Un’introduzione alla Lectio Divina

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

Questo fascicolo si collega idealmente al primo della collanina “germogli” intitolato: “Cenni sulla preghiera cristiana”. Riprendo l’argomento perché mi è sembrato opportuno completare una riflessione avviata, ma priva di indicazioni concrete. Questa introduzione alla Lectio divina, può essere un Vademecum sufficiente per chi voglia fare spazio a quella preghiera che ha il privilegio di  metterci in contatto vitale con le fonti intramontabili della nostra fede; con quella Parola che è una sorgente inesauribile per una vita cristiana più adulta e consapevole.

In un bellissimo passo di un antico commento rabbinico al Deutoronomio, chiamato Sifrè, così si cantano le lodi della Toràh:

«Le parole della Toràh possono essere paragonate all’acqua. Come l’acqua è vita per il mondo, così le parole della Toràh sono vita per il mondo; come è detto: “Esse (le parole della Toràh) sono vita per chi le trova” (Pr 4,22). Come l’acqua libera ciò che è impuro dalla sua impurità, così le parole della Toràh liberano ciò che è impuro dalla sua impurità. Come è detto: “Purissima è la tua parola, il tuo servo la predilige” (Sal 119,140). Come l’acqua restituisce la forza vitale all’uomo – secondo quanto è detto: “Come acqua fresca per la tua gola riarsa” (Pr 25,25) – così le parole della Toràh restituiscono le forze vitali all’uomo. Come è detto: “la Toràh del Signore è perfetta, rinfranca l’anima” (Sal 19,8). Come l’acqua è gratuita per tutto il mondo, così anche le parole della Toràh sono gratuite per tutto il mondo. Così infatti è detto: “E voi tutti assetati venite all’acqua! Chi non ha denaro venga ugualmente” (Is 55,1). Come l’acqua è inestimabile, così anche le parole della Toràh sono inestimabili, come è detto: “Essa è più preziosa delle perle” (Pr 3, 15)» (par. 48).

E ancora il Talmud commentando Abacuc 1,14 («Tu hai fatto gli uomini come i pesci del mare»), proclama: «Perché gli uomini sono paragonati ai pesci? Per insegnarti che come i pesci del mare muoiono non appena vengono sulla terra asciutta, così gli uomini muoiono non appena si separano dalle parole della Toràh» (bAvodàh Zaràh 3b).

Questa pagina, squisitamente ebraica, che canta il valore della Toràh, ci introduce bene alla comprensione della lectio divina. Rifacendomi alla parole del card. C.M.Martini, la lectio divina è la lettura di una pagina biblica, che tende a diventare preghiera e a trasformare la vita. La lectio è un esercizio metodico, ordinato e non casuale, di ascolto della Parola in un clima di silenzio e di preghiera. Esso si attua idealmente a proposito di tutta la Bibbia, non solo di qualche brano scelto. È quindi tendenzialmente una lectio continua e completa.

È questo tipo la lectio che la liturgia ci aiuta a compiere nel triplice ciclo delle letture eucaristiche domenicali, nel duplice ciclo delle letture feriali e nel ciclo annuale delle letture del lezionario. La lectio è dunque, sostanzialmente, un atto che si fa nella Chiesa e in comunione con la Chiesa, anche se spesso è un esercizio del singolo fedele o di piccoli gruppi; sempre è inteso come parte del grande ascolto che la Chiesa fa della parola del suo Signore.

Nella lectio divina il tesoro accumulato dall’esegesi viene a confluire nella vita quotidiana del popolo di Dio tramite diversi livelli di mediazione, che vanno accuratamente coltivati nell’intero corpo ecclesiastico, a partire dagli esegeti di professione fino ai divulgatori, ai molteplici sussidi oggi esistenti e alla lectio personale. In modo speciale, la lectio divina, nella sua scansione tradizionale – lectio, meditatio, contemplatio – e soprattutto nel primo momento (la lettura), ha bisogno di tutti gli apporti dell’esegesi scientifica, dosati naturalmente a seconda della capacità e cultura di chi compie l’esercizio della lectio. Anche nel momento della meditatio, ha bisogno di un confronto con la teologia biblica e la tradizione dottrinale della Chiesa, che metta in guardia rispetto a piste false e orienti nel giusto sentiero.

