Gesù…, cos’è venuto a fare?

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

Conoscere Gesù vuol dire anche chiedersi cos’è venuto a fare. Bisogna andare oltre al “chi è?” Que­sta persona così singolare, che unisce in sé, un’apparentemente inconciliabile polarità, una radicale opposizione fra il massimo dell’umiltà e della piccolezza e un’infinita grandezza, che è la grandezza stessa di Dio, que­sta persona che cosa è venuta a fare?

È venuto nel mondo! Ha detto di essere lui il preesistente: l’ha lasciato dire e l’ha detto di sé! Che cosa è venuto a fare quest’uomo che è Dio? Dio! Apparendo, muovendosi ed essendo riconosciuto fra di noi veramente uomo? Per rispondere meglio alla domanda “Gesù, chi è?” occorre scoprire qual’é il senso della sua visita. Cerchiamo la risposta dalle parole di Gesù stesso, lui fenomeno unico e incomparabile nella storia dell’umanità, nella vicenda, anzi, dell’universo. Caso unico!

  1. È venuto anzitutto come maestro supremo – Gesù dice di essere venuto a impartire agli uomini l’insegnamento supremo, l’ultimo insegnamento da parte di Dio. Dio ha parlato a un popolo che ha scelto fra gli altri popoli, che ha eletto, che ha consacrato, che ha attirato vicino a sé per fargli udire le sue parole, per farne il popolo testimone dei suoi discorsi e della sua volontà, rispetto all’umanità, testimone della propria rivelazione all’umanità attuata con la Parola.

Israele è il popolo dell’ascolto, il popolo che ascolta: «Ascolta, Israele!» (Dt 6,4), detto con tanta insistenza, con tanta forza, è diventato il centro della spiritualità d’Israele, la ragione ultima della sua giustificazione storica, il motivo della sua elezione! Questo «Ascolta!» si giustifica nella forza con cui è pronunciato, per il fatto che chi parla è Dio! Dio stesso ha parlato ai Padri: ha parlato ai Padri per mezzo dei profeti, ha parlato ai Padri per mezzo di Mosè, ha parlato ai Padri nella rivelazione fatta a tutto il popolo al Sinai!

Ora rispetto a questo ascolto inaudito, che è l’ascolto stesso di Dio – «Tu hai udito la sua voce: non dimenticare!» – rispetto a questo ascolto impensabile da parte dell’uomo, l’ascolto di Dio stesso che parla con la sua parola, la parola di Gesù (dice Gesù stesso) è qualche cosa di ancora più grande, perché è il discorso e la rivelazione definitiva che non ammette ulteriorità. L’ultima, la più completa, la più chiara, la parola consegnata come testamento ultimo, irrevocabile, da Dio all’uomo! La parola che contiene tutto ciò che Dio ha da comunicare all’uomo.

Rispetto a questa parola ultima, le precedenti pronunciate da Dio erano parziali, preparatorie, introduttive, provvisorie. «Il cielo e la terra passeranno: le mie parole non passeranno» (Mc 13,31); realtà quindi più grandi di tutta la creazione; e realtà che, nei confronti della tradizione stessa rivelata, si pone come ad un livello incomparabilmente superiore. «Avete udito che vi è stato detto… – e cita testi della Scrittura – ma Io vi dico» (cf. Mt 5,21-48). Quindi rispetto alla stessa Scrittura, l’“Io” di Gesù che parla si pone come qualcosa di più grande, qualcosa che esige fede ancora più totale, perchè la sua parola contiene un’energia, una forza e una definitività tale che le parole antiche, le stesse parole dei profeti, le stesse parole consegnate nelle Scritture sante per mezzo di Mosè, le stesse parole del Sinai non hanno! È tutto il “Discorso della Montagna” (cf. Mt 5-7) che si presenta come uno dei discorsi definitivi di Dio pronunciati mediante il Cristo. Cristo giustifica quello che dice così: «Molti Profeti desiderarono udire le cose che voi udite e non le udirono» (Mt 13,17). Desiderarono “udire”, loro, porta­voci di Dio! Loro, privilegiati da una rivelazione di Dio! Loro incaricati di testimoniare la Parola di Dio al mondo, «desiderarono udire» quello che Gesù dice, perchè quello che udirono loro è stato meno pieno, meno definitivo, meno chiaro, meno totale, di quanto non sia la Parola di Gesù!

Dunque è lui il maestro supremo dell’umanità, per­ché in lui Dio parla: questo, secondo quello che dice Gesù stes­so. La Parola di Gesù è, in concreto, la rivelazione definitiva di Dio. Solo in Gesù si conosce Dio. Sono insegnamenti, sono comandamenti, sono parole di consolazione e di conforto, di esortazione, certo, ma il loro contenuto più proprio è la rivelazione stessa di Dio che si è compiuta solo in Gesù. L’uomo non conosce Dio se non mediante Gesù: è lui che ne rivela il nome agli uomini.

Dice Gesù stesso nel vangelo di Giovanni, rivolgendosi al Padre, ma con una preghiera che i discepoli ebbero la grazia di udire: «Io ho rivelato il tuo Nome agli uomini che tu mi hai dato dal mondo» (Gv 17,6); quindi “ho rivelato il tuo nome a questi uomini ai quali ho fatto udire la mia voce, a questi uomini che ho tenuto con me, a questi uomini dei quali ho fatto i miei discepoli”. «Io ho rivelato il tuo nome»: quindi il nome di Dio, il nome che Israele si gloriava di conoscere e che aveva il privilegio unico di invocare per la salvezza e di proclamare al mondo, questo nome di Dio, in realtà non era ancora stato rivelato: solo Gesù pienamente lo rivela; solo Gesù, quindi, dà l’insegnamento fondamentale, essenziale, l’insegnamento salvifico. Solo attraverso la sua parola si conosce il “mistero” tenuto nascosto nei secoli; solo attraverso la sua parola l’uomo conosce il proprio destino, il senso della propria vita, il senso di tutta la realtà. Solo conoscendo Dio in Gesù, l’uomo può invocare il nome che Gesù rivela per la sua salvezza e quella del mondo. È per questo che c’era bisogno che fosse lui a farlo, e che fosse Dio a farlo in lui: molto al di là della linea dei profeti!

