Letture festive – 98. Trasfigurazioni – Trasfigurazione del Signore – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Trasfigurazione del Signore – Anno A – 6 agosto 2023
Dal libro del profeta Danièle – Dn 7,9-10.13-14
Dalla seconda lettera di san Pietro apostolo – 2Pt 1,16-19
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 17,1-9


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letture festive 98

Nel libro del profeta Daniele, i cui temi e linguaggio sono ripresi dal libro neotestamentario dell’Apocalisse, troviamo descrizioni di visioni che in realtà potrebbero essere intese come vere e proprie trasfigurazioni. La trasfigurazione, infatti, può essere definita in generale come un mutamento di aspetto e di figura che, ad esempio, riguarda anche i processi artistici di trasposizione che partono dalla realtà per offrirne una rappresentazione attraverso una figura nuova e in qualche modo diversa. Nel caso della letteratura apocalittica vetero e neotestamentaria, le visioni narrate dagli autori biblici, così ricche di simboli e di particolari vivaci, si propongono anzitutto di offrire ai loro lettori contemporanei – ma anche a noi lettori odierni, con Dio o senza Dio – la rappresentazione alternativa di una realtà storica spesso sperimentata come difficile, se non drammatica. In questo che potremmo quindi leggere come un tentativo di trasfigurare la realtà, mostrandone il significato nascosto e più profondo, il veggente – al di là delle apparenze contingenti che sembrano quelle di un mondo cattivo – invita il suo lettore a riconoscere come a guidare e accompagnare la vita dei credenti e il tempo nel quale si trovano a vivere siano in realtà le forze del bene, qui trasfigurate nelle rappresentazioni del linguaggio apocalittico: un personaggio divino la cui fiammeggiante sovranità è riconosciuta dalle moltitudini e un personaggio dai tratti umani, cui viene riconosciuta universalmente la titolarità di un regno indistruttibile. Un particolare significativo è costituito, inoltre, dalla presenza di libri che vengono aperti, quasi a suggerire che le visioni trasfigurate della realtà non possono essere disgiunte dall’ascolto e dalla lettura, necessarie per una adeguata interpretazione della stessa immagine della realtà trasfigurata. Se per i lettori con Dio questa trasfigurazione intende le figure divine come presenze reali che guidano la storia verso un compimento glorioso, per i lettori senza Dio la trasfigurazione della realtà suggerita da queste visioni apocalittiche si traduce piuttosto in uno sguardo alternativo sulla vita, sul mondo e sul tempo. Si tratta di uno sguardo che va sempre accompagnato da ascolto e interpretazione e che rimane sempre bisognoso di trovare ispirazione e incoraggiamento nelle pagine bibliche. Questo sguardo si caratterizza per il tentativo incessante di avvicinare le figure di questo mondo e di questo tempo a trasfigurazioni che corrispondano per quanto possibile alle utopie delineate nei testi biblici.