Così intesa, la lectio è un grande tesoro oggi per la Chiesa. Scrive la Dei Verbum: «È necessario che tutti i chierici … e quanti come i diaconi e i catechisti attendono legittimamente al ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le scritture mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato» (§ 25); si nota lo spontaneo collegamento tra la lectio sacra e lo studio accurato (exquisitum), cioè non superficiale. Il Concilio non sente quindi nessuna opposizione tra le due attività e considera la seconda come una conseguenza e insieme una condizione per la prima. Inoltre il Concilio «esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo con la frequente lettura delle divine Scritture accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo» E qui viene citato S.Ambrogio: «quando preghiamo parliamo con Lui; Lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini».( Ib).

Con la lectio la Chiesa non si inventa nulla di nuovo, anzi recupera un metodo di lettura della Scrittura che era proprio di Israele, della Chiesa primitiva e dell’epoca patristica. La lectio è una preghiera articolata a tappe e suppone una scelta determinata, consolidata di discepolato. La lectio dunque richiede tempo.

Le tappe della preghiera sono quattro: lettura (lectio), riflessione (meditatio), – ma non occorre essere rigorosi nel distinguerle – preghiera (oratio) e contemplazione (contemplatio). Qualcuno le abbrevia alle prime tre; altri, come C.M.Martini, vi aggiungono: consolatio, discretio (discernimento), deliberatio, actio; altri fondono oratio e contemplatio.

Guigo, uno dei primi certosini (sec. XII), scrivendo all’amico Gervasio così parafrasa: «cercate nella lettura, troverete con la meditazione; picchiate nella preghiera, entrerete nella contemplazione». Io mi attengo a questa scansione.

Prima di descrivere le varie tappe della lectio, mi sembra sia necessario insistere sugli atteggiamenti di fondo. Il punto più elementare ma fondamentale è la convinzione che la Bibbia è il libro del popolo di Dio. Ce lo ha già detto la Dei Verbum, eppure qualche richiamo alla dottrina dei Padri della Chiesa può illustrarlo sufficientemente.

Origene commentando il passo di Giosuè 1,8 scrive: «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa Legge, ma meditalo, giorno e notte», scrive ancora: «Non basta dunque il giorno per meditare, ma anche la notte vi si deve aggiungere» E continua, rimproverando i comuni fedeli che lo ascoltavano di non prendere questo precetto abbastanza alla lettera: «Voi, invece, non solo dormite di notte, ma tutto il giorno vi date alle occupazioni mondane». Riecheggia Dt 6,7.

Commentando la Genesi insiste dicendo che i credenti devono «meditare sulla legge di Dio giorno e notte, senza cessare assolutamente mai (omnino numquam) dal cercare, dal parlarne, dal trattarne»; e che non solo in chiesa, ma anche a casa propria devono «occuparsene, … sempre scrutando, … sempre cercando, sempre desiderando di apprendere: e meditarla e rimanere in essa, … applicandovisi … giorno e notte» ciascuno, nella comune fede, impegnando senza risparmio tutte le risorse del proprio spirito: «tenta, … anche tu che ascolti, di avere il tuo pozzo e la tua fonte: … tenta anche tu di bere alla fonte del tuo ingegno: … poiché anche dentro di te c’è dell’acqua viva, ci sono vene d’acqua perenni» (Ib. XII,5).