Il popolo lo acclama: «Ecco, un grande profeta è sorto fra noi!» (Lc 7,16) ed ha ragione; è vero! I discepoli dì Emmaus dicono: «Era un profeta potente in opere e parole!» (Lc 24,19): sono testi noti, ma Gesù è qualcosa di più grande perché è il Figlio; ed è il Padre stesso che parla e che dischiude il segre­to fin ad allora tenuto nascosto. In lui si manifesta, in lui inse­gna! Interpretato nella tradizione cristiana un testo stupendo e misterioso del Cantico dei Cantici, il primo versetto, che dice: «Mi baci egli con i baci della sua bocca» (1,2) e i maestri cristiani interpretano «con i baci della sua bocca», in questo modo: non più con le parole dei profeti, ma lui, con la sua bocca, “Dio, mi parli!” È quello che è avvenuto attraverso la parola del Cristo.

Questa parola che rivela Dio è in modo totale, una parola fornita di potenza, una parola che genera vita, non è come quando parla un uomo! Non trasmette soltanto un insegna­mento, una luce di verità, ma comunica grazia ed energia vitale, forza salvifica: «Le mie parole sono spirito e vita» (Gv 6,63); non “carne”, cioè non natura, ma una realtà divina immessa nel mondo.

Il suo insegnamento, dunque, non è da mettersi sul piano degli altri insegnamenti; non soltanto sul piano degli insegnamenti di maestri saggi, dei sapienti del mondo; non sul piano dei profeti: è molto di più! Neppure è da mettere sul piano delle realtà umane, delle realtà create: la sua parola è realtà divina! Tanto è vero che chi «rimane nella sua Parola» rimane in Dio: è in Dio! E se la sua parola “rimane in noi”, in noi è Dio con la sua vita (cf. Gv 8,51). Quale maestro, dunque! L’ultimo insegnamento, la rivelazione di Dio, le parole che rimangono oltre tutta la creazione perché so­no più di tutta la creazione: spirito, vita, energia di grazia invincibile perché sono le parole che contengono la rivelazione definitiva, ultima, di Dio. E in questa rivelazione sta tutta la verità: «sono venuto per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37). La verità appare soltanto nel Cristo. Anche in questo senso va intesa quella parola del prologo di Giovanni: «La grazia e 1a verità sono apparse in Cristo Gesù» (1,17).

  1. Gesù è venuto per adempiere le Scritture – Gesù dice di essere venuto per adempiere le Scritture. È venuto perché le Scritture lo promettevano, perché le Scritture lo facevano attendere, perchè Dio si era impegnato nelle Scritture profetiche a compiere quest’opera unica e definitiva di sal­vezza, Se Gesù non fosse venuto, Dio si sarebbe mostrato bugiardo; le parole dei profeti si sarebbero mostrate inaffidabili, illusorie. Ora Gesù è venuto come l’“Amèn!”, come il “Sì!” che mostra la verità di tutte le parole che sono state pronunciate nella rivelazione di Dio. Gesù dunque è venuto per adempiere le Scritture! Lo dicono tanti testi del Nuovo Testamento che riprendono questo insegnamento esprimendolo in grandi formulazioni teologiche. Ma è degno di interesse sottolineare che è Gesù stesso che lo dice. Già all’inizio del “Discorso della Montagna”: «Non crediate che io sia venuto per dissolvere la Legge e i profeti; sono venuto non per dissolvere, ma per adempiere/portare a pienezza» (Mt 5,17). Quindi senza di lui la Legge e i profeti non si sarebbero stati realizzati.

La venuta di Gesù, quindi, è l’atto di fedeltà di Dio a se stes­so, per cui se non fosse venuto Gesù, ripeto, Dio si sarebbe mostrato infedele, non veritiero. L’adempimento delle Scritture è l’essere stesso di Gesù. Cosa dicevano le Scritture secondo il punto di vista di Gesù? Che sa­rebbe venuto lui! Prima ancora dei dettagli del suo comporta­mento e delle singole opere da lui compiute, ciò che le Scritture dicono è che lui sarebbe venuto in persona, che Dio avrebbe visitato il mondo, che Dio ci avrebbe parlato direttamente, che Dio si sarebbe posto direttamente di fronte a Israele come il maestro del suo popolo, ma non allo stesso modo in cui si era fatto “maestro” attraverso i profeti, perché Geremia ha scritto: «Allora tutti saranno istruiti da Dio» (31,34).

È quindi l’essere stesso di Gesù colui che è promesso: come scrive Isaia: il suo nome sarà «Emanuel = con noi è Dio»! (7,14; 8,8). È questo “essere di Dio con noi”, la promessa fondamentale che la venuta di Gesù ha realizzato. Quindi non poteva non venire! Nel suo tempo, nella pienezza del tempo stabilita dal segreto di Dio e dalla sua insondabile e insindacabile volontà.

Questa venuta per la realizzazione delle Scritture imposta tutta la vita del Cristo che, fin nel più minuto dettaglio, è presentata come la realizzazione delle singole Scritture che parlano di lui. Le Scritture che Gesù è venuto a realizzare si debbono quindi intendere in due modi: le Scritture nel loro insieme, cioè la Scrit­tura nella sua totalità, e poi le sue singole espressioni.

Le Scritture nella loro totalità dicevano che Dio sarebbe venuto fra di noi per salvarci mentre nel loro dettaglio diceva­no quello che Dio avrebbe compiuto nel Messia passo dopo passo, descrivendone il cammino terrestre e predicendone l’operare! Allora tutte le Scritture si sono mostrate veraci in Gesù nella loro promessa globale e nelle singole cose che dicevano di lui e che in lui si sono manifestate e che attraverso l’interpretazione che egli stesso ne ha dato con il suo agire e con il suo parlare, hanno rivelato la loro veridicità.

