Letture festive – 57. Fortezza – 33a domenica del Tempo Ordinario Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

33a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 13 novembre 2022
Dal libro del profeta Malachìa – Ml 3,19-20a
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési – 2 Ts 3,7-2
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 21,5-19


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letture festive 57

La fortezza viene tradizionalmente definita come la virtù che assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Si tratta quindi di una virtù caratterizzata da due aspetti, il bene come oggetto della propria ricerca e il permanere – in questa ricerca – costanti nel tempo. Nel passo di Malachia possiamo leggere un’applicazione di questa virtù della fortezza a quel bene che è rappresentato dalla giustizia. Il profeta Malachia descrive, infatti, come imminente il tempo nel quale un medesimo evento produrrà effetti opposti sui giusti e sugli ingiusti. Il giorno che sta per sorgere si rivelerà per i superbi e per coloro che commettono ingiustizia come un forno rovente che li incenerisce completamente, dalle radici ai germogli, come se si trattasse di paglia. All’opposto il medesimo giorno sorgerà come sole di giustizia che illumina e riscalda beneficamente chi, obbedendo al comando divino, avrà saputo coltivare e praticare la giustizia con fermezza. La pratica della virtù della fortezza si concretizza qui nel perseverare in direzione del bene, superando eventuali ostacoli, e nel ricercare la giustizia. Essa costituisce quindi – tanto per i con Dio quanto per i senza Dio – il modo migliore di predisporsi ad affrontare le situazioni critiche. La perseveranza e la ricerca del bene da una parte consentono di trovarsi allenati alla resistenza quando vicende avverse infliggono i loro colpi, dall’altra creano le condizioni per orientare verso il bene ciò che – per la sua ambivalenza – potrebbe, invece, produrre il male.

Nella seconda lettera ai Tessalonicesi, l’autore esemplifica la virtù della fortezza nel comportamento di colui che non cessa di lavorare anche duramente, con l’obiettivo di un’autonomia che non renda di peso ad altri chi è in condizione di provvedere a sé stesso con il proprio lavoro. Il vissuto che si intravede come sfondo a questo testo è quello di una comunità caratterizzata dall’agitazione e dal disordine. Condizioni che dipendono probabilmente da una malintesa concezione del tempo che separa l’oggi da una fine della storia, che alcuni ritengono imminente. Della virtù della fortezza abbiamo qui il fine buono, dato in questo caso dal concentrarsi sull’incontro ritenuto ormai prossimo con il Cristo che viene, ma mancano la fermezza e la costanza, collegate al protrarsi di un tempo che qui invece sembra ridursi fino a mancare del tutto. Nell’atmosfera religiosa che viene descritta possiamo riconoscere, anziché la virtù della fortezza, l’attesa quasi entusiastica e apocalittica di un futuro che non chiede di impegnarsi nel portare avanti la storia, ma forse addirittura invita ad accelerarne la conclusione, finendo per alimentare comportamenti poco responsabili nei confronti degli altri. Come cristiani con Dio o senza Dio siamo spesso tentati di cercare vie di fuga dal lavoro a volte duro del vivere, abbreviazioni della pazienza richiesta per il compimento delle nostre attese, sollievo alla fatica del perseverare nell’impegno concreto e quotidiano. Si tratta di bisogni, desideri e speranze del tutto comprensibili, ma che sarebbe importante riuscire a gestire evitando atteggiamenti deresponsabilizzanti e coltivando invece la virtù della fortezza.

La fortezza di cui parla l’evangelista Luca viene presentata, per simmetria e per contrasto, sullo sfondo della impressione di straordinaria solidità offerta in modo molto concreto e apparentemente indistruttibile dalle pietre del tempio di Gerusalemme. Questa forza, materiale e simbolica, che alcune realtà religiose promettono, arriva in alcuni momenti storici a sgretolarsi anche molto rapidamente, spesso accompagnata da un corollario di guerre e sconvolgimenti sociali e politici che spingono a porsi la domanda decisiva: che cosa può davvero essere abbastanza forte e solido da resistere nel tempo ai rovesci della sorte e delle vicende umane? In attesa che si manifesti ciò che possiede una tale forza, la virtù della fortezza assicura comunque nelle difficoltà ai discepoli di Gesù, con Dio e senza Dio, una fermezza e una costanza nella ricerca del bene, che si manifestano in alcuni atteggiamenti e comportamenti specifici: la fortezza porta, infatti, a non farsi ingannare da allarmi falsi o prematuri, ad affrontare, senza cadere nel panico e nel terrore, eventi drammatici, a sopportare persecuzioni, ad accettare di essere sottoposti a giudizio e condanna da parte di chi non è in condizione di cogliere e apprezzare la dedizione e la fedeltà al vangelo. Fortezza è anche la rinuncia a costruire ipotesi previe di autodifesa, per affidarsi invece a quella stessa parola evangelica che, alimentando la vita di fede in modo costante e operoso, consentirà di improvvisare la difesa in modo credibile ed efficace. La fortezza, infine, viene messa alla prova nelle circostanze peggiori quando deve affrontare il tradimento da parte dei genitori o anche da parte di coloro a cui riconosciamo una qualche forma di maternità o paternità nei nostri confronti. Qui, così come nel tradimento – in ambito familiare o ecclesiale – da parte di fratelli, parenti e amici, o nel caso in cui ci si trovasse esposti all’odio e perfino alla morte, inflitta da coloro che sono ostili al vangelo, la fortezza consentirà di non soccombere. Nemmeno un frammento di esistenza, fosse pure sottile come un capello, andrà inutilmente perduto, perché la fortezza, con la sua dimensione perseverante, consentirà di salvare alla radice la propria vita, persino e proprio nel momento in cui la si sperimentasse come tolta.