Lorenzo Giustiniani (1381-1456), primo patriarca di Venezia, scrive: «Nulla di più dolce si sperimenta in questo pellegrinaggio, nulla di più dolce si riceve, nulla di  più vero si accoglie: nulla maggiormente distoglie l’anima dall’amore del mondo, nulla tanto rafforza lo spirito contro le tentazioni e l’intelletto contro gli errori, nulla tanto ravviva l’uomo e lo soccorre per ogni opera e ogni fatica, quanto l’assidua meditazione delle parole di Dio».

S.Gregorio Magno afferma che per attendere fruttuosamente al ministero, il pastore di anime non deve mai abbandonare lo studio e la meditazione della Parola (cf. Regula Pastoralis II,11). Così scrive S.Girolamo a un presbitero (cf. Ep. 52 ad Nepotianum 7).

Lo stesso Gaspare Contarini, (card. veneziano 1483-1542) esponente della controriforma nel De officio Episcopi scrive che il pastore: «soprattutto, conviene che conosca l’Antico e il Nuovo Testamento come le sue unghie e le sue dita, e goda di quella lettura e vi si applichi assiduamente; ed infine riporti tutti gli altri studi a questi». Lo stesso afferma S.Girolamo nelle Vitae Patrum dei monaci, degli eremiti e delle vergini.

Ma anche i laici devono assumersi questo impegno. Ancora S.Gerolamo, ad una matrona romana sposata prescrive di: «avere sempre in mano le divine Scritture, e di riandarvi sempre con la mente».

S.Giovanni. Crisostomo (ca. 345-407), vescovo di Costantinopoli, scrive ripetutamente che i laici, proprio perché ogni giorno maggiormente esposti a subire ferite nell’anima a causa dei loro impegni mondani, in un certo senso sono da ritenersi «ancora più bisognosi… del quotidiano farmaco delle Scritture: non credano quindi, che sia scusa valida, per loro, il non essere monaci, e l’aver moglie e figli e case da amministrare» quasi che «la lettura delle divine Scritture fosse cosa solo da monaci».

Anche per esse, infatti, «è dall’ignoranza delle Scritture, che nasce ogni genere di mali»: perché, «come chi manca della luce materiale non può camminare dritto, così chi non volge lo sguardo al raggio  delle divine Scritture inevitabilmente cade spesso in peccato» (In Ep. ad Romanos I,1).

Con tono insistente e appassionato dice che la Bibbia è medicina dell’anima «comperatevi una Bibbia», «almeno il Nuovo Testamento» (in Ep ad Col. IX,1). «Fatemi questa grazia – supplica – che ciascuno a casa propria prenda in mano il testo… che dovrà essere proclamato nella liturgia, e se lo legga spesso», in modo da giungere preparato ad ascoltarlo. Lo si faccia, questo, e non si portino scuse di «impegni pubblici o privati», né si dica che non si ha il denaro per acquistare i libri santi: «ciascuno non si procura forse – tutti, e completi di ogni parte – gli arnesi del proprio mestiere?» (In Iohannem XI,1), «si va forse alla guerra senza avere le armi?» (in Ep ad Col. IX,2).

Un importantissimo atteggiamento di fondo è aver presente l’unità delle Scritture che hanno al centro il mistero pasquale (cf. Lc 24,27.45-47). è vero che «tutta la Scrittura è ispirata da Dio» (cf. 2Tm 3,16s.; DV 11), ma l’unità della Scrittura è in Cristo. La tradizione ecclesiale è unanime su questo punto.

Qualche richiamo: il Cristo è a un tempo «il Signore dei profeti e colui che adempie le profezie» (S.Agostino, In Iohannem XLIII, 6); è colui «riguardo al quale e per mezzo del quale è ogni profezia» (Ilario, In Ps LIV, 2); è la Parola e l’esegesi della Parola; e «il libro che apre se stesso» (Bernardo, In die s.Paschae, Sermo de 7 signaculis, XII); è colui che solo può spiegare le Scritture perché «colui che è l’autore dei santi Testamenti ne è anche l’esegeta» (Gregorio Magno, In Hiez. I,7,17).