Queste Scritture che dicono tutto quello che il Messia farà, si concentrano però in una predicazione, in una promessa: nell’annuncio pasquale della morte e risurrezione del Messia. Secondo Gesù questo è l’insegnamento fondamentale contenuto in Mosè, in tutti i profeti e nei Salmi (cf. Lc 24,45). Gesù lo dice apparendo ai discepoli dopo la sua risurrezione, ma ricordando che durante la sua vita lo aveva insegnato con insistenza (cf. Mc 8,31; Lc 9,27; ecc.).

L’opera suprema con cui ha compiuto le Scritture è stata proprio la sua morte e la sua risurrezione. Nel quarto vangelo, Gesù parlando con Nicodemo, dice che: «deve essere innalzato il Figlio dell’Uomo» (3,14); usa il verbo «deve» e questo “deve”, che si trova molto spesso nei vangeli, significa “sta scritto che sarà così”. “Il Figlio dell’uomo” deve essere consegnato nelle mani dei Sommi Sacerdoti, degli Scribi e dei Capi del popolo, e poi ai pagani; deve essere schernito, deve essere crocifisso, e il terzo giorno deve risorgere”. “Deve!”.

Dunque questo è il senso della missione di Gesù, l’insegna­mento supremo di cui abbiamo detto: l’adempimento delle Scrittu­re nella loro totalità con il suo “esserci”, nel dettaglio, con tutti i passi da lui percorsi e con tutte le operazioni del suo agire e nell’“opera” fondamentale che il Messia è venuto a com­piere in cui si concentra tutto: morire e risorgere! Questa è l’opera suprema che è venuto a fare: «Questo è il comando del Padre: che io deponga la mia vita e che la riprenda di nuovo» (Gv 10,18). Perché quest’”opera”? A che cosa serviva quest’“opera” predetta in tutte le Scritture e in cui si concentrava il senso stesso della sua missione? Gesù lo dice ripetutamente: il suo frutto è stata la remissione dei peccati! (cf. Mt 26,28 e parall.).

Quindi Gesù è venuto: per realizzare le promesse di Dio, per mostrare la veridicità delle Scritture, per compiere l’“opera” che es­senzialmente le Scritture gli attribuivano e questa “opera” era la sua morte e risurrezione per la remissione dei peccati. Perchè lui solo poteva lavare il peccato. lui solo poteva salvare; lui solo poteva can­cellarlo e solo il suo sangue lavarlo!

  1. Gesù viene a chiamare i peccatori – È un altro aspetto sconcertante: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). Gesù udì che mormoravano e disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa si­gnifichi: “Misericordia io voglio e non sacrificio”. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,12-13; cf. Lc 5,31-32). Il comportamento di Gesù non è altro che un esempio del comportamento abituale di Dio conforme a quanto dicono le Scritture (cf Os 6,6).

Nel contesto del racconto di Marco è eloquente l’episodio della guarigione del paralitico (cf. 2,1-17) che si conclude con un richiamo rivolto agli scribi presenti: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua …. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».  Appare nitidamente dalla sua stessa bocca cos’è venuto a fare: offrire la salvezza ai peccatori. Un’affermazione subito illustrata da due gesti: Gesù siede a mensa con quella gentaglia (cf. Mc 2,15). Per gli scribi è un comportamento inaccettabile e scandaloso. Gesù rispondendo dice un’ovvietà «non sono i sani che hanno bisogno del medico» e un paradosso «non so­no venuto a chiamare i giusti». E questo è già indicativo. Per molti, che egli non sia venuto a chiamare i giusti ma i peccatori, e un paradosso inaccettabile. Per Gesù invece è un’ov­vietà, come è  un’ovvietà che il medico venga per i malati e non per i sani.

L’espressione «sono venuto» ricorre in Marco altre due volte (1,38; 10,45), e sempre in affermazioni importanti, che intendono rivelare i tratti più originali e discussi, contrad­detti, della sua missione. Tratti che costituiscono, addirittu­ra, la ragione della sua venuta, potremmo dire dell’incarna­zione: egli è venuto per annunciare la Parola a tutti (cf. Mc 1,38), per accogliere i peccatori (cf. Mc 2,17), per servire (cf. Mc 10,45). In tutti e tre i casi è sottolineata un’opposizione: Ge­sù agisce diversamente da come ci si aspetterebbe. Non soltanto Marco, ma l’intera tradizione sinottica ricor­da che Gesù sedeva a mensa (cf. Mc 2,15) e mangiava (cf. Mc 2,16) coi peccatori, accettandone l’ospitalità (cf. Lc 19,7). Era una prassi abituale, tanto che lo accusarono di essere «un mangio­ne e un in beone, amico di pubblicani e peccatori» (Lc 7,34). Se­dere alla stessa mensa era ritenuto un segno, forse il più profondo, di comunione. È lo stesso segno che Gesù sceglierà per esprimere la sua comunione coi discepoli e dei discepoli fra loro. Gesù lo compie anche coi peccatori. Un gesto di pa­lese rottura: le leggi della purità vietavano severamente la co­munanza di mensa coi pagani e coi peccatori. Piuttosto si pensava di onorare Dio separandosi dai peccatori. Gesù fa il contrario, mostrando che la sua idea di Dio è differente. Lo scontro non è solo disciplinare e morale, ma teologico.

