La risurrezione: figliolanza compiuta
Germogli
“germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;
“germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;
“germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).
Alberto Bigarelli
Se chiedessi a chi frequenta la Messa domenicale: «Credi alla risurrezione dai morti?» penso che nella maggioranza dei casi assisterei a una reazione sorpresa, come di fronte a una domanda sconveniente. Se poi insistessi domandando «Cos’è per te la risurrezione?» Apriti cielo! Sbigottimento, mutismo, disagio, tachicardia … Paolo nell’apertura della lettera agli Efesini prega «affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (1,18). Sta parlando della risurrezione come di una realtà entusiasmante, che apre il cuore alla gioia e alla speranza. Anche nella lettera ai Colossesi invita a non dimenticare che «se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria». (3,1-4). La nostra vita, nel senso pieno del termine, è ancora nascosta, non svelata e non goduta appieno. La risurrezione non è una realtà imbarazzante: è il nostro futuro! Ad essa dobbiamo rivolgere, almeno di tanto in tanto, il nostro pensiero.
Per parlarne in modo adeguato è necessario partire da Gesù risorto. La risurrezione è la vittoria sulla morte grazie alla potenza di Dio; in essa Gesù raggiunge la figliolanza perfetta a la dimensione di Signore mentre l’uomo realizza pienamente il desiderio di una vita stabile, come canta il salmo:
«Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (16,11).
Ma cos’è il “sentiero della vita”? Ce lo dicono i versetti precedenti:
«Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione» (16,9-10; cf. At 13,35).
La risurrezione consisterebbe per Gesù nel recupero del proprio corpo prima che vada incontro al processo naturale di decomposizione. Non avverrà così per noi credenti che invece conosceremo la decomposizione. Il contenuto della risurrezione sarà allora per noi la ricomposizione del nostro corpo?
Il brano di Luca 20,27-40 ci offre alcune indicazioni specifiche: «Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Gesù rispose loro: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Dissero allora alcuni scribi: ”Maestro, hai parlato bene”. E non osavano più rivolgergli alcuna domanda».
Secondo la tradizione biblica il defunto lasciava la terra dei vivi e discendeva, attraverso la tomba, in uno spazio sotterraneo fatto di pozzi, caverne e antri chiamato Sheòl (le regioni sotterranee). Tutti i morti si trovavano in quel luogo, ma erano ombre silenziose, fredde e mute, prive di ogni possibilità di comunicazione e di ogni calore umano. L’unica vittoria sulla morte era avere una discendenza che ereditasse la proprietà del padre e perpetuasse il suo nome sulla terra dei vivi. La legge del levirato (cf. Dt 25,5-6) a cui fanno riferimento i sadducei si inserisce perfettamente nel contesto di questa visione della morte perché aveva lo scopo di garantire ad ogni israelita il diritto alla paternità. Ma basando la loro obiezione sulla legge del levirato, i sadducei contrappongono Sheòl e risurrezione come due sbocchi, entrambi immediatamente successivi alla morte, che si escludono a vicenda. Gesù contrappone due mondi separati dalla morte e dal giudizio: questo mondo e l’altro mondo. L’altro mondo è quello della risurrezione, non dello Sheòl. Ed è caratterizzato innanzitutto dalla scomparsa della sessualità come conseguenza della scomparsa della morte; la domanda dei sadducei non ha senso perché nel mondo della risurrezione non esiste più la coppia procreatrice. Di questo dato vengono fornite tre motivazioni che si innestano una sull’altra in uno sviluppo ascendente. Non si costituisce più la coppia, perché non si può più morire. Non si può più morire, perché si è uguali agli angeli. Non si può più morire perché si è figli di Dio in quanto figli della risurrezione. Questa esistenza nuova, aperta dalla morte e dalla potenza di Dio comporta per l’uomo come una mutazione che trascende ogni capacità descrittiva. É un fatto di immensa portata che non esista più né la sessualità, né la morte. Ci sarà data una somiglianza con gli angeli – esseri la cui esistenza è definita totalmente dalla loro vicinanza a Dio -, ma soprattutto perché la risurrezione rende gli uomini figli di Dio: c’è un legame diretto fra risurrezione e filiazione che non va dimenticato come non va dimenticato l’aspetto negativo e cioè l’eliminazione delle caratteristiche fondamentali dell’uomo, vale a dire la sessualità, che determina la strutturazione di tutto l’essere umano e la morte, inevitabile a motivo della destrutturazione di ogni materia organizzata. Nel corso del brano di Luca, Gesù fa riferimento alla teofania di Mosè al roveto ardente (cf. Es 3,2ss.). In quella teofania Dio rivela il proprio nome a Mosè: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Il nome è la persona. Se il nome di Dio include i nomi di Abramo, Isacco e Giacobbe; queste persone devono essere vive: non ci può esserci nulla di morto in Dio. É proprio l’argomento presentato da Gesù: «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi» (Lc 20,38). Ciò che è parte integrante del nome di Dio, il Vivente per eccellenza, non può essere morto. Questi patriarchi, e tutti coloro che hanno vissuto l’alleanza con Dio, per noi sono morti, ma «tutti vivono per lui». Se fossero morti sarebbero nello Sheòl, ma se sono, vivi sono risorti. Gesù chiude il dialogo coi sadducei con un’affermazione categorica: «Voi siete in grande errore!».
