Letture festive – 75. Punti di vista – 1a domenica di Quaresima – Anno A
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
1a domenica di Quaresima Anno A – 26 febbraio 2023
Dal libro della Gènesi – Gen 2,7-9; 3,1-7
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 5,12-19
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 4,1-11
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letture festive 75
Nel racconto di Genesi le differenze tra i punti di vista dei protagonisti risultano decisive per lo sviluppo della vicenda e per i suoi esiti. Nel dialogo tra il serpente e la donna, le parole di Dio riguardo agli alberi e ai loro frutti vengono riferite in modo impreciso sia dal serpente che dalla donna e questo crea le premesse per un radicale misconoscimento del punto di vista di Dio, misconoscimento voluto dal serpente, maliziosamente e intenzionalmente, misconoscimento in cui anche la donna cade, ingenuamente e superficialmente. Se infatti il punto di vista di Dio è quello di un genitore che vuole evitare ai figli un’esperienza penosa, il punto di vista che gli attribuisce il serpente è quello di un genitore paranoico e ossessivamente geloso del proprio potere. La donna anziché chiedere a Dio stesso quale sia davvero il suo punto di vista, prende per buona l’interpretazione maliziosa del serpente e soprattutto si riconosce in un punto di vista che si rivela troppo infantile, concentrato com’è su ciò che appare buono da mangiare, gradevole allo sguardo, desiderabile per assomigliare agli adulti ritenuti saggi. Quando allora la donna e l’uomo scelgono insieme di assaggiare il frutto dell’albero, ci troviamo come proiettati nella fiaba più tradizionale, ma anche nella più classica delle tragedie greche. Da una parte, infatti, si rompe l’incantesimo che ha fatto vivere la coppia umana in quella sorta di mondo fatato che è il giardino delle origini descritto da Genesi. Il punto di vista della donna e dell’uomo cambia perciò radicalmente ed entrambi diventano realisticamente consapevoli della propria nudità e fragilità. Ma nello stesso tempo, come in una classica tragedia greca, si avverano entrambe le previsioni – apparentemente opposte – di Dio e del serpente: come previsto da Dio, la coppia umana muore effettivamente alla possibilità di vivere nel giardino incantato, offerto da quel Dio di cui non hanno colto il punto di vista. Ma, come previsto dal serpente, la coppia umana non muore e anzi arriva a condividere il punto di vista – assolutamente realistico – di Dio sulla condizione umana: una condizione di nuda fragilità, che va coperta perché divenuta insostenibile agli sguardi di coloro che, con Dio o senza Dio, sono divenuti ormai tragicamente adulti.
L’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma, invitandoli a considerare la realtà con gli occhi della fede, occhi che stabiliscono un duplice punto di vista, necessario per arrivare a quella visione dotata di profondità che è propria del messaggio cristiano. Questo messaggio – nella complessa presentazione che ne fa Paolo – si basa su una quantità di coppie, in qualche modo opposte ma in relazione tra loro: un solo uomo e tutti gli uomini, dono di grazia e caduta, mancanza della Legge e presenza della Legge, impossibilità di imputare il peccato e possibilità di imputare il peccato, Adamo e Cristo, figura e raffigurato, regnare della morte e regnare nella vita, condanna e giustificazione, disobbedienza e obbedienza, peccatori e giusti. Il punto di vista richiesto ai cristiani quando guardano la realtà è quindi strutturalmente duplice e – si potrebbe dire – binoculare, cioè capace di vedere contemporaneamente, dal punto di vista di ciascuno dei due occhi, quella che viene elaborata dal cervello e infine percepita come un’unica immagine dotata di profondità. Ma nel caso degli occhi della fede, con i quali il cristiano, con Dio o senza Dio, vede la realtà nella sua profondità, vi è una differenza che limita l’utilizzo di questa metafora: si tratta del fatto che uno dei due occhi, uno dei due sguardi, prevale sull’altro. Il punto di vista che infatti – nella luce gettata dalla figura di Cristo Gesù – coglie gli aspetti positivi e promettenti del mondo, delle persone e delle cose, questo punto di vista prevale – nella visione cristiana della realtà – rispetto al cogliere gli aspetti negativi e deludenti del mondo, delle persone e delle cose, aspetti che pure sono presenti, aspetti che non possono essere negati e neppure ignorati. Si tratta di una sorta di visione cristiana binoculare che, così come proposta da Paolo, cerca di cogliere i diversi livelli della realtà anche nella loro problematicità, ma riconoscendo nella figura di Gesù Cristo il fulcro di un possibile movimento di liberazione e di vita.
Nel racconto evangelico delle cosiddette tentazioni – che ha come sfondo i quaranta anni nel deserto del popolo liberato dall’Egitto – anche Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni per essere messo alla prova dal diavolo, cioè da colui che, secondo il significato etimologico della parola, è il disgregatore e il separatore. La messa alla prova, cioè il test di solidità interiore cui Gesù viene sottoposto, consiste in un ripetuto spostamento della collocazione fisica e del punto di vista dello stesso Gesù, per provare a fargli percepire la realtà in un modo e da un punto di vista diverso rispetto a quello di Dio e simile invece al punto di vista diabolico. La collocazione nel deserto per quaranta giorni punta a concentrare il punto di vista sull’urgenza pressante della propria fame di pane, impedendo – in modo diabolico – di riconoscere qualunque altro tipo di fame, come quella di parole significative e nutrienti. La risposta di Gesù consiste nel richiamare l’esigenza di integrare la fame di pane con il punto di vista biblico, che sottolinea l’importanza di parole capaci di nutrire. La collocazione sul punto più alto del tempio punta invece a far sperimentare quella vertigine di abisso angoscioso e di vuoto mortale che assedia ogni esistenza umana, in particolare nelle situazioni di pericolo. Lo scopo è quello di spingere alla ricerca di un punto di vista rassicurante che possa offrire garanzie della propria incolumità, un punto di vista che viene spacciato come conforme al testo di un salmo biblico preso alla lettera. A questa illusoria ricerca di sicurezze e alla citazione della Bibbia in chiave fondamentalista, Gesù oppone il punto di vista di un’altra citazione biblica, interpretata, in modo non fondamentalista, nella direzione della rinuncia a un uso strumentale di Dio da parte di chi volesse sfuggire anziché affrontare le angosce e i rischi della vita. La collocazione su un monte altissimo, infine, punta a creare l’ebrezza promessa a chi sceglie di mettersi dal punto di vista di chiunque eserciti un qualche tipo di potere, piccolo o grande, al quale si colleghi una misura, piccola o grande, di gloria pubblica e socialmente apprezzata. Ma qui il disgregatore getta la maschera e chiede una sottomissione e un’adorazione rivolte a sé medesimo. In questo modo rivela quanto sia difficile, per con Dio e per senza Dio, discernere che cosa vi sia davvero all’origine dei tradizionali attributi divini di potere e di gloria. Qui, infatti, il punto di vista di Dio e della sua controfigura diabolica e disgregatrice sembrano confondersi o sovrapporsi. Ma il Gesù di Matteo riesce a operare questo discernimento, sperimentando così che, proprio chi rinuncia al punto di vista di un potere e di una gloria diabolici, si trova collocato in un punto di vista nuovo e sorprendente: quello di chi – avendo rinunciato a servirsi delle altre persone per esercitare potere e ottenere gloria – viene servito e nutrito addirittura da figure angeliche.