La lettura cristiana delle Scritture cerca dunque la reciprocità e l’interdipendenza fra i due testamenti i quali danno in Cristo la loro chiave di volta: «Nei due testamenti si trova il Cristo, perché il Cristo stesso è il loro consensus» (Origene, In Matt XIV,4), «nel Nuovo Testamento vedi l’antico rivelato (revelatum), nell’Antico vedi il Nuovo velato (velatum)» (S.Agostino, Enarr. In Ps CV,36).

Un terzo atteggiamento di fondo quando si pratica le lectio è la fede, cioè la fiducia in Dio e in Cristo; la fiducia che le pagine bibliche veicolano la verità che salva e ci introducono in essa. Qualche richiamo.

Ad es. S.Bonaventura (1221-1274): «È dalla conoscenza di Gesù Cristo, che deriva la solidità e la comprensione di tutta la Scrittura: è perciò impossibile che si acceda alla conoscenza della Scrittura senza aver prima ricevuto il dono della fede in Cristo, la quale è lucerna, porta e fondamento stesso di tutta la Scrittura». Solo l’intelletto, illuminato dalla fede in Cristo, può cogliere il senso compiuto delle Scritture.

A questo proposito V.Peri, riassume bene il suo pensiero quando scrive per lui: «l’esatta comprensione (scientia) delle Scritture, non è riducibile a un processo, pur necessario, di tecnica conoscitiva, ma si qualifica come acquisizione sapienziale: esperienza vitale, quindi, e fatto mistico. Perciò qualsiasi tentativo di esprimere sulla Scrittura un mero giudizio culturale, che prescinda in chi lo emette dalla fede praticata ed ortodossa nella natura ispirata del Libro sacro, è destinato a fallire il suo proposito e ad infrangersi contro la compattezza granitica e senza appigli della parola di Dio, fino a che non si lascia assorbire e coinvolgere dalla forza misteriosa e coerente della sua logica interna di origine soprannaturale» (Omelie origeniane).

Basilio (ca 329- 379) nel De Baptismo scrive: «È necessario che mediante la fede sia compresa e considerata la portata di ogni parola; … sta scritto, infatti: “Se non avrete creduto, neppure comprenderete”» (I,2). S.Agostino (354-430) nel Contra Faustum afferma: «occorre bussare alla porta del mistero con fede devota e impegno, perché il Signore apre» (XXII,38), mentre Ruperto di Deutz (1075-11229), il più grande asceta del medioevo, dice: «Le profondità delle Scritture non si comprendono altrimenti, che mediante la fede in Cristo» (In Deut. II, CCCM,22).

Quarto requisito per chi vive la lectio è la preghiera. La Dei Verbum recita: «La lettura sacra dev’essere accompagnata dalla preghiera affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo» (25). Il crede ut intellegas” sfocia nell’“ora ut intellegas”: pregare per comprendere!

Richiamo due grandi testimoni. S.Agostino, nel suo De doctrina christiana, scrive: «bisogna ammonire gli studiosi dei testi santi non solo a conoscere i generi letterari in uso nelle sacre Scritture e a notare diligentemente e sapere a memoria le consuetudini di linguaggio in esse vigenti, ma anche – che è la cosa principale e più di tutte necessaria – a pregare per comprendere. In quelle Scritture che studiano, infatti, essi leggono che è il Signore a dare la sapienza, e dalla sua faccia procedono scienza e intelletto».

Nel commento alla Genesi di Origene troviamo: «Occorrono lacrime e preghiera incessante, perché il Signore apra i nostri occhi: anche a quei ciechi che sedevano a Gerico, infatti, se non avessero gridato al Signore, gli occhi non sarebbero stati aperti”; ciascuno, pertanto, «deve pregare che sia tolto il velo dal proprio cuore (2Cor 3,15)» (VII,6).