Raccogliendo i dati dell’insegnamento lucano sulla risurrezione si può dire che
– Gesù esclude ogni continuità materiale fra l’uomo e la donna, fra questo mondo in cui si muore e il mondo della risurrezione, in cui non si muore più.
– Gesù si basa sulla logica dell’alleanza, mantenuta al di là di ogni ostacolo dalla potenza di Dio e lo Sheòl è il passaggio alla risurrezione attraverso la morte.
– Non è un passaggio riservato a pochi; la conclusione ha un carattere universale: Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi. Per lui tutti i morti sono vivi.
– Tra il mondo della morte e quello della risurrezione la continuità è di ordine personale; l’Abramo che vive presso Dio non è un’altra persona e non è spogliato della sua identità storica.
– Questa condizione nuova, difficilmente descrivibile, si spiega in positivo con il fatto di una vicinanza a Dio, o meglio di una partecipazione al suo essere che fa degli uomini figli di Dio in pienezza.
– La contrapposizione è tra lo Sheòl e il mondo della risurrezione, due mondi diversi ma immediatamente successivi alla morte. Non c’è polemica che contrapponga queste due dimensioni dell’uomo dopo la morte e nessuna delle due è rimandata a un futuro lontano.
Per proseguire il cammino è importantissimo ascoltare l’apostolo Paolo. «Ma qualcuno dirà: “Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?”. “Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo.
Non tutti i corpi sono uguali: altro è quello degli uomini e altro quello degli animali; altro quello degli uccelli e altro quello dei pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale”» (1Cor 15,35-58).
A chi gli ha posto la domanda, l’apostolo risponde con un’invettiva: «Stolto!» Gli dice stolto non perché vuole capire, ma perché ha posto la domanda in un contesto sbagliato, quello di una continuità materiale fra i due mondi, quello di quaggiù e quello di lassù. Paolo insiste sulla differenza, sulla non continuità tra il corpo che muore e il corpo che risorge. Dopo aver fatto alcuni paragoni, l’Apostolo parla della risurrezione come di un passaggio dalla corruttibilità all’incorruttibilità, dall’ignominia alla gloria, dalla debolezza alla forza. E arriva alla formulazione finale: «è seminato corpo animale (psichikon), risorge corpo spirituale (pneumatikon)”».
Non c’è alcuna continuità materiale fra i due corpi, quello animale e quello spirituale. Paolo sottolinea con insistenza questa discontinuità mettendo in risalto la potenza di Dio che è capace di fare cose nuove e totalmente diverse. In 1Cor 6,13 leggiamo: «“I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!”. Ma Dio distruggerà questo e quelli» e sulla stessa linea si potrebbero fare altri esempi: i polmoni sono per l’aria e l’aria per i polmoni, ma Dio distruggerà questa e quelli; le gambe sono per la strada e la strada per le gambe, ma Dio distruggerà questa e quelle, ecc. Un corpo del quale vengono distrutti tutti gli organi e tutte le membra che lo tenevano in contatto col mondo materiale, è ancora un corpo? Se sì, in che senso? Non si può negare una continuità personale ed esistenziale perché il termine “corpo” viene utilizzato anche per lo stato di risorto.
Prendiamo un altro versetto della 1Cor 6: «Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza» (v. 14); il ricordo del corpo del Signore risuscitato fa pensare che il corpo della nostra risurrezione sarà simile al suo; la sostituzione del sostantivo “corpo” col pronome personale “noi” è molto indicativa del senso globale, personale, non materiale, che Paolo attribuisce al termine “corpo” quando lo collega alla risurrezione. In un primo momento il corpo è “animale”, animato da un principio vitale che appartiene al mondo materiale: «il primo uomo tratto dalla terra è di terra» (1Cor 15,47), ma in un secondo momento, l’io che costituisce questo corpo diventerà un corpo spirituale quando la sua appartenenza al mondo sarà distrutta e tutto il suo essere personale verrà ricreato in virtù della vicinanza di Dio, che è vita gloriosa, incorruttibile e potente: infatti «il secondo uomo viene dal cielo» (1Cor 15,47). L’espressione “corpo spirituale” non è più un ossimoro, cioè l’unione sintattica di due termini contraddittori. E così ritorniamo alla frase di Luca: «perché si è figli di Dio in quanto figli della risurrezione» (20,36).