Questo passo della seconda lettera di Pietro ci pone davanti a un paradosso che riguarda la sua autenticità ma, proprio attraverso questo paradosso, ci dice qualcosa di importante sul modo in cui la realtà può essere trasfigurata. Il paradosso consiste nella esplicita rivendicazione, da parte del suo autore, dello status di testimone oculare dell’episodio che i vangeli descrivono come trasfigurazione di Gesù, mentre praticamente tutti gli studiosi neotestamentari ritengono questa seconda lettera attribuita a Pietro come pseudo-epigrafica. Si tratta, cioè, del caso in cui un testo viene attribuito a una personalità famosa per conferirgli particolare autorevolezza, mentre in realtà l’autore è una persona diversa da quella che dichiara di essere. Si tratta di un procedimento frequente nell’antichità e anche nel Nuovo Testamento, dove ad esempio alcune lettere il cui autore si identifica con l’apostolo Paolo sono ritenute, appunto, dalla maggior parte degli studiosi come pseudo-epigrafiche. L’autore di questo brano contrappone la presunta affidabilità della propria testimonianza oculare a quello che definisce un andare dietro a favole artificiosamente inventate. Ma, a ben vedere, la sua stessa testimonianza dovrebbe essere ritenuta, in base al carattere pseudo-epigrafico di questo testo, una favola artificiosamente inventata. Ma il punto importante qui, un punto che vale per tutti i con Dio e per tutti i senza Dio che si accostano al messaggio evangelico, è che l’essere un racconto artificiosamente inventato da esseri umani – così come del resto inventata è ogni opera d’arte – non è necessariamente qualcosa che vada demonizzato. Racconti artificiosamente inventati sono la maggior parte delle scritture bibliche, che lo stesso autore, in realtà anonimo, della lettera definisce qui come la solidissima parola dei profeti, parola che, come una lampada accesa, consente di attraversare l’oscurità notturna con quel tanto di luce necessaria per camminare, in attesa che il giorno e la stella del mattino gettino una luce più chiara sulla realtà e sul cammino. Se diciamo che l’autore della seconda lettera di Pietro è stato testimone oculare della trasfigurazione di Gesù, dobbiamo dire che lo è stato in modo analogo a quanto possiamo esserlo noi. Noi siamo infatti i lettori odierni con Dio o senza Dio di quelle narrazioni evangeliche che – anche nel caso in cui le si voglia ritenere artificiosamente inventate dagli evangelisti umani – mantengono comunque una straordinaria capacità di trasfigurare la realtà e di tratteggiare figure di senso.

Anche l’episodio evangelico della trasfigurazione di Gesù, su un alto monte davanti a tre discepoli, ci introduce a una figura della realtà che, paradossalmente, nel suo essere poco realistica dice con profondità il significato della realtà stessa. La realtà è che la figura di Gesù può avere, per con Dio e per senza Dio, un significato diverso e più profondo rispetto a quello apparente. La realtà è che la figura neotestamentaria di Gesù va considerata in relazione con le figure veterotestamentarie di Mosè – che rappresenta la Torah – e di Elia – che rappresenta i profeti – e che tra queste figure si deve creare una vera e propria conversazione, capace di mettere in circolazione e in relazione reciproca sapienze antiche e straordinariamente ricche. Che queste sapienze, a partire da quella espressa dalla figura di Gesù, vadano ascoltate e amate il racconto evangelico lo sottolinea attraverso l’intervento di un’autorevole voce divina. Ma lo stesso racconto evangelico invita i tre discepoli – ma oggi anche noi, lettori con Dio o senza Dio – a superare la tentazione di limitarci a contemplare queste sapienze tramandate mentre rifiutiamo di lasciarci coinvolgere in una conversazione più ampia con queste figure bibliche trasfigurate. L’interruzione improvvisa determinata dalla voce divina ha lo scopo di far ritornare tutti i personaggi del racconto – noi compresi – alla realtà di una condizione non trasfigurata, nella quale però lo sguardo di noi discepoli sulla realtà e sulle sue figure deve risultare più acuto e penetrante precisamente grazie a questa esperienza di trasfigurazione. Per questo la parola che il Gesù di Matteo rivolge a noi discepoli con Dio o senza Dio in questo momento, così come dopo ogni esperienza di trasfigurazione che possiamo sperimentare, contiene un duplice invito. Il primo invito è a superare il timore che tra la realtà quotidiana e la sua visione trasfigurata che ne fa percepire il senso evangelico più profondo vi sia una distanza incolmabile o una relazione solo illusoria, che da una parte lascerebbe la realtà priva di senso e dall’altra ridurrebbe la visione trasfigurata a un’allucinazione patologica. Il secondo invito è quello a riconoscere che per entrare in una conversazione piena e fruttuosa con le figure trasfigurate dei personaggi biblici, a partire dalla figura trasfigurata di Gesù, non si può prescindere da quella trasfigurazione ultima e decisiva che per gli scritti neotestamentari – ma anche per tutti noi credenti con Dio o senza Dio – è la morte e resurrezione della stessa figura di Gesù.