«Amico (philos) di pubblicani e peccatori» dice Luca: l’ac­coglienza di Gesù non è semplice ospitalità, ma amicizia af­fettuosa, predilezione. È un’accoglienza che avviene prima del ravvedimento. Anche scribi e farisei non negavano l’acco­glienza a chi avesse dato segno di pentimento e fatta la dovu­ta penitenza. Se mormorano, è perché Gesù li accoglie paradossalmente già prima di questa penitenza. Di fronte al peccatore, Gesù non vede anzitutto un peccato da condannare, ma un uomo a cui offrire una possibilità di ravvedimento. Gesù mette come tra parentesi il giudizio (questo lo pronuncerà Dio, alla fine) e si fa carico della sorte del peccatore. «Sono venuto a chiamare i peccatori»; il verbo chiamare (kaleo) è molto significativo Certamente è qui usato in rela­zione all’episodio della chiamata di Levi (cf. Mc 2,14), ed è perciò alla luce di un tale episodio che va compreso. Chiamare non significa semplicemente accoglienza di chi attende che l’altro si avvicini, pronto ad accoglierlo: indica invece iniziativa e ricerca: questo è illustrato molto vivacemente dalla parabola del pastore che va in cerca della pecora perduta (cf. Lc 15,4-7; Mt 18,12-14). Il significato di «chiamare» non si esaurisce nel soltanto al ravvedimento. Nell’uso evangelico, infatti, indica costantemente la proposta di Dio a partecipare attivamente alla missione. Gesù, dunque, non soltanto accoglie i peccatori, non soltanto li cerca, addirittura li invita a condividere la sua responsabilità nell’annuncio del Regno. Siamo di fronte a un’accoglienza veramente totale. Gesù offre al peccatore tutte le possibilità, non solo una parte. La sua fiducia è completa. Il pubblicano Levi è chiamato a far parte dei Dodici. Incredibile!

Bastano queste poche note per accorgersi che la solida­rietà verso i peccatori non si colloca alla periferia della missionarietà di Gesù, ma al centro. Tanto è vero che proprio su que­sto punto preciso ha messo in gioco la sua credibilità, disposto a suscitare e ad affrontare qualsiasi opposizione. Per Gesù l’accoglienza dei peccatori e un punto fermo, al quale non può rinunciare.

Luca è particolarmente attento a questo tema, usa tre volte nel vangelo appare il verbo «mormorare», un verbo che esprime tutta la disapprovazione scandalizzata di chi si imbatte in una prassi che contraddice la pastorale codificata e la logica co­mune. Sempre a proposito dei benpensanti che disappro­vavano il comportamento di Gesù verso i peccatori lo usa una prima volta quando Gesù accetta l’invito del pubblicano Levi (cf. Lc 5,30), la seconda in 15,1-2, la terza quando accetta l’ospita­lità di Zaccheo (cf. Lc l9,7). I grandi «scandali» che Gesù ha dato, e nei quali è racchiusa la sua novità, sono tre: l’umiltà del­le origini (Mc 6,1-6), la croce (Mc 14,27) e l’accoglienza dei peccatori. La croce, la morte «per i peccatori» non sarebbe con­cepibile senza la precedente accoglienza dei peccatori. Non è un caso che tutti e quattro gli evangelisti ricordino un parti­colare della crocifissione che parrebbe a prima vista secondario: «Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua de­stra e uno alla sua sinistra» (Mc 15,27). Gesti muore come è vissuto, dalla parte dei peccatori.

  1. Gesù è venuto per dare la vita al mondo – Non può ricevere la vita di Dio chi è distaccato da lui; non può ricevere l’effluvio della vita divina colui che ha l’anima incatenata nella schiavitù del Satana e macchiata dalla colpa! In essa Dio non può abitare, perché non c’è nessuna comunione fra Dio e gli idoli, fra Satana e il Signore, fra la luce e le tenebre! E Gesù dissipa queste tenebre, ma per riempirci di luce! Spezza queste catene, ma perché noi siamo liberi di andare a lui! Distrugge, annulla, la realtà maleodorante e contaminata del peccato dell’uomo, ma per riempirla di una vita più che umana, di una potenza non creata, per infondere nell’uomo la sua stessa vita. Gesù lo dice in Gv 10,10: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Quindi non è venuto soltanto perché eravamo nella morte (cf. Is 9,1), ma è venuto perché “abbiamo la vita”, e non semplicemente la vita, ma perché “l’abbiano in abbondanza”, senza misura. Una vita superiore alla vita umana, una vita di dimensioni incomparabili rispetto alle dimensioni della creatu­ra, una vita eccedente ogni nostra misura, sovrabbondante e piena (cf. Gv 10). Comunicando questo dono il Cristo lo offrirà a tutti gli uomini; per questo è innalzato sulla croce e glorificato con la risurrezione: radunerà in sé, raccoglierà in sé proprio per comunicare questa vita a tutti gli uomini: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).

Ecco allora il senso della venuta di Gesù: realizzazione del­le promesse di Dio; obbedienza alle Scritture fin nel dettaglio; obbedienza a ciò che le Scritture essenzialmente dicevano che lui avrebbe fatto, nel compimento dell’“opera” per eccellenza per la quale è venuto: la morte e la risurrezione, un “opera” che comporta la distruzione del peccato; l”’opera” che comunica la vita divina; l’”opera” che è la raccolta in sé, nella trasmissione della propria vita, di tutta l’umanità a meno che qualcuno non si rifiuti di andare, a meno che qualcuno non respinga il dono, a meno che qualcu­no, all’offerta gratuita di Dio, non opponga il suo ostinato “no!”. C’è solo una condizione realizzando la quale si può acco­gliere questo dono di Dio in Cristo, cioè la vita stessa di Dio, e questa condizione è la fede!