Un quinto atteggiamento, anch’esso importantissimo è la conversione. Ad esso invita ancora la Dei Verbum: «A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero, liberamente, prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà» (n. 5).

La lettera di Giacomo ricorda con chiarezza che Parola è come uno specchio che rivela il nostro volto; essa ci mostra chi siamo ed avendoci illuminati sollecita una riforma personale: «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (1,22-25). Ancora due rimandi: ad Origene e S.Agostino. Nel suo commento all’Esodo, Origene scrive: «fino a quando le cose che sono state scritte sono oscure e chiuse per noi, non ci siamo ancora convertiti al Signore. Poiché, se ci fossimo convertiti al Signore, senza dubbio il velo sarebbe stato tolto» (in Ex. XII,I); S.Agostino: «Se volete comprendere di più, crescete, e se volete crescere vivete bene!» (Sermones in Vetere testamenti IV, 36).

I quattro momenti della Lectio divina

Lettura (Lectio) a. «é necessario dedicarsi in ore determinate ad una lettura determinata. Infatti una lettura occasionale, priva di riferimenti e quasi scoperta casualmente, non edifica l’anima, ma la rende incostante: accolta alla leggera, sparisce dalla memoria ancor più leggermente» scrive saggiamente Guglielmo di Saint-Thierry, detto il grande, religioso del IX sec. (Lettera d’oro, 120) La Lectio non può essere “una lettura occasionale”, accidentale, casuale. È necessario evitare scelte emotive e sentimentali, scegliere un libro, un vangelo, una lettera. È opportuno decidere una lettura continuata, integrale, completa. Può essere anche la lettura che segue il ciclo liturgico giornaliero, sebbene qua e là manchino delle parti. Tutto contiene la Parola di Dio; in ogni caso brani circoscritti, ma in successione.

b. Ci si dispone in silenzio, all’ascolto, all’incontro con Colui che mi cerca nella/attraverso la sua parola. Consiglio pratico: è bene avere una propria Bibbia su cui lavorare.

 c. Invocazione dello Spirito Santo; «prima della lettura prega e supplica Dio che si rivela a te» (S.Efrem il siro). S.Giovanni Crisostomo pregava: «Apri gli occhi del mio cuore affinché io comprenda e compia la tua volontà … illumina i miei occhi con la tua Luce». Occorre chiedere lo Spirito nella certezza che esso verrà dato. Questa è la domanda che sarà sempre esaudita (cf. Lc 11,13). L’invocazione dello Spirito Santo produce anzitutto la docilità, la comprensione l’illuminazione. Guglielmo di Saint-Thierry esortava: «nello Spirito stesso in cui le Scritture furono fissate, desiderano essere lette e nello stesso Spirito devono essere interpretate» (Ib.).

d. Dopo l’invocazione, la lettura; spesso è necessario rileggere una seconda o terza volta.

Comincia così il trapasso verso la riflessione; afferma il card. Martini: «E’ importante che si legga con la penna, non soltanto con gli occhi. Si sottolineano i verbi, si inquadra il soggetto principale, con una crocetta o un piccolo cerchio si richiama l’attenzione sulle altre parole che mi colpiscono. Là dove non mi è chiaro il senso, segno al margine un punto interrogativo …» (ciclostilato).

Cerco di individuare la “parola chiave” del brano. Posso sottolineare altri elementi, es. azioni, vocaboli che hanno a che fare – secondo me – con la parola o il tema chiave. Se non c’è una parola chiave, cerco il personaggio chiave, il soggetto che agisce o che riceve l’azione. Posso osservare le azioni, le frasi di queste azioni, le parole più ripetute.

Importante notare l’ambiente in cui si svolgono i fatti. Notare se il brano contiene simboli; il simbolo o un’azione simbolica è un elemento molto importante per la lectio.

