L’amato scende nel suo giardino (Ct 6,2) La vocazione di Maria
In occasione della solennità dell’Immacolata Concezione, ospitiamo una riflessione biblica di don Antonio Nepi (Fermo) sull’annunciazione a Maria.
di Antonio Nepi
Il racconto tradizionalmente noto come “L’Annunciazione a Maria” forse andrebbe meglio intitolato “La Vocazione di Maria”, poiché rientra nel modulo tipico delle chiamate decisive nella Bibbia, ma con variazioni significative, perché si tratta di una vocazione ad una maternità unica che segna la storia. Peraltro, ricorrono due termini-chiave come “chiamare” e “nome”, che riecheggiano una nuova creazione (Gn 1) in una teodrammatica che parte dall’insignificante villaggio di Nazareth – mai menzionato nell’AT – e trasforma una semplice ragazza, Maria, nella madre del grande “Nominato” Gesù, Figlio dell’Altissimo, della stirpe di Davide, il Figlio di Dio.
L’annuncio della futura maternità divina che sorprende e frastorna Maria va letto in un raffronto (synkrisis) con quello che aveva turbato lo scettico Zaccaria sulla maternità della moglie sterile Elisabetta. Entrambi si interrogano sulla possibilità dell’evento, con una importante differenza. Quella di Zaccaria è una obiezione che dimentica quanto Dio ha già fatto per altre donne sterili. Quella di Maria è una constatazione perché deve accogliere qualcosa di inaudito: il suo grembo fecondato dallo Spirito di Dio, e non da uomini. La disillusione di Zaccaria (simile a Nicodemo…) serve a far risaltare l’umile recettività di Maria, curiosa di un sogno.
La scena, stilizzata e pregna di allusioni all’AT, si impernia sui discorsi che rivelano il mondo interiore di Maria.
Dal Tempio di Gerusalemme dove celebrava il sacerdote Zaccaria, abbiamo uno zoom sulla quotidianità di una casa laica della Galilea, una regione notoriamente “inquinata” e disprezzata dal clero ed anche dal popolo della città santa, che si ritenevano i religiosamente ortodossi. Ma Dio ama sovvertire le geografie, ribaltare capitali, agire nelle persone umili, marginali o squalificate, persino religiosamente “sconsacrate”. Dio ama sempre partire scandalosamente dal poco! La missione di chiamare Maria è affidata all’angelo Gabriele (il cui nome significa “fortezza di Dio”), specialista in missioni impossibili. Il nome del villaggio di Nazaret verrà collegato dai primi cristiani al «germoglio» (netzer) dell’oracolo messianico di Is 11. Si precisa che l’annuncio avviene nel «sesto mese», collegando la sterilità miracolosamente colmata di Elisabetta (Lc 1,25), al segno che verrà dato a Maria (v. 36). Il nome Miriam viene interpretato in svariati modi e forse quello preferibile è quello di “principessa, eccelsa”; rinvia alla Miriam sorella di Mosè, che aveva cantato la nuova nascita di Israele presso il Mare dei Giunchi (Es 15). La nostra Miriam diventerà l’utero di una liberazione definitiva. Maria viene presentata come «vergine, promessa sposa» di Giuseppe. Secondo le usanze giudaiche in voga, il matrimonio avveniva in due fasi. La prima era di un impegno che legava gli sposi giuridicamente, con la sposa che restava a casa sua con i suoi per circa un anno; e durante questo periodo, in genere, almeno in Galilea, erano vietati rapporti sessuali. La seconda fase coincideva con la coabitazione e la piena relazione coniugale. Una ragazza veniva promessa in matrimonio tra i 12 e i 15 anni. Il testo biblico non specifica l’età di Maria e di Giuseppe. Maria si trova dunque nella prima fase, in una condizione di verginità e questo spiega la sua obiezione (v. 34).
Maria, la «ricolmata di grazia». Il saluto dell’angelo (khaire, «rallegrati, sii contenta», v. 28) è senza paralleli nei racconti di vocazioni ed annunci di nascita. Nel greco dell’epoca suonava come un normale “salve” (ave), ma Luca sembra rivitalizzarlo di una pregnanza messianica, vedendo in Maria la «Figlia di Sion» (= Israele), invitata a gioire per l’arrivo del suo Salvatore (cf. Sof 3,14-18; Zac 9,9; Is 60,1-5). Va notato che le parole dell’angelo sono “dono e non compito” per Maria. Lei è chiamata a lasciarsi fare da Dio! La sua definizione come «ricolmata per sempre di grazia» (kekharitomene, in greco più forte di gratia plena) esprime la sua perfetta trasformazione compiuta da Dio per prepararla ad essere il grembo purissimo dove lieviterà Gesù, il Pane che è la Vita. Maria serve a impastare di umanità la divinità di Gesù. L’assicurazione «il Signore è con te», ricorrente sempre in momenti cruciali di un inviato di Dio (Gn 28,15; Es 3,11; Gs 1,5), è connessa al fatto incredibile che Maria realizzerà la sua maternità restando vergine. Il testo annota il turbamento che la scombussola da cima a fondo, ma evidenzia anche la sua caratteristica di cercare il senso di ogni parola (v. 29) ricomponendone i tasselli (Lc 2,51). Luca insiste su questo atteggiamento sapienziale di Maria dinanzi all’irruzione del Mistero, tipico dei «poveri di JHWH», in perfetta antitesi ai “calcoli” che si annidano nel cuore dei superbi e dei potenti, come Lei stessa canterà nel Magnificat (Lc 1,51). L’Angelo Gabriele garantisce la totale protezione che è compagnia («Non aver paura Maria, il Signore è con te», v. 30). In filigrana, abbiamo gli oracoli di Is 7,14 e di Is 9.6. A differenza di Matteo, Luca non adduce l’interpretazione del nome programmatico di Gesù (= «Dio salva»), ma la insinuerà successivamente nel Benedictus («salvezza», Lc 1,77). La promessa che «sarà grande» conferisce a questo figlio una prerogativa assolutamente divina (Dt 10,17), mentre il titolo «Figlio dell’Altissimo» e la promessa di un «trono eterno» confermano l’amore giurato di Dio alla dinastia davidica (cf. 2Sam 7,14-16), che si realizza tramite l’umanità di Giuseppe (v. 27). Come detto, la reazione di Maria sul “possibile divino” non va confusa con quella di Zaccaria in Lc 1,18; Zaccaria, infatti, pur sacerdote e conoscitore delle Scritture, ha dubitato di una nascita miracolosa che Dio ha già realizzata in passato, cioè far partorire una donna sterile (come Sara, Rebecca, Rachele, o Anna); la domanda di Maria invece verte come sia possibile un parto nella sua attuale situazione di vergine («non ho avuto rapporti sessuali» v. 34) non ancora accasata con il marito.
Maria, nuova genesi della Trinità. L’inaudita creazione che si compirà nel ventre benedetto di Maria, «fontana sigillata» (Ct 4,6), la trasforma in casa della Trinità; lo Spirito Santo «la inonderà». Dio «l’adombrerà» in tutta la sua potenza, così come la Gloria di JHWH aveva adombrato la Tenda degli Israeliti nel deserto facendosi compagno di viaggio del suo popolo e santificandolo (Es 40,39). La metafora dell’«ombra» divina esprime protezione, intimità speciale con connotazioni regali (cf. l’ombra del sovrano in Sal 90,4). L’ultima frase va tradotta «quel che è generato santo, sarà chiamato Figlio di Dio» (v. 35). Gesù è già Santo, non lo diverrà dopo, a differenza di Giovanni Battista che verrà successivamente riempito di Spirito Santo (Lc 1,15). Gesù non è soltanto un discendente di Davide, ma è Figlio di Dio in modo assolutamente unico! L’appellativo «Figlio di Dio» va inteso in senso forte e non come semplice titolo regale, perché è lo Spirito Santo a generare Gesù come totalmente appartenente a Dio. L’invito a leggere («ecco», lett. «vedi») come segno che comprova la gravidanza di Elisabetta abbina l’ultima delle donne sterili di Israele alla prima vergine cristiana, mettendo in rilievo l’onnipotenza di Dio, «cui nulla è impossibile» (Gn 18,14; Ger 32,17.28).
Il sì di Maria. L’ «eccomi» (lett. «vedi») di Maria, è uno sguardo che risponde allo sguardo divino che ha scelto la sua umiltà (Lc 1,48). Ogni vocazione è incontro di occhi, di sguardi. Maria diventa il paradigma di ogni fede, che è fondarsi sul fatto che niente è impossibile a Dio (come Abramo). Ella sa decifrare i segni e riconoscere l’autenticità dei messaggeri («secondo la tua parola»). Il titolo «serva del Signore» è attribuito solo a Maria, esprimendo la sua completa disponibilità senza rivendicazioni; è serva del Padre e, parafrasando Dante, «Figlia del suo Figlio» (Par. xxxiii,2). La frase «avvenga di me (génoitò moi) di me quello che hai detto» – il famoso fiat di Maria – non denota rassegnazione, ma libertà, passione ed entusiasmo nel collaborare con Dio. Suggestiva è l’Annunciazione di Antonello di Messina che ritrae Maria, raccolta, sorpresa, tremante prima di questo sì, nel suo sguardo e anche nel manto di un dolcemente esplosivo oltremare. L’angelo non c’è perché l’angelo è chi la contempla: noi.
La partenza dell’angelo. La scena si chiude con l’angelo che se ne va; non lo rivedremo mai più ad avvisare o confortare Maria. Questo la libera da ogni distanza oleografica; pur «totalmente ricolma di grazia», non inquinata dal peccato delle origini, non è stata esonerata dalla fatica, dalle “notti” e dalle tribolazioni nel credere, né da quella «spada» che le avrebbe dilaniato la vita sotto la croce di suo Figlio (Lc 2,35).
Maria ed Eva. Eva ha ceduto alla seduzione del serpente, simbolo di un “oracolo” alternativo, che ha falsificato la parola di Dio, dipingendolo come un tiranno geloso di quel “salto di qualità” che avrebbe reso l’uomo simile a Dio. Al contrario, Maria ha saputo discernere l’autentica voce di Dio, si è lasciata sedurre dallo Spirito, per dare carne all’oracolo di una Parola che permette all’umanità di vivere e lasciarsi Dio. Maria riconosce il primato di Dio sul suo io. Apre la porta del cuore alla Vita che bussa (Ap 3,20). Se Adamo ed Eva si erano nascosti avvertendo con disperazione la propria “nudità”, simbolo di fragilità creaturale, Maria non teme di udire i passi di Dio nella propria esistenza. Al «dove sei?» divino, Adamo aveva risposto da pauroso e da fallito, mentre Maria accetta di essere il “dove” Dio stesso si fa tenda.
Gli inviti del racconto. Luca ci invita a cogliere lo stupore recettivo di Maria dinanzi al sogno di Dio. Credere non è scontato, né a basso costo. Anche per lei il Figlio resta un enigma (cf. Lc 2,33-50). Maria ci insegna a conservare e “ruminare” i fatti perché diventino eventi; ci ricorda che «la vita cristiana è la crescita di un orecchio» (Isacco il Siro) e che «si nasce dall’ascolto» (F. Rosenzweig), Come prima itinerante evangelizzatrice, Maria è modello di chiesa missionaria ed è memoria che tutto è fondato sulla parola: «Qualsiasi cosa vi dica, fatelo» (Gv 2,5).