  1. Gesù è venuto per sconfiggere Satana – Questo aspetto sarebbe molto più ampio e mi limito a poche cose. È significativo il fatto che il primo gesto compiuto da Gesù nel Vangelo di Marco sia un esorcismo; un gesto emblematico che mostra come uno dei valori centrali della sua venuta sia la lotta e la vittoria sui demoni. L’annuncio del Regno di Dio, tutta l’attività di Gesù ha come fine quello di liberare l’uomo dallo spirito del male che lo tiene schiavo come ricorda la 1Gv: «Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo sta in potere del Maligno» (5,18). Nel primo esorcismo narrato in Marco è il demonio che non sopporta l’insegnamento di Gesù e lo interrompe gridando: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (1,24). Lo spirito impuro usa il plurale “noi”: non è solo! È il portavoce di un mondo che svela così la sua presenza, un mondo plurale (cf. Mc 5,1-20; ecc.). Il demonio “portavoce” di molti altri grida: «Io so chi tu sei …», mostrando una conoscenza di Gesù che nessuno dei contemporanei ha avuto, né fra i giudei, scribi e farisei che fossero, né fra i discepoli, poi aggiunge sei «il santo di Dio!». Tutta la potenza di Dio e tutta l’estraneità dal male è concentrata in Gesù al punto che si capiscono le reazioni del demonio: «Sei venuto a rovinarci?» e le parole con le quali il Signore afferma: «se io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio» (Mt 12,28) lasciano intravedere una vittoria totale. Gesù è il più forte: «Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa» (Mc 3,27; cf. Mt 12,29). Satana è visto cadere «dal cielo come folgore» (Lc 10,18; Ap 12,8-10) e in questo modo viene illustrata la vittoria di Gesù sul male (cf. Ap 20,1-10), vittoria che sarà sigillata dalla sua risurrezione (cf. At 2,24). Per questo aspetto del “cos’è venuto a fare”, basta così
  2. È la fede in Gesù che salva – Gesù è venuto per rivelare se stesso e per essere creduto perché ci si affidi a lui, si invo­chi lui, lo si riconosca come l‘unico salvatore. Per questo è venuto! Allora lo scopo della venuta di Gesù è il dono della salvezza, cioè della vita divina che si realizza attraverso la conoscenza del Signore e la fede in lui. Questo è conforme al disegno di Dio. Però, per prevenire qualche obiezione che a questo punto potrebbe presentarsi spontaneamente, questo non significa che Dio non possa salvare qualcuno che, senza sua colpa, non conosce il nome del redentore. Dio conosce molte risorse per la salvezza nonostante il primato sia la via rivelata nella persona di Gesù: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,16-18). Così in modo unico, soltanto nella conoscenza di lui e nella invocazione credente del suo nome, si realizza il disegno di Dio!

Il disegno di Dio, la volontà di Dio, comporta dunque che gli uomini conoscano il nome del Cristo. E che, in questo modo, es­sendo il Cristo glorificato, attraverso l’invocazione del suo nome ed il riconoscimento della sua regalità, della sua divinità e della sua potenza salvifica, gli uomini possano insieme, me­diante lui, essere salvati.

Ma questo dice Gesù anche ai giudei rispondendo alla loro domanda: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (Gv 6,28). Gesù dice: “Non ci sono tante opere” da fare; c’è “un’opera”; questa è l’“opera” di Dio: che crediate, che abbiate fede in colui che egli ha mandato; cioè che crediate in me!” (cf. Gv 6,29).

Quindi Gesù è venuto per salvare tutti gli uomini; li salva me­diante l’opera della passione, della morte e della risurrezione, ma quest’opera di salvezza si realizza soltanto se è posta in atto da parte degli uomini una condizione, che è quella della fede in lui. La premessa perchè si realizzi questa condizione è la conoscenza del suo nome, la rivelazione del suo mistero. Quindi Gesù è venuto per rivelarsi, perché nell’accoglienza del­la rivelazione di sé agli uomini, credendo, possano avere la salvezza: «Questa è l’opera: che crediate in colui Dio ha mandato» (6,29): in me!

E lo dice ancora in Gv 3,14-18 alla fine del colloquio con Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito»; perché? Ecco allora: per­ché Gesù? Perché è venuto? «Perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna! Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui, Chi crede in lui non è condannato…» (Gv 3,7s.).

Allora non è la fede generica: è la fede “in Cristo”!. È la seconda volta che lo dice: “Chi crede in lui non muore”; «chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio» (3,18). Chi non crede rimane nello stato di morte, e quindi la condanna che ha resta su di lui. Al vers. 14 leggiamo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato – sulla croce e nella risurrezione insieme – il Figlio dell’Uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14). Gesù dunque è la salvezza, non “una” salvezza, ma l’unica salvezza. Non è soltanto “uno che rimette i peccati”, ma è l’Agnello che rimette “il” peccato del mondo: l’unico, l’unico salvatore dal peccato. «se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati» – dice Gesù in Gv 8,24. Al di fuori della fede in lui, dunque, la morte!

Allora Gesù è il maestro supremo; Gesù è l’adempimento delle Scritture attraverso l’attuazione soprattutto del comando supremo del Padre – riguardante lui – il figlio obbediente e attraverso la realizzazione del contenuto essenziale delle Scritture che è il mistero della sua morte e risurrezione; questo mistero libera dal peccato e comunica la vita eter­na.

  1. Gesù è colui che ritornerà e giudicherà – È colui che era, è colui che è, ed è co­lui che viene, come lo chiama l’Apocalisse (3,11; 22,7). È colui “che era” prima della creazione del mondo – il Preesistente -; è colui “che è” nella vita che in lui non passa e che è vita gloriosa del risorto dai morti! È vivo! Non è morto! Di Gesù si discute: alcuni dicono che è vivo, altri che è morto. E, come sapete, gli Apostoli hanno sem­pre detto: “È vivo!”. E Gesù è anche colui “che viene”, colui che ritorna. Ha detto di sé che verrà alla fine della storia dell’umanità, come lo sposo, per essere unito alla sua sposa – la comunità dei cre­denti – per l’eternità, nella beatitudine, come in un’eterna festa di nozze. Gesù verrà come il giudice, perchè tutto sarà sottomesso al suo giudizio. È il giudice ed è il giudizio. È il giudice, prima di tutto, perchè è il giudizio! Non è soltanto il giudice perché pronuncia il giudizio, ma perché è lo stesso criterio del giudizio! E saremo salvati per quello che siamo stati nel rapporto a lui! Oppure saremo rifiutati e respinti perché abbiamo rifiutato lui! (cf. Mt 10,32; Lc 12,8). È lui che pronuncia il nostro nome e ci raccomanda al Padre, ma in base a ciò che noi abbiamo compiuto rispetto a lui! Perchè l’“opera” fondamentale che Dio vuole che gli uomini compiano, che cos’è? La glorificazione del suo Figlio, il ricono­scimento di lui, l’acclamazione della sua vittoria, l’accoglien­za del suo dono! Gesù dunque è giudizio e giudice che si rivelerà nell’ultimo giorno della storia. Già adesso agisce – perchè già adesso a chi lo accoglie dice: “Chi crede in me ha la vita eterna” (cf. Gv 3,36; 6,47); chi non crede rimane nel suo peccato! È già giudicato, già adesso e il giudizio che si compie nel segreto delle anime e che nessuno degli uomini può scrutare nella sua realtà più profonda in questa vita; al termine della storia sarà il giudizio manifesto, totale e definitivo!