Poi è indispensabile collocare il brano nel contesto più ampio in cui è posto. Questo lo si scopre leggendo i brani vicini, quello che precede e quello che segue (es. il contesto chiaramente riconoscibile del discorso della montagna: Mt 5-7; o quello dei discorsi di addio: Gv 13-17; ecc).

La riflessione (Meditatio) – Una lettura ben fatta sfocia spontaneamente nella riflessione. La riflessione consiste nel riandare alla parola letta. É il momento della “ruminatio”. É il momento in cui si guarda alla pagina biblica “di sfuggita” ormai si è in grado di cogliere i valori permanenti contenuti nel brano. Cioè si lasciano da parte le osservazioni analitiche dei soggetti, degli oggetti, dei simboli, dei movimenti che sono descritti per concentrarsi sui valori che essi veicolano.

Occorre fare agire la mente e il cuore: quali valori esprime Gesù con quelle parole, con quei gesti? Oppure: quali valori mi sta presentando S.Paolo? Occorre che questi valori risuonino dentro di noi e così cominciamo a lasciarcene illuminare: In cosa questa pagina mi interpella, in cosa mi rimprovera, in cosa mi conferma, o a cosa mi esorta? É il confronto con la Parola!

Si può riportare alla memoria qualche altra parola, qualche versetto, passo parallelo, brani simili a quello pregato; si può usare una sinossi, un libro di concordanze…

L’impegno personale è faticoso, ma indispensabile.

«La Parola resa incandescente dalla meditazione, diventa fonte di luce sulla nostra vita e riverbera la sua luminosità sul mondo intero e sulla storia. La Parola ci illumina a tal punto che ricrea in noi quella stessa situazione interiore che sperimentarono gli abitanti di Gerusalemme alla prima predicazione di Pietro quando, come raccontano gli Atti (2,37): “si sentivano trafiggere il cuore e dissero: che cosa dobbiamo fare?” Infatti soltanto se avviene questa trafittura nasce anche la nuova disponibilità a operare in linea con la parola ascoltata» (I.Gargano, Dal sorgere del sole al suo tramonto, 63). Mons. M.Magrassi scrive: “Aderisci totalmente al testo e quanto esso dice riferiscilo a te stesso» (M.Magrassi, Bibbia e preghiera, 144). «Dobbiamo comprendere e trasformare, in noi stessi ciò che leggiamo, affinché, mentre lo Spirito è stimolato da ciò che ascolta, la vita concorre a tradurre nelle opere la parola ascoltata» (G.Magno, Commento a Gb 1,33).

La parola di Dio, letta e ascoltata con cuore puro, ci introduce «nell’obbedienza della fede» (Rm 16,26). Il testo sacro «interpella la mia vita in tutti i suoi elementi. Mira a tutto ciò che io sono: risponde ai miei problemi personali e ai miei bisogni concreti. È vero che mi presenta i paradigmi di un’esperienza religiosa oggettiva e universale; ma questa esperienza, guidata da Dio, è tale che in essa si ritrova l’esperienza dei singoli» (M.Magrassi, 147). Tutto questo avviene perché c’è «affinità dell’anima con la Parola» (S. Bernardo, Ser. sul Cantico 81,1).

La meditatio, la riflessione, introduce il lettore in un’intelligenza saporosa e vitale della parola di Dio. Afferma S.Agostino: «Chi medita giorno e notte la parola del Signore quasi rumina e, in quello che può dirsi il palato del cuore, gusta il sapore della Parola divina» (Disc. 149,3,4).

Il secondo momento della Lectio divina prepara ormai il successivo, la preghiera.

La preghiera (Oratio) – Ovviamente verso la preghiera, convergono sia la lettura che la riflessione. «Quando leggi, lo sposo ti parla; quando preghi, lo sposo ti ascolta» (S.Girolamo, Lettera 22, 25). Se la riflessione personale può essere aiutata da qualcuno attraverso un commento, la preghiera resta un momento del tutto personale. Per questo può assumere le forme più svariate. Non ci sono regole per l’oratio, o meglio, ce n’è una sola: usare le parole del brano o ispirarsi ai contenuti/valori che ci ha rivelato. La preghiera è risposta a ciò che Dio ci ha detto.

S.Agostino mi sembra molto concreto quando scrive: «Se il testo è preghiera, pregate, se è gemito, gemete, se è riconoscenza siate nella gioia, se è un testo di speranza, sperate, se esprime il timore temete. Perché le cose che sentite nel testo sono lo specchio di voi stessi» (Enarr. Sal 33).

Si prega non usando le preghiere più conosciute, ma inventandone come si vuole prendendo le parole del testo, usando un linguaggio personale, colloquiale, da “diario”. Il punto di partenza può essere un verbo, un aggettivo, un concetto…

Se conosco dei salmi o dei cantici biblici che si legano bene a quello che ho sentito, li posso usare. La preghiera è la reazione all’esperienza di Dio che abbiamo fatto nella riflessione, la quale mette sempre in luce qualcosa. Può essere una preghiera di ringraziamento, una preghiera di lode, di intercessione, una richiesta di perdono, di aiuto, elaborate in una formula breve da ripetere spesso, ecc. È possibile una preghiera privata sia una preghiera ecclesiale rivolgendosi a Dio e facendosi interprete della vita della comunità locale, della chiesa diocesana, della vita cristiana. È questa la vera preghiera cristiana: una preghiera meditativa. Purtroppo noi abbiamo un’esperienza di preghiera in cui domina la “deprecatio”, la domanda, la richiesta e la fretta. Impariamo a preparare come cristiani solo attraverso la lectio! In essa il nostro Spirito si dilata reagendo alla parola, aprendosi alla enorme varietà di sollecitazioni che essa contiene, che Dio stesso ci offre. Più facilmente rispetto ad altre formule di preghiera, quella della lectio è una preghiera che sgorga dal cuore, fatta col cuore, nella quale si percepisce di più l’azione dello Spirito.

La preghiera dovrebbe avere sempre una certa struttura:

  1. il ringraziamento e la lode. Un motivo c’è sempre, fosse solo quello del tempo in cui si è rimasti in ascolto anche se apparentemente senza frutti;
  2. la domanda di aiuto nella difficoltà o di perdono per le inadempienze o le omissioni;
  3. si può ripetere un’invocazione allo Spirito. Si può leggere un salmo, …

La contemplazione (Contemplatio) – Non è frutto di sforzi personali, non è uno stato mistico, ma è il frutto naturale del percorso fatto. Non è la contemplazione dell’Assoluto, dei Principi primi. È uno stato di quiete in cui non si ricorre più alle parole. Non si pensa più ai singoli elementi del brano letto e a ciò che abbiamo compreso, ai suoi valori.

Il card. Martini la descrive così: «la contemplazione è qualcosa di molto semplice…si avverte il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarci raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di amarlo come il più grande amico del mondo, di accogliere il suo amore per noi. È un’esperienza meravigliosa che tutti possiamo fare perché fa parte della vita del battezzato, della vita di fede. È l’intuizione profonda e inspiegabile, che al di là delle parole, dei segni, del fatto raccontato, delle cose capite, dei valori emersi, c’è qualcosa di più grande, c’è un orizzonte immenso. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù» (ciclost.).

Giovanni, priore dell’abazia francese di Fecamp (sec. XIV) così descrive la sua esperienza: «Il nulla del mio spirito gode se non quando alzo verso di te, Dio solo, lo sguardo semplice di un cuore puro! Tutto tace, tutto è calmo, il cuore arde d’amore, l’anima è ricolma di gioia, la memoria è piena di forza e l’intelligenza di luce. E lo Spirito intero è infiammato dal desiderio di vedere la tua bellezza, si vede rapito nell’amore delle realtà invisibili».

Nella contemplazione ci si trova in modo più sensibile alla presenza di Dio. A questo punto è inutile cercare e pensare. Occorre lasciar agire lo Spirito il quale ci scalpella al punto da renderci perfettamente simili alla parola pregata. Il risultato, con l’andar del tempo, è diventare quell’uomo nuovo che ha preso vita in noi col battesimo. La contemplazione è ricevere la visita del Verbo che fa crescere in noi la capacità di vivere e agire in comunione col Signore. Riporto l’esperienza di S.Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). «Vi confesso che il Verbo è venuto a far visita anche a me – sto parlando da stolto – e parecchie volte. Se è entrato da me frequentemente, non sempre mi sono accorto del suo arrivo. Io ho avvertito la sua presenza, mi ricordo che si è trattenuto in me; talvolta ho potuto sentire che stava per arrivare, ma percepire il momento del suo ingresso, mai, e neppure quello della sua dipartita. Infatti, donde sia giunto nell’anima mia e dove se ne sia andato quando la lasciava, ma anche da dove è passato per entrarvi o uscirne, confesso anche adesso di non saperlo, secondo quel passo: Non sai donde venga e dove vada (Gv 3,8). Non fa tuttavia meraviglia, poiché di lui è stato detto: Le tue orme rimarranno invisibili (Sal 76,20). Certamente non è entrato dagli occhi, perché non ha colore; non dalle orecchie, perché non fa rumore; e neanche dal naso, perché non si mescola con l’aria, ma con l’anima e non impregna l’aria, ma la crea; e neppure dalla bocca, perché non si lascia masticare né bere; non l’ho sentito al tatto, perché è impalpabile. Da dove, dunque, sarà entrato? O forse è vero che non è neppure entrato, perché non è venuto dal di fuori? Infatti, non è come uno dei tanti oggetti esteriori. Ma non è neanche venuto dal di dentro, perché egli è buono e so che in me non c’è niente di buono. Sono salito nella parte più elevata di me stesso, ma il Verbo era ancora più in alto. Sono andato anche a scandagliare curioso le profondità del mio io, e non l’ho trovato neppure là. Se ho guardato al di fuori di me, l’ho scoperto ben al di là di tutto ciò, che mi è esteriore; se mi son guardato dentro, egli era ancora più addentro. E allora ho conosciuto la verità di quanto avevo letto: che in lui viviamo, ci muoviamo e siamo (At 17,28); e beato colui nel quale lui è, che per lui vive, che in lui si muove» (Sermoni sul Cantico dei cantici II,5).

Ecco la lectio nel suo esito più alto: la comunione, vivere e agire nell’amore del Verbo. Il cammino della lectio non è fine a se stesso. Non nutre ed eleva solo chi lo compie, ma suscita il desiderio di testimoniare il punto d’arrivo della lectio divina si chiama evangelizzazione. Ed è importante. Il frutto dell’antica contemplazione si ha soltanto quando si rompe il guscio del caldo seno materno e si permette agli altri di poter attingere a quella stessa parola che ci ha trasformati finalmente nel cuore» (I.Gargano, La lectio divina, 59)

Alcuni autori moderni consultati:

 

                              E.Bianchi, Pregare la parola, Gribaudi

                              V.Borragan Mata, Il tuo servo ascolta, Ed. Paoline

                              V.Gargano, La lectio divina, Ed. Dehoniane

                              V.Gargano, Dal sorgere del sole al suo tramonto, Ed. Paoline

                              V.Gargano, Iniziazione alla lectio divina, EDB

                              M.Masini, Iniziazione alla lectio divina, Messaggero-Padova

                              C.M.Martini, Popolo in cammino, pp. 13-23, Ed. Ancora

                              C.M.Martini, Ritrovare se stessi, pp. 53-62, Ed. Piemme

                              M.Magrassi, Bibbia e preghiera. La lectio divina, Ed. Ancora

                              U.Neri, Leggere la Bibbia, perché e come, Ed. Dehoniane