi in una condizione di abbondanza e di sazietà rivelatasi – oltre che ingiusta e predatoria nei confronti del resto del mondo povero – non più sostenibile per il futuro del pianeta. Se come Paolo, siamo invitati a essere e dimostrarci allenati a tutto e per tutto, questo è il momento di imparare a vivere in una almeno relativa povertà, indigenza e fame, intraprendendo cioè con decisione la strada della riduzione dei nostri consumi, divenuti ormai così eccessivamente abbondanti da risultare insostenibili per il pianeta e per i viventi che lo abitano. Ciò suppone e richiede però, insieme alla riduzione dei consumi, l’aumento della capacità di condividere quello che si ha e che si può consumare, in modo solidale e sostenibile. L’invito al comportamento lodato da Paolo, l’invito a quel prendere parte alle tribolazioni di chi già ha poco o nulla e quindi non può ridurre i propri consumi, diventa da questo punto di vista un passaggio urgente e necessario. I credenti con Dio e senza Dio sono invitati ad affrontare questo impegno con la duplice consapevolezza di Paolo: la consapevolezza di una virtuale quasi-onnipotenza, un potere tutto basato sul cercare riferimento in colui che dà forza e ispirazione, e la consapevolezza che ogni bisogno reale potrà trovare risposta anche grazie al riferimento alla figura di Gesù.

La parabola degli invitati che rifiutano l’invito a nozze o che risultano indegni, parabola che Gesù rivolge alle autorità religiose e morali dell’ebraismo, viene probabilmente elaborata dell’autore evangelico con una quantità di precisi riferimenti polemici alla condizione delle comunità cristiane a lui contemporanee. Negli invitati che rifiutano e poi uccidono i servi inviati per invitarli alla festa di nozze, i primi lettori di Matteo dovevano facilmente riconoscere coloro che, nel racconto biblico della storia del popolo eletto, si erano chiusi ai ripetuti inviti alla conversione provenienti dalla predicazione dei profeti. Negli assassini uccisi e nella città data alle fiamme si poteva cogliere un riferimento alla distruzione di Gerusalemme e del tempio operata dai romani nell’anno 70. Nel successivo invito alla festa nuziale rivolto a chiunque, buono o cattivo, e nella punizione per l’invitato trovato senza abito nuziale, ad essere richiamati alla necessità di un comportamento etico degno e responsabile erano probabilmente coloro che si univano alle comunità cristiane senza provenire dall’ebraismo. Ma per noi, lettori di oggi con Dio o senza Dio, questa parabola può avere risonanze diverse e ulteriori, ancora nella direzione di un appello alla responsabilità di fronte agli effetti di una crisi planetaria che rischia di rendere impossibile per le prossime generazioni di viventi l’essere e il sentirsi invitate a quelle opportunità di vita e di amore che l’immagine di una festa nuziale evoca in tutte le culture. Il re della parabola diventa allora la realtà stessa di un pianeta che ripetutamente invita i viventi a vivere, grazie anche alle risorse naturali costruite nel corso di una storia lunghissima, nella quale ci troviamo ad essere gli attuali attori umani. Ma oggi, come umani che hanno sfruttato senza misura queste risorse, provocando direttamente o indirettamente, una crescente distruzione di intere specie e popolazioni di viventi, siamo pressantemente invitati anzitutto a prendere consapevolezza della situazione e ad agire rapidamente in modo responsabile. E questo invito alla responsabilità vale sia che ci riconosciamo tra i primi e privilegiati invitati, sia che ci riconosciamo tra i buoni e cattivi che, ad un certo punto si trovano tutti ad affollare la sala di quella che si vorrebbe potesse continuare ad essere una festa di vita per tutti. Se questa assunzione di responsabilità da parte di con Dio e di senza Dio non vi sarà, coloro che, anche solo non ascoltandole, fanno morire le voci profetiche che invitano a una radicale e rapida conversione – come è diventata ad esempio la voce di papa Francesco – finiranno uccisi dalla propria colpevole noncuranza e la loro città, il loro spazio di vita comune finirà per risultare inabitabile, incendiato – in questo caso – da un aumento della temperatura del pianeta che promette non vita ma morte per i viventi. La conclusione della parabola di Matteo evoca il terribile destino di impotenza del trovarsi a un certo punto incapaci di agire perché come bloccati, essendo legati mani e piedi, e ci ricorda che molti sono chiamati ma pochi risultano adeguati. Attraverso il linguaggio comunicativo tipico della parabola siamo invitati perciò a cogliere l’offerta di questa provocazione narrativa prima che sia troppo tardi. Perché finché la parabola viene letta e ascoltata da noi, con Dio o senza Dio, il tempo ci è dato perché possiamo scegliere di fare ora la cosa giusta.

Riferimenti:

Francesco, Laudate Deum,
Esortazione Apostolica indirizzata a tutte le persone di buona volontà
sulla crisi climatica,
Roma, San Giovanni in Laterano, 4 ottobre 2023, Festa di San Francesco d’Assisi

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