Facciamo ora un passo ulteriore. Vediamo quale risposta danno alla domanda “cos’è venuto a fare Gesù” gli altri scrittori del Nuovo Testamento perché la loro testimonianza aggiunge qualcosa in più a quello che abbiamo visto. Gesù dice infatti: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). È la grazia del dono dello Spirito che ha consentito agli apostoli di ricordare in modo corretto le cose dette da Gesù! Quindi quello che riferiscono di Gesù è riferito non in base ad un ricordo vago e incerto, non semplicemente in base a quello che potevano ricostruire solo con la loro memoria, ma hanno avuto il dono dello Spirito Santo che ha ricordato loro profondamente ed esattamente le cose che Gesù aveva detto.

Ma Gesù dice qualche cosa di più (Gv 16,l2ss.): «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». Cioè lo Spirito di verità, non soltanto consente di ricordare correttamente le cose dette da Gesù. Allora le cose dette da Gesù sono attendibili non soltanto in quanto attestate da uomini degni di fede, ma in quanto dette dallo Spirito, ricordate dallo Spirito. Se Gesù non esplicitato qualcosa nel suo insegnamento lo espliciterà lo Spirito! Se qualcosa Gesù non ha detto in termini così formali lo dirà in termini più formali lo Spirito! Se c’è qualche collegamento che Gesù non ha stabilito con il suo discorso, lo stabilirà lo Spirito! Se c’è qualche sintesi sul mistero del proprio essere, del proprio operare, che Gesù non ha tracciato con le proprie parole, lo disegnerà lo Spirito!

Allora il Nuovo Testamento dice, riguardo Gesù, qualche cosa di più di quello che Gesù ha detto di sé. Ma non per questo è meno valido, non è una sopraffazione rispetto alle cose di Gesù; non ne è un’esaltazione indebita; non è quel lievitare delle dottrine e delle opinioni che le rende così poco attendibili con il passare del tempo perché si modificano, cambiano, si esaltano, si trasformano, si de­formano, sì corrompono. No! Il Nuovo Testamento dice, riguardo a Gesù, anche non riferendo le sue stesse parole, qualcosa di più di quello che Gesù ha detto di sé, qualcosa di più pieno, di totalmente affidabile. Una sintesi che Gesù non ha potuto fare su di sé, perché la mente dei discepoli non era capace di recepirla, l’ha fatta lo Spirito Santo. Dove l’ha fatta? Negli scritti del Nuovo Testamento! È la fede della Chiesa. Noi facciamo questo discorso all’inter­no della fede e dell’interpretazione della Chiesa quindi; la Chiesa ritiene che questo suggerimento dello Spirito, questo in­tervento dello Spirito che “aggiunge” oltre a ricordare, si è fissato e trasmesso con assoluta fe­deltà negli scritti del Nuovo Testamento che parlano di Gesù. Scritti che non soltanto riferiscono ciò che lui ha detto, ma riflettono su Gesù, ma non con una riflessione umana, bensì con l’illumina­zione della rivelazione dello Spirito Santo! Quindi se uno mi dice: “ma questo è S. Paolo, non è Gesù”, dico: “tanto meglio, perchè S. Paolo sapeva di Gesù “meglio” e “di più”, non di quanto Gesù non sapesse di sé, ma di quanto Gesù non avesse detto di sé ai suoi discepoli durante la sua vita!

Questo occorre tenerlo presente: è capitale! Lo dicono questi versetti che vi ho citato: di Gesù: «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future; Egli mi glorificherà», parla del Cristo! Perché il Cristo è l’unico oggetto della rivelazione perché l’unica cosa che conta di sapere è Gesù! In Gesù sì conosce il Padre, in Gesù si conosce l’uomo, credendo in Gesù si ha la sal­vezza! Lo Spirito quindi parla del Cristo. Ha sempre parlato del Cristo nelle Scritture dell’Antico Testamento; parla del Cristo nelle Scritture del Nuovo Testamento, dicendo di lui cose che Gesù non aveva detto in modo così esplicito, ma che non sono meno credibili, perché lo Spirito le attinge da Gesù: anche lui le prende da Gesù: «Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà» (Gv 14,14). È un’impostazione “scandalosa” per chi non crede, ma si sa che la fede è scandalo!

A questo punto, dovendo comunque semplificare, è utile distinguere tre fasi: quello che dicono i Vangeli, quello che dicono gli Atti degli Apostoli e le Lettere, gli altri documenti neotestamentari.

  1. Cosa dicono i Vangeli – I Vangeli non riferiscono soltanto, ma di tanto in tanto i loro estensori dicono una parolina loro, di commento, dì introduzione. Il procedimento è comunissimo in Matteo e in Giovanni; molto me­no comune in altri, ma Marco, per es. che non lo fa quasi mai, lo fa all’inizio, nelle prime parole. Mettendo il titolo scrive: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (1,1). Dice questo l’evangelista e non sono parole di Gesù; ma sentite che roba: «Inizio del Vangelo», “Vange­lo” (euaggèlion) è l’annuncio della salvezza, l’annuncio della vittoria! Non è poco già questo! “Cri­sto” non è il cognome, è un titolo! Gesù è “il Cristo”, Figlio di Dio”. Non è poco, anzi è la sintesi di tutto!

Gesù è il Cristo; non solo: è il Figlio di Dio! E ciò che lui ha compiuto può essere annunciato come la “Buona Notizia” della salvezza di tutti. Vedete come, a conferma di quello che Gesù dice di sé, qui si fanno delle sintesi formidabili: “Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”. Ecco cosa intendevo dire quando ricordavo le parole del Signore: “lo Spirito Santo vi farà capire anche cose che adesso non capite!”.

In Giovanni il titolo, per così dire, è costituito dal Prologo (1,1-18) in cui si dicono di Gesù delle cose che non avrebbe potuto dire da sé. “Il Verbo”, è la Parola del Padre, uguale al Padre; Dio presso Dio. Nel seno del Padre e che era prima della creazione del mondo, da sempre! Ecco chi è Gesù: «In principio era il Verbo…», non nel senso “vi rac­conto la storia del Verbo: c’era una volta il Verbo..”. No! C’è un soggetto in tutto questo, non un soggetto sintattico, ma un soggetto logico; qual’é il soggetto? Gesù! Gesù “era” in principio il Verbo; e quel Verbo “era” presso Dio!

Poi il Vangelo di Giovanni più avanti scrive: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (3,35). È un’altra annotazione dell’evangelista. Allora, chi è Gesù? Gesù è il Figlio. Il Figlio amato dal Padre in modo unico, perché è “il Figlio”, non è “un” Figlio: “Il Figlio!”: è unico: l’Unigenito! E che ha ricevuto dai Padre ogni cosa: è il Signore di tutto! Non c’è nulla che non sia in mano sua.

Dicono gli Evangelisti, in particolare Mat­teo che riflette su quello che racconta: «Questo avvenne perchè si adempisse la Scrittura che dice…»; è la sua testimonianza! Gesù è colui che è venuto per adempiere le Scritture. Ma attenzione, non c’è sem­plicemente uguaglianza, corrispondenza, fra la parola della Scrittura profetica e l’operazione di Gesù; c’è dipendenza causale. Gesù è venuto per adempiere quella Scrittura; è venuto perché era stato promesso così, per mostrare vera quella Scrittura, per obbedire al Padre che aveva detto: “così accadrà”! Quando si legge: «Questo accadde perchè si adempisse…», vuol dire che Gesù è colui che si è assoggettato totalmente alla Parola di Dio e che è stato mandato da Dio per adempierla. Così nel Vangelo di Matteo, nel suo insieme, lo si trova infinite volte.

  • L’opera fondamentale – Ancora: qual’é l’opera essenziale di Gesù? Dicono i Vangeli: è la sua morte redentrice; morte e risurrezione, insieme naturalmente: il Mistero Pasquale.

E perché Gesù ha subito la morte perché è passato attraverso il “battesimo”, come lui lo chiama, della sua morte? Lo dice il Vangelo di Giovanni al capitolo 11,51s. Dopo aver riferito le parole di Caifa che era sommo sacerdote in quell’anno e che «profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi». Per raccogliere, in forza della sua morte, in sé tutti i figli dispersi in tutte le nazioni. Sono dispersi finché non sono nel Cristo; sono separati fra loro e da Dio finché non sono in Gesù. La morte di Gesù rappresenta il grande coagulo che unisce al Cristo tutti gli uomini. Proprio tutti? Al solito gli Evangelisti riprendendo le parole di Gesù e commentando le sue parole, dicono: “Sì, tutti quelli che credono”.

Qui abbiamo la conferma totale di ciò che abbiamo visto e detto da Gesù stesso: Giovanni 3,36: «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui»: è nell’ira; è nato figlio dell’ira; è nato nel peccato: resta nel peccato. Per uscire dal peccato c’è una sola via, un solo modo: credere in Gesù! Chi crede esce dal peccato, si li­bera dal giudizio dell’ira e ottiene la vita eterna.

Ma la stessa cosa è già detta da Giovanni nel Prologo, al cap. 1,10s.: «Il mondo non l’ha ritenuto (non l’ha accolto), gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce» ma quelli che l’hanno accolto sono coloro che credono nel suo nome. “Acco­gliere” vuol dire “credere”: in che cosa? credere in Dio? Avere la fede in genere? Avere un atteggiamento di fede e di abbando­no? No, no, no! Ossia: sì, sì, sì! Ma prima di tutto è “credere in Gesù”! La fede che salva è la fede in Gesù: la fede che ha un oggetto, lui! Non la fede semplicemente: «a coloro che l’hanno accolto – cioè coloro che hanno creduto nel suo nome – ha dato il potere di diventare figli di Dio», cioè di essere rigenerati.

Questo Gesù l’aveva detto parlando con Nicodemo: «Chi è nato dalla carne è carne, chi è nato dallo Spirito è Spirito. In verità vi dico, se non rinascerete non potrete vedere il Regno di Dio» (Gv 3,6). L’ha detto Gesù, ma lo dicono “meglio” i suoi discepoli, lo dice “meglio” l’evangelista Giovanni, perché lo Spirito gliel’ha fatto capire meglio e gliel’ha detto in modo più diretto di quanto Gesù non potesse dire a quel maestro in Israele che era Nicodemo, colui che andò da lui di notte per paura. «Ha dato il potere di diventare figli di Dio, i quali non da carne, non da sangue, non da volontà d’uomo, ma da Dio sono na­ti» (1,13). E questo essere “figli di Dio” ci dà di attingere alla pienezza del Cristo che ha in sé tutta la pienezza! «grazia su grazia!» (Gv 1,16). È lo Spirito Santo!

  • Vedete che cosa è venuto a fare Gesù, secondo gli Evangelisti? È venuto per adempiere le Scritture, per adempiere il precetto fondamentale del Padre contenuto in esse e che era la sua morte di croce, in modo. da potere liberare l’uomo dalla con­danna del peccato e della morte – dall’ira di Dio -, che l’uomo che credesse in lui e che, mediante a fede in lui, potesse essere, non soltanto liberato dal peccato, ma rigenerato come creatura nuova nata dallo Spirito: una creatura “divina”.

«Chi è nato dalla carne è carne; chi è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6) vuol dire: chi è nato in questo modo non è realtà crea­ta, è qualcosa di più! Attingendo dalla vita del Cristo, al quale si è unito mediante la fede, attingendo grazia su grazia, bevendo a questa sorgente della grazia che sgorga da Gesù diventa figlio nel Figlio. Ecco cosa è venuto a fare secondo gli evangelisti. Alla fine del cap. 20, che è propriamente la conclusione formale del Vangelo, Giovanni dice: «I segni che sono stati scritti in questo libro, sono stati scritti perchè crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita nel suo Nome» (20,31). La vita che non e la vita umana, ma la vita divina: quella vita che è Dio stesso!

  1. Gli altri testi del Nuovo Testamento – Scelgo alcuni testi; anzitutto gli Atti degli Apostoli perché riferiscono in modo diretto e, a mio parere, giustificato scientifi­camente, storicamente soprattutto nell’ambito della fede in modo attendibile, l’annuncio cristiano primitivo, cioè il “catechismo primitivo”. “L’annuncio”, la prima proclamazione, la più elementare, quella che conteneva la risposta alla domanda “chi è Gesù?” e quella che addirittura conteneva qualche volta, in qualche caso, la rivelazione che era successo un fatto: “Sapete … vi racconto che cos’è accaduto. C’è stato un uomo accreditato da Dio, con segni, opere di potenza, che è passato facendo il bene e guarendo tutti quelli che erano oppressi dal diavolo e cha ha annunciato parole di Dio; era potente in opere e in paro­le, ed essendo innocente è stato condannato, non per caso, ma perchè così era stato predetto e per adempiere le Scritture. Que­st’uomo era Gesù di Nazareth. L’hanno ucciso, l’hanno inchiodato ad una croce, ma Dio l’ha fatto risuscitare, Noi l’abbiamo vi­sto. Ed ha dato lo Spirito, lo Spirito che opera mediante le nostre mani con segni di potenza (cf. At 2,22s.). L’annuncio era pressappoco questo. Gli Atti degli Apostoli lo riferiscono come si faceva, e lo riferiscono con una freschezza che è straordinaria! Perchè ci sono molti elementi che mostrano proprio il valore della testimonianza diretta con cui gli Atti degli Apostoli riferiscono questi di­scorsi dell’annuncio elementare cristiano.
  2. Il Kerigma apostolico – Allora, dopo aver visto quello che Gesù dice di sé, dopo aver visto quello che i Vangeli dicono di lui, vediamo come gli Apo­stoli cercano, a loro volta, di presentare questo problema nel primo annuncio, nella prima rivelazione, nel primo grande proclama, nel primo grande “manifesto cristiano: il “Kerigma apostoli­co”. Il Kerigma è la proclamazione solenne, semplice, elementare, ufficiale dell’evento che si è compiuto.

Trascrivo alcuni passaggi di questo annuncio in cui si trova – essenzialmente – tutto quello che ci interessa riguardo a Gesù.

  • Vediamo alcuni passaggi del grande discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste colto nei momenti fondamentali del suo sviluppo. Atti 2,22-24: «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere»; poi Atti 2,32-33 e 36: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire … Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso». Vediamo un altro versetto in At 4,12 che fa parte del Kerigma, dell’annuncio fatto dagli Apostoli Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio su Gesù: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». Passo fondamentale per rispondere alla domanda: “cos’è venuto a fare” Gesù. Pietro in casa di Cornelio dice che il Signore: «ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,42s.). Questi brani degli Atti offrono un elenco piuttosto corposo delle prerogative del Cristo. Ha compiuto miracoli, uomo, crocifisso secondo le Scritture, risuscitato secondo le Scritture, ricevuto lo Spirito lo ha donato, lui è l’unica salvezza per tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, giudice dei vivi e dei morti. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza.
  • Come si è salvati? Come si è assolti dall’ultimo grande giudizio di cui Gesù è il termine, l’oggetto e il giudice supremo? Chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome! Qui c’è tutto! In questi pochi testi degli Atti c’è tutto il trattato di cristologia! Accanto al Kerigma si trovano anche brani di tipo catechetico, veri piccoli trattati di cristologia completissimi in cui non c’è soltanto l’annuncio elementare, ma c’è anche la riflessione sull’annuncio, e c’è la presentazione formale dell’annuncio dell’evento Gesù, come sintesi teologica spirituale. Tutto! E sono i grandi Inni cristologici delle Let­tere pastorali. Un primo brano è Colossesì 1,15-20:

«Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
16 perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
17 Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
18 Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
19 È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
20 e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli».

Gesù con la sua morte riconcilia tutto a sé tutte le cose, pacifica il cielo e la terra con il sangue della sua croce e rac­coglie in sé, attirando in sé tutti, la sua Chiesa, il suo corpo, trasmettendo a coloro che sono uniti a lui mediante la fede, ogni grazia e la sua vita!

L’altro è Filippesi 2,6-11:
«egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
7 ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
8 umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
9 Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10 perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11 e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!,
a gloria di Dio Padre».

Vi si celebra la preesistenza (Gesù era nella forma di Dio); la morte in croce; l’esaltazione della risurrezione; la rivelazione della Signoria di Gesù: perchè tutti, credendo in lui, lo invochino, e tutti, riconoscendolo Signore, siano salvati. C’è tutto: “chi è?”, “cos’ha fatto?”, come ci si unisce a lui e come si recepisce la sua opera.

Concludiamo con Efesini 1,3-14, è un testo che contiene tutto e chi lo conosce e lo capisce apprezza la grandezza dell’opera di Dio.

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
5 predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
6 a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
7 In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
8 Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
9 facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
10 per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
11 In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
12 a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
13 In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
14 il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria».