Letture festive – 83. Scritture – 3a domenica di Pasqua – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

3a Domenica di Pasqua Anno A – 23 aprile 2023
Dagli Atti degli Apostoli – 2,14a.22-33
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo – 1Pt 1,17-21
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 24,13-35


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letture festive 83

Il libro degli Atti degli Apostoli che – come già abbiamo detto – consiste in una narrazione mitica di fondazione della chiesa, propone le Scritture bibliche come strumento fondamentale per interpretare il presente ecclesiale dei suoi lettori, con Dio e senza Dio. Il discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste si richiama alle Scritture fin dall’invito iniziale rivolto agli uomini d’Israele affinché ascoltino le parole. Un altro richiamo alle Scritture si trova nella citazione del Salmo 18, il cui autore viene individuato nel re Davide, seguendo un’attribuzione consueta e tradizionale.  L’obiettivo che l’autore di Atti si propone attraverso il discorso di Pietro è quello di far cogliere ai lettori cristiani che la loro esperienza dello Spirito del Gesù risorto – così come quella degli ascoltatori israeliti del discorso di Pietro – va interpretata alla luce delle Scritture bibliche. Ma il modo in cui esperienza spirituale vissuta nel presente e testi biblici entrano in relazione è quella di una correlazione reciprocamente critica, nel senso che vita – individuale e comunitaria – e Bibbia si illuminano a vicenda e vanno interpretate l’una alla luce dell’altra, anche in modo reciprocamente critico. In questo discorso specifico – che nel racconto di Atti è rivolto agli ascoltatori ebrei di Pietro – la sottolineatura critica rispetto alla vita dei destinatari si concretizza, prima, nel suo apostrofarli come uccisori di Gesù, pur se per mano dei pagani, ma anche, poi, nell’invitarli a leggere un’esperienza di morte alla luce di una speranza di resurrezione contenuta nelle Scritture. La sottolineatura critica rispetto al testo biblico, invece, si concretizza nel richiamarsi al patriarca Davide come a qualcuno che è morto e sepolto, ma – sembra sottolineare il discorso di Attinon risorto, come, invece, ci si sarebbe potuti aspettare dalle parole del salmo, attribuito a Davide e interpretato qui come portatore di una promessa di resurrezione. Attraverso il discorso di Pietro, cioè, l’autore di Atti sembra proporre una re-interpretazione critica del salmo biblico, invitando i propri lettori a porsi dal punto di vista dell’esperienza spirituale del Gesù risorto e suggerendo che – precisamente da questa prospettiva – si possano leggere e comprendere le antiche Scritture bibliche in modo rinnovato e per certi versi più adeguato.

Anche se in questo passo della prima lettera di Pietro non sono contenute citazioni esplicite delle Scritture, il testo è pervaso da tematiche, immagini e parole provenienti dalle Scritture ebraiche, ad esempio nel riferirsi a Cristo utilizzando l’immagine del sangue dell’agnello senza difetti. L’immaginario sacrificale è infatti quello che qui fa da sfondo alla concezione dell’autore e che pone la lettera di Pietro tra gli strati e tra i testi più antichi e originari del Nuovo Testamento, insieme, in particolare, alle lettere paoline ritenute autentiche e la lettera agli Ebrei. Come in gran parte di questi testi, anche qui sono pressoché assenti i riferimenti storici agli eventi di quella passione, morte e resurrezione di Gesù che, invece, i Vangeli ambientano a Gerusalemme e raccontano con abbondanza di dettagli. In questo passo della lettera di Pietro la morte e resurrezione di Cristo vengono collocate in un quadro caratterizzato da un immaginario salvifico sacrificale, da una teologia del riscatto, da un’etica del timore di Dio, da uno sfondo cosmologico nel quale si collocano predestinazione dalle origini del mondo e manifestazione negli ultimi tempi, tutti elementi che sembrano ispirarsi potentemente alle Scritture ebraiche e ai diversi filoni spirituali dell’ebraismo, incluso quello apocalittico. Si tratta di un approccio alle Scritture che la nostra sensibilità cristiana odierna – tanto quella dei con Dio quanto quella dei senza Dio – avverte come distante, ma anche questa distanza può essere apprezzata come un valore: quello di riconoscere come presente e come legittima la irriducibile pluralità degli approcci che hanno caratterizzato il cristianesimo fin dalle sue origini e dalle sue fonti neotestamentarie. Una irriducibile pluralità di approcci che dovrebbe consentire anche oggi a con Dio e a senza Dio di riconoscersi come eredi di un medesimo cristianesimo e fratelli e sorelle nella medesima Chiesa.

Le Scritture e la loro interpretazione stanno al centro del racconto lucano dei due discepoli incamminati verso Emmaus, discepoli che forse oggi potremmo vedere come un con Dio e un senza Dio che condividono, pur nelle loro differenze, un medesimo cammino di discepolato. In questo loro camminare, mentre conversano e discutono tra loro, vengono affiancati dallo sconosciuto viandante che si unisce al loro cammino e alla loro conversazione. Il narratore Luca informa il lettore del suo vangelo che lo sconosciuto è – in persona – lo stesso Gesù, che però gli occhi dei discepoli sono incapaci di riconoscere, circostanza paradossale se si pensa alla familiarità che il discepolato dovrebbe implicare. Il camminare dei due discepoli li allontana dalla città, Gerusalemme, dove si è consumata con un’esecuzione capitale tramite crocefissione, la fine delle speranze di liberazione che il Nazareno Gesù, profeta potente in parole e opere, aveva suscitato anche in loro, come gli stessi discepoli spiegano allo sconosciuto, che ritengono forestiero e ignaro degli eventi. In questo quadro di delusione e di frustrazione, tuttavia, alcuni segnali dissonanti e ambigui alimentano nei discepoli una perplessità che non riesce a risolversi e rimane in attesa di interpretazioni convincenti alle incongruenze della realtà: si tratta della tomba vuota e di voci di donne, che riferiscono di visioni di angeli, i quali affermano che Gesù è vivo. A questo punto il viandante Gesù, ancora sconosciuto ai discepoli, rimprovera loro – riguardo alle sofferenze del Cristo – uno scarso acume interpretativo e una lentezza patologica nel lasciarsi pienamente coinvolgere dalla dinamica della fede, come richiederebbe il credere alle Scritture e alle parole bibliche dei profeti. Il viandante sconosciuto rimprovera quindi i discepoli di una clamorosa inadeguatezza nell’interpretare le Scritture, da cui dipende anche la loro debolezza di fede. Per questo prosegue proponendosi come maestro di interpretazione delle Scritture – e addirittura di tutte le Scritture – riguardo a ciò che si riferisce a lui stesso. Qui l’ambiguità del testo greco consente forse di intendere il luistesso sia come riferito al viandante sconosciuto sia come riferito al Cristo sofferente e risorto. I lettori del vangelo di Luca non devono dimenticare, infatti, che i discepoli del racconto non sanno ancora che vi è identità tra il viandante sconosciuto e il Cristo Gesù risorto. Giunti a Emmaus, i discepoli insistono perché il viandante, che deve proseguire il cammino, resti invece con loro, motivando la richiesta con l’ora ormai tarda e il tramonto imminente. Nel gesto compiuto a tavola del prendere, benedire, spezzare e dare il pane, avviene il riconoscimento dell’identità tra il viandante e Gesù, ma, nel momento stesso in cui gli occhi dei discepoli si aprono, egli sparisce alla loro vista e il brano di Luca culmina in una domanda retorica che i discepoli si rivolgono a vicenda: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. In questa frase Luca offre forse il vertice del suo vangelo e insieme la sintesi di ogni autentica vita cristiana: camminare, come singoli e come comunità, illuminati e riscaldati grazie a una intensa conversazione con le Scritture e con la figura di Gesù, conversazione capace di interpretare in modo convincente la nostra esistenza di discepoli, con Dio o senza Dio. E i due discepoli, come se non avessero appena parlato di un giorno già tramontato e di un’ora troppo tarda per proseguire il cammino, partono senza indugio – non si dice neppure se abbiano mangiato il pane dato da Gesù – e si dirigono verso Gerusalemme, percorrendo a ritroso la medesima via, per raccontare anzitutto proprio quanto accaduto lungo la via, nel loro camminare insieme al viandante sconosciuto. Lo stesso riferimento che troviamo nel libro degli Atti ai discepoli di Gesù, uomini e donne, come a quelli della via, trova forse il suo nucleo originario proprio nel racconto dei due discepoli di Emmaus. Se da una parte, infatti, il riconoscimento di Gesù avviene nel gesto dello spezzare il pane, dall’altra parte, il Gesù appena riconosciuto, anziché restare con i discepoli si sottrae alla visione, perché i discepoli possano rimettersi in cammino sulla via e perché possano farlo ormai istruiti su come interpretare le Scritture. È come se proprio il sottrarsi del Gesù interprete delle Scritture creasse lo spazio e il tempo per sempre nuove interpretazioni delle Scritture da parte dei suoi discepoli. Questo è, del resto, ciò che è sempre avvenuto, fin dai tempi delle origini cristiane e attraverso i secoli, e questo è ciò che dovrebbe avvenire anche oggi per noi, discepoli con Dio o senza Dio.

