Letture festive – 89. Benevolenza – Santissima Trinità – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Santissima Trinità – Anno A – 4 giugno 2023
Dal libro dell’Èsodo – Es 34,4b-6.8-9
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 2Cor 13,11-13
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 3,16-18


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letture festive 89

In un mondo profondamente segnato dal male, dalle sue manifestazioni, dalle sue cause e dalle sue conseguenze, il modo in cui si possa o si debba pensare Dio e quale sia la relazione tra il male di questo mondo e quel Dio che possiamo o dobbiamo pensare è certamente una domanda rilevante. Ed è una domanda che rimane rilevante non solo – ovviamente – per i con Dio, ma anche per i senza Dio che si ritengono cristiani, credenti e lettori della Bibbia. Molti passi biblici provano a rispondere a questa domanda insistendo sulla benevolenza di Dio. Così fa il brano di Esodo che descrive l’incontro tra Dio e Mosè sul monte Sinai. Mosè sale sul monte con le tavole di pietra per ricevere la legge, cioè l’insegnamento divino, e lo fa per una seconda volta, dopo che la prima salita era stata vanificata dal comportamento idolatrico del popolo. In questa seconda salita, perciò, il testo proclamato nella liturgia mette in bocca a Dio stesso, nel suo passare davanti a Mosè, una sorta di autopresentazione come misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà. E a questa autopresentazione di Dio, lo stesso Mosè risponde riconoscendo che la condizione e il comportamento del popolo sono segnati da una colpa e da un peccato. Questi possono essere superati solo grazie a un perdono accordato da Dio e dal suo impegno a rendere comunque questo stesso popolo una eredità preziosa. Ma, in questa rappresentazione della benevolenza di Dio, ciò che, invece, la liturgia non ci fa ascoltare oggi è il versetto di questo capitolo di Esodo, che si trova tra la descrizione del Dio misericordioso e l’invocazione del suo perdono. Questo versetto, infatti, all’inizio ricorda che il favore di benevolenza di Dio dura fino a mille generazioni, accompagnato dal perdono per colpe, trasgressioni e peccati. Ma il versetto aggiunge che Dio non lascia senza punizione e castigo la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione. È precisamente questa sorta di ombra gettata sulla benevolenza del Dio biblico, ciò che la liturgia, con i suoi tagli e le sue censure, intende risparmiare agli ascoltatori del testo di Esodo. Ma questo è un problema che – ovviamente – rimane e si ripropone, anzitutto per i con Dio, che si trovano a dover fare i conti con i limiti della benevolenza di colui che ritengono esistente. Ma il problema riguarda anche i senza Dio, perché, anche chi – ritenendo Dio stesso, in certo qual modo, inesistente – non si deve porre il problema della benevolenza di Dio, deve tuttavia porsi un altro duplice problema: anzitutto quello di un mondo e di una realtà che spesso non perdonano e che sembrano punire i figli dei figli per le colpe dei padri anche ben oltre la quarta generazione; ma anche il problema di quale sia la benevolenza che con Dio e senza Dio – in cerca di parole vere e capaci di rischiarare i sentieri della vita – possono trovare nel messaggio biblico ed evangelico.

