Letture festive – 39. Ostinazione – 17a domenica del Tempo Ordinario Anno C
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
17a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 24 luglio 2022
Dal libro della Gènesi – Gn 18,20-32
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési – Col 2,12-14
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 11,1-13
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letture festive 39
Davanti al proposito divino di sterminare gli empi abitanti di Sodoma, l’ostinazione di Abramo è ispirata a un principio di prevalente tutela del giusto, anche a costo di rinunciare a punire l’ingiusto. Il dialogo tra Abramo e Dio diventa una trattativa sull’estensione di questo stesso principio di giustizia, trattativa che oppone al Dio che intende fare giustizia un Abramo misericordioso e ostinato, garantista e clemente. L’ostinazione di Abramo sembra infine convincere Dio ad astenersi dalla punizione distruttiva purché vi sia in città almeno qualche giusto, anche se la prosecuzione del racconto mostrerà che in città non si troverà neppure un numero minimo di giusti. La stranezza e la straordinarietà del brano di Genesi si trova nel fatto che alcune caratteristiche tradizionalmente divine, quali la misericordia e la pazienza, vengono attribuite all’uomo Abramo anziché a Dio. Una possibile interpretazione è quella che sottolinea le insuperabili ambivalenze del concetto di giustizia, negando che al riguardo possa esservi un punto di vista assoluto e valido, fosse pure quello di Dio. Un’altra interpretazione è che la ricerca di ciò che è vero e di ciò che è giusto debba necessariamente passare attraverso un dialogo paziente e ostinato tra soggetti che si sentono coinvolti e responsabili per la sorte di altri soggetti terzi.
Nel breve passo della lettera di Paolo ai Colossesi, invece, si attribuiscono nuovamente i caratteri della misericordia, della clemenza e della pazienza a Dio stesso, che manifesta la propria ostinata benevolenza nei confronti degli esseri umani con la scelta di annullare la loro condanna già scritta. L’ostinazione di chi non si stanca di ricercare una via d’uscita per coloro che pure vengono ritenuti colpevoli viene ricondotta da Paolo al dinamismo di peccato e perdono, di sepoltura e di resurrezione, di morte e di vita, rappresentato dalla croce e celebrato nel battesimo. La situazione descritta da Paolo è quella in cui si è già constatata l’inefficacia di tutti i modi per salvare i colpevoli riconosciuti tali da un documento di accusa e da una sentenza di condanna. Giunti a questo punto l’unico modo per perseverare nell’ostinato tentativo di salvare i condannati diventa quello di distruggere lo stesso documento di accusa e nel togliere di mezzo la stessa sentenza di condanna. Si tratta di un’azione che Paolo rappresenta plasticamente con l’inchiodare tale documento alla croce stessa del Cristo. È infatti precisamente nel segno del Cristo crocefisso per la salvezza di tutti che Paolo riconosce il manifestarsi più radicale e profondo di un’ostinata volontà misericordiosa e perdonante.
L’evangelista Luca collega la propria versione del Padre Nostro a una parabola sulla necessaria ostinazione nella preghiera. La preghiera di domanda, infatti, quella rivolta a Dio come anche quella dei senza Dio, nasce dalla percezione dolorosa di uno sfasamento tra la realtà nella quale ci troviamo a vivere e ciò che – avvertiamo – la realtà potrebbe e dovrebbe essere. Per questo è necessario ingaggiare quello che si presenta, di volta in volta, come un dialogo, una trattativa, un combattimento, un tentativo di modificare la realtà stessa, per farla somigliare a ciò che potrebbe e dovrebbe essere. L’identità del nostro interlocutore dipende dal nostro essere con Dio o senza Dio: se siamo dei con Dio l’interlocutore può presentarsi, a seconda dei casi, come l’amico assonnato che dobbiamo far alzare da letto con l’ostinazione delle nostre richieste, come il Padre buono che provvede alle nostre necessità di ogni tipo, come il Dio che sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo, ma anche come l’imperscrutabile e onnipotente Dio che governa ogni realtà del mondo e le cui vie e scelte ci risultano incomprensibili o inaccettabili. Se siamo dei senza Dio gli interlocutori della nostra preghiera, dai quali attendiamo una risposta, una replica, un segno ecc. possono essere, di volta in volta, le persone vicine e amiche o anche quelle lontane e nemiche, i soggetti individuali e collettivi che hanno il potere di intervenire sulla realtà modificandola, noi stessi nella pluralità e ambivalenza delle nostre posizioni, la realtà stessa nel suo essere, entro certi limiti, aperta e modificabile. In ogni caso, per i con Dio e per i senza Dio, ciò che conduce la preghiera al proprio compimento positivo è l’ostinazione con la quale si sostiene il contraddittorio con i propri interlocutori, divini o umani, materiali o immateriali che siano. La preghiera è infatti un dispositivo per far prevalere in noi i desideri buoni, coltivandoli e dando loro parola; il dispositivo della preghiera serve a modificare noi stessi e le nostre relazioni, la realtà intorno a noi e il nostro modo di guardare e abitare il mondo. Quanto più riusciamo ad essere motivati e ostinati nell’utilizzo di questo dispositivo, tanto più la preghiera funziona, fino a modificare noi stessi e la realtà intorno a noi.