Riferimenti:

Dennis E. Smith – Joseph B. Tyson Acts (a cura di), Acts and Christian Beginnings. The Acts Seminar Report, Polebridge Press, Salem (Oregon) 2013.

Le dieci principali acquisizioni del Seminario di studio, dedicato al possibile utilizzo come fonte storica del libro neotestamentario di Atti degli Apostoli, promosso dal Westar Institute in California tra il 2000 e il 2011 (in traduzione dall’introduzione al volume sopra citato, che ne raccoglie gli atti) sono le seguenti:

1. L’autore degli Atti è un esperto narratore/teologo che ha scritto un racconto con finalità decisamente apologetica [in particolare nei confronti della versione del cristianesimo proposta da Marcione e rispetto alla interpretazione marcionita di Paolo e delle sue lettere]
2. Il libro degli Atti è stato composto nei primi decenni del II secolo.
3. L’autore di Atti ha usato le lettere di Paolo come una delle sue fonti.
4. Ad eccezione delle lettere di Paolo, nessun’altra fonte storica attendibile può essere definitivamente identificata per il libro di Atti. Atti utilizza invece una varietà di “fonti” come Giuseppe Flavio, Omero, Virgilio e la versione biblica (veterotestamentaria) dei Settanta. Questi materiali, tuttavia, forniscono unicamente materiale di base o modelli letterari per il racconto di Atti. Non costituiscono di per sé delle fonti storicamente utilizzabili per la ricostruzione delle origini cristiane.
5. Gerusalemme non è stata il luogo di nascita del cristianesimo, contrariamente a quanto narrato in Atti, nei capitoli dall’1 al 7.
6. Atti non può essere considerata una fonte indipendente per la vita e la missione di Paolo. Si può invece affermare che l’uso delle lettere di Paolo come fonte è sufficiente per spiegare tutti i dettagli della vita e dell’itinerario di Paolo in Atti.
7. Atti costruisce il proprio racconto sul modello della letteratura epica e su modelli letterari con caratteristiche analoghe.
8. L’autore di Atti ha creato i nomi dei personaggi come strumenti di carattere narrativo.
9. Atti costruisce i propri racconti per raggiungere obiettivi di tipo ideologico [e teologico]
10. Atti non può essere considerato un resoconto attendibile sul piano storico, a meno che non si dimostri il contrario. L’onere della prova va infatti invertito: Atti deve essere considerato non storico salvo prova contraria.

Questo è l’esito complessivo dei risultati sopra indicati. Mentre Atti è altamente discutibile come risorsa per il cristianesimo del primo secolo, è una risorsa significativa per comprendere i problemi e la forma del cristianesimo del suo proprio tempo, cioè dei primi decenni del secondo secolo.
In conclusione Atti – mentre, come prodotto del secondo secolo, è una risorsa primaria per comprendere il cristianesimo di quel periodo anche dal punto di vista storico – va considerato complessivamente come un mito delle origini cristiane.