Nella conclusione della seconda lettera ai Corinzi, vengono delineati quelli che potremmo leggere come gli ingredienti fondamentali di una benevolenza umana, di un voler bene che possa caratterizzare tanto i con Dio quanto i senza Dio: l’essere gioiosi, il non ritenersi già arrivati e quindi il comportarsi come incamminati su una strada di perfezionamento, l’incoraggiarsi vicendevolmente, il cercare una concordia e una condivisione nello sperimentare i propri sentimenti, il vivere in pace, per quanto possibile. Questo vissuto – nel quale noi, con Dio o senza Dio, potremmo vedere le condizioni che rendono possibile la benevolenza – Paolo lo presenta come la condizione che rende possibile lo stare di Dio stesso con i destinatari della sua lettera. E Paolo specifica che questo Dio è quello dell’amore e della pace perché, evidentemente, qualcuno potrebbe pensare, invece, che Dio non sia quello dell’amore e della pace. Del resto, gli stessi toni di alcuni capitoli, in questa lettera dal carattere composito, sono particolarmente accesi e sembrano molto lontani – nella conflittualità della controversia intra-ecclesiale che rivelano – da ciò che ci aspetteremmo come caratterizzato da pace e amore. La dinamica delle relazioni umane, infatti, comprese quelle intra-ecclesiali, conduce spesso molto lontano dal voler bene, dalla grazia, dall’amore e dalla comunione, cioè da quanto la benevolenza porta con sé di prezioso. Per questo motivo la benevolenza non deve mai essere data per scontata, perché per essere generata, per esprimersi e per essere coltivata nel tempo, la benevolenza e il voler bene hanno bisogno di segnali riconoscibili, di gesti simbolici, di forme concrete e corporee. In questo modo potremmo interpretare il bacio santo con il quale i destinatari della lettera sono invitati a salutarsi a vicenda, quasi a condividere e rendere presente tra loro il saluto che Paolo invia a nome proprio e dei cristiani che sono con lui. Lo si potrebbe quasi definire come un sacramento, questo bacio definito santo che diventa – per con Dio e per senza Dio – segno e strumento della realtà che intende esprimere e rendere efficace: un mettere in circolo quella benevolenza e quel voler bene che si riceve, da altri e da altrove, ma che si deve anche cercare di trasmettere, ad altri e altrove.

Nel vangelo di Giovanni la benevolenza di Dio trova la sua massima espressione nell’invio del Figlio, perché chiunque crede non vada perduto, ma abbia la vita eterna, perché il mondo sia salvato e perché chi crede non sia condannato. Ma il lato ambiguo di queste solenni dichiarazioni di benevolenza divina si nasconde – come in molte affermazioni di tipo religioso – nel modo in cui si accenna alle alternative dell’andare perduto e dell’essere stato condannato per chi non crede. Se infatti – afferma Giovanni – Dio non vuole che chi crede vada perduto e non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, rimane vero che la frase conclusiva di questo breve brano afferma – addirittura come già avvenuta – la condanna di chi non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio. Tra i testi biblici vetero e neotestamentari non sono così infrequenti queste pagine di benevolenza divina che virano improvvisamente verso affermazioni di condanna, da parte di un Dio che ha tanto amato il mondo, ma non in modo incondizionato, a quanto sembrano lasciar intendere alcuni testi biblici anche neotestamentari. Da questo punto di vista, il problema di come vada intesa la benevolenza annunciata dai vangeli in brani come questo, rimane presente e in modo molto serio, tanto per i credenti con Dio quanto per quelli senza Dio. Da una parte, infatti, i credenti con Dio devono confrontarsi e forse combattere – come Giacobbe nella sua lotta con l’angelo – con un volto divino che sembra sottrarsi – deludendole – alle loro aspettative di benevolenza, che qualcuno potrebbe definire buoniste. Dall’altra parte, i senza Dio – anche se possono forse evitare il problema di quale sia il vero volto della divinità – si trovano a doversi chiedere quale interpretazione dare a un messaggio evangelico che vorrebbero intendere come rivolto ai suoi destinatari nei termini di una parola di radicale benevolenza. Le interpretazioni che, a questo punto, sembrano rimanere aperte vanno allora in due direzioni, tanto per i con Dio quanto per i senza Dio. La prima è quella di intendere la condanna non come pronunciata dall’esterno o da un Dio solo parzialmente benevolo, ma come una sorta di esclusione auto-inflitta da parte dello stesso soggetto che non crede, e che rimane quindi tristemente libero e responsabile nello scegliere quello che purtroppo si risolve in un fallimento della sua esistenza; la seconda direzione interpretativa è quella che, invece, riconosce alla potenza del male, nelle sue molteplici forme, provenienze e manifestazioni, la capacità di esercitare la propria influenza nonostante i tentativi di benevolenza messi in campo da più parti. In questa seconda possibile interpretazione, la condanna evangelica va allora mantenuta e riservata a tutto quel male, umano e disumano che, chiuso nella propria dinamica distruttiva, non si lascia aprire né modificare, quasi travolgendo, come in un’alluvione devastante e che non lascia scampo, ogni intervento che la benevolenza può aver tentato, se non per fermare il male stesso, per lo meno per deviarne il corso.