Riflessioni teologiche – 45. Cristianesimo ecumenico e pratiche di comunione (parte 6: COMUNITÀ DI PRATICA E AMBIGUITÀ COME OPPORTUNITÀ)
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico, dinamicamente inserito nel processo di riconfigurazione in forma sinodale intrapreso da chiese e comunità cattoliche su impulso di papa Francesco, richiede un rinnovato impegno nel praticare forme di comunione ecclesiale capaci di ampliare la varietà di coloro che potrebbero essere raggiunti o accolti o attivamente coinvolti. Nell’intraprendere questo percorso di ricerca teologica, di esperienza vissuta e di pratiche di sperimentazione ecclesiale potrebbero essere di aiuto diversi approcci teorico-pratici provenienti da alcune fonti di ispirazione: elementi ricavabili dall’esperienza vissuta nelle famiglie, riflessioni sulle comunità di pratica, metodologie per l’ascolto attivo e la gestione dei conflitti, approcci filosofici della teoria dell’attore-rete (ANT) e dell’ontologia orientata agli oggetti (OOO), suggestioni collegate alla nozione di terzo paesaggio e possibili applicazioni di questi approcci alla teologia e alla pratica ecclesiale (parte 6: COMUNITÀ DI PRATICA E AMBIGUITÀ COME OPPORTUNITÀ)
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La quarta caratteristica della comunità di pratica che potrebbe risultare utile nei processi di riconfigurazione in forma sinodale della chiesa, verso un cristianesimo radicalmente ecumenico, è quella dell’“ambiguità vissuta come opportunità”. In alcuni ambiti di vita è certamente importante ottenere, nel più breve tempo possibile, un risultato utile e concreto. In questi casi, l’ambiguità, l’ambivalenza e la pluralità di interpretazioni possibili costituiscono sostanzialmente un ostacolo da eliminare, per arrivare rapidamente alla chiarezza e alla univocità di una sola interpretazione o scelta, che possa essere condivisa, riconosciuta come valida e messa in pratica. In altri ambiti, invece, come nei processi sinodali e in un approccio radicalmente ecumenico, l’ambiguità va riconosciuta e accettata, anche perché può diventare un’opportunità preziosa per gestire, in modo più aperto e reciprocamente tollerante, relazioni e differenze presenti e non superabili. Diversamente, infatti, animati dall’intenzione, solo apparentemente apprezzabile, di eliminare l’ambiguità per arrivare a una univoca chiarezza, si correrebbe il rischio, attraverso contrapposizioni e conflitti, di finire per imporre all’altro la propria visione, in un irrigidimento che non consentirebbe alcun esito positivo.
L’ambiguità è in un certo senso una caratteristica strutturale dell’esperienza cristiana, presente fin dalle origini, a partire dal fatto che, come sottolinea Stella Morra, gli stessi testi biblici – ambigui nel loro essere suscettibili di molteplici interpretazioni – effettivamente sono stati letti nel tempo in modi diversi e persino conflittuali tra loro, pur all’interno di una medesima chiesa. Una chiesa sinodale e un cristianesimo radicalmente ecumenico possono cogliere oggi nell’ambiguità e nel carattere non univoco e non monolitico del messaggio evangelico un elemento qualificante. Ciò consente, a determinate condizioni, di riconoscere e legittimare una pluralità di interpretazioni e di punti di vista, di applicazioni e di pratiche, di scelte e di vissuti come riconducibili – in modi diversi ma autentici – alla medesima origine. Ciò risulta di particolare rilevanza e valore soprattutto quando nella medesima comunità ecclesiale si sperimentano su alcuni piani differenze profonde, come ad esempio tra cristiani teisti e non teisti riguardo al tema dell’esistenza di Dio. Il riconoscimento dell’ambiguità del messaggio cristiano può consentire, per esempio, a teisti e non teisti di cogliere le possibilità lasciate aperte da questa ambiguità, come uno spazio vitale che legittima – nelle diversità – l’esistenza e le convinzioni dell’altro così come le mie, all’interno della medesima comunità ecclesiale. In questo contesto di chiesa dovrà essere possibile, se e quando si vorrà farlo, confrontarsi, dialogare e dibattere anche sui temi controversi, senza dover necessariamente arrivare a convinzioni comuni o condivisibili da parte di tutti, ma comunque rispettandosi a vicenda. Si tratterà, in ogni caso, di uno spazio vitale comune e condiviso, reso abitabile per tutti precisamente grazie al carattere strutturalmente ambiguo – ma proprio per questo aperto e plurale, interpretabile e modificabile – che lo caratterizza come spazio ecclesiale cristiano.
Se gli stessi testi biblici, fondativi dell’esperienza cristiana, precisamente per la loro ambiguità consentono e anzi richiedono, in tempi diversi ma anche nella medesima epoca, interpretazioni plurali e applicazioni molteplici, queste dovrebbero poter essere, in linea di principio, sia di tipo teistico che di tipo non teistico. A maggior ragione ciò dovrebbe valere per gli altri testi e le altre pratiche cristiane ed ecclesiali. Già le formulazioni di fede ecclesiale, persino le più antiche e solenni, e i testi della tradizione cristiana, dalle origini a oggi, non dovrebbero essere ritenuti necessariamente meno ambigui dei testi biblici e, di conseguenza, non dovrebbero essere sottratti a una possibile e necessaria pluralità di interpretazioni, anche queste teistiche e non teistiche. Riguardo ai testi liturgici, ai riti e alle pratiche sacramentali, il loro carattere metaforico e simbolico, le loro componenti antropologiche e culturali, il loro essere collegate a luoghi, oggetti e pratiche concrete, nell’incrementare il loro grado di ambiguità e di ambivalenza, le rendono più agevolmente suscettibili di interpretazioni e pratiche plurali, da parte di teisti e non teisti, anche all’interno della medesima chiesa. La stessa strutturazione delle comunità ecclesiali ad ogni livello (organizzativo, ministeriale e carismatico), strutturazione peraltro storicamente mutevole e più volte mutata nei secoli, dovrebbe essere intesa come suscettibile, nella sua ambiguità, di una pluralità di declinazioni e trasformazioni, anche nell’oggi del nostro cambiamento d’epoca, a servizio di una riconfigurazione sinodale della chiesa, in un cristianesimo radicalmente ecumenico.
Riferimenti:
Stella Morra – Marco Ronconi, Incantare le sirene. Chiesa, teologia e cultura in scena, EDB, Bologna 2019, pp. 196-219.
Etienne Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina, Milano 2006.