In sostanza, ciò che avviene nella risurrezione è l’acquisizione della filiazione divina, essere figli di Dio Padre. Questo dato è già contenuto indirettamente in 1Cor 15,28: «E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti». Non è panteismo, non è una fusione di tutte le differenze. Dio è tutto, ma «in tutti», ogni singolo rimane, con la sua realtà personale e unica. In Rm 8,14-30 troviamo l’indicazione precisa di questa trasformazione spirituale e del suo contenuto. Innanzitutto, secondo i vv. 14-18 l’azione in noi dello Spirito di Dio produce in noi sulla terra una mentalità e uno spirito filiale che ci fa gridare «Abbà, Padre!». Dopo il battesimo, è questa la realtà che deve crescere ed è l’unica novità esistenziale realizzata in noi. Per il resto anche noi «gemiamo» con tutta la creazione (v. 22), anche noi [i cristiani] che possediamo le primizie dello Spirito [é la certezza di essere figli di Dio], gemiamo interiormente aspettando la filiazione: la liberazione/redenzione del nostro corpo (v. 23). Da qui la scoperta fondamentale: la risurrezione dei corpi coincide esattamente con la filiazione divina. Troviamo la conferma di questo qualche versetto più avanti: «[Dio ha predestinato i cristiani] ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Gesù risorto, il Figlio per eccellenza, è l’immagine del Padre; quest’immagine dunque, questa filiazione perfetta, dev’essere riprodotta nella moltitudine dei fratelli che saranno così altrettanti figli minori risorti. Se lo stretto rapporto tra filiazione e risurrezione vale per Gesù vale anche per tutti gli uomini che sono «figli di Dio» in quanto «figli della risurrezione» (cf. Lc 20,36). Questi due misteri sono inscindibili: la risurrezione coincide esattamente con la divinizzazione dell’uomo tramite la partecipazione alla filiazione di Gesù risorto, immagine perfetta di Dio. Usando un’espressione della lettera agli Ebrei si può dire che Gesù, nostro precursore, nostra guida suprema, ha aperto la via che conduce alla perfezione presso il Padre (cf. 12,2); ljui ci ha preceduti per prepararci una dimora presso il Padre (cf. Gv 14,2), una dimora dove «vi sono molti posti»
Troppi cristiani abbandonano la speranza nell’al di là perché nella visione beatifica vedono uno spettacolo che esaurisce rapidamente il suo interesse, diventando noioso e nella risurrezione finale, non vedono che un’aggiunta senza importanza, un nuovo incontro con la materia del tutto privo di significato per cui cambiare abito non rinnova lo spettacolo! Ma l’evento della risurrezione fonda una realtà nuova – Gesù costituito Figlio di Dio con potenza – e nello stesso tempo è segno di una partecipazione offerta a tutti – Gesù è il primogenito di molti fratelli. Il Nuovo Testamento non ignora la dimensione attuale della risurrezione, il suo significato quotidiano in cui noi esistiamo come figli della risurrezione o soltanto come futuri morti (cf. 1Cor 15,58). La Parola di Dio mi sembra distingua tre livelli in cui il mistero della risurrezione raggiunge gli uomini e li trasformi. Un primo livello è quello della conversione in cui l’uomo diventa credente e comincia a vivere come tale. In Ef 2,5-6 si legge: «ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù». Secondo l’interpretazione tradizionale un’affermazione del genere si spiega soltanto come una celebrazione anticipata non priva di enfasi. Se la risurrezione e l’ascensione costituiscono un unico avvenimento il cui contenuto è la filiazione, questo avvenimento comincia realmente il giorno in cui l’uomo si rende conto di essere amato e che il nostro Dio è un Dio della vita. In quel momento l’uomo comincia a risorgere perché si sente accolto dal Padre. Questa risurrezione attuale ha una dimensione progressiva e non esiste se non in un contesto evolutivo, come scrive Paolo: «e noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito» (2Cor 3,18).
Il secondo livello è quello della morte personale dell’uomo. Il Nuovo Testamento lo afferma per Gesù attraverso l’immagine dell’attraversamento del velo e dell’accesso al trono di Dio» (cf. Eb 10,20), come attraverso l’immagine della lacerazione del velo del tempio, che significa la costituzione immediata di un altro luogo, celeste, dove la novità dell’alleanza fra Dio e gli uomini, con la morte e risurrezione di Gesù, raggiunge la sua piena realizzazione (cf. Mt 27,51). La realtà immediata della risurrezione viene affermata anche per il cristiano: «sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli» (2Cor 5,1). La “tenda” non fatta da mano d’uomo è il corpo spirituale, opera di Dio.
Il terzo livello è la risurrezione dell’ultimo giorno in cui Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28). Il mistero assumerà la sua dimensione globale Non avverrà per un esaurimento anche prevedibile delle energie cosmiche, né per un’attività insensata e distruttiva dell’uomo, ma per decreto di Dio (cf. At 1,7), in modo inaspettato e rapidissimo (cf. Mt 24,44 e parall.; 1Tess 5,3.16ss. Rm 13,11; 1Pt 4,5ss.; Eb 10,25.37). Allora «se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini» (1Cor 15,19).