Letture festive – 172. Essenziale – 32a domenica del Tempo ordinario – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
32a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 10 novembre 2024
Dal primo libro dei Re – 1Re 17,10-16
Dalla lettera agli Ebrei – Eb 9,24-28
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 12,38-44
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letture festive 172
Nel primo libro dei Re questo racconto dell’incontro tra il profeta Elia e una vedova che abita in terra pagana ruota intorno a ciò che è davvero essenziale per la sopravvivenza degli esseri umani, tanto degli ebrei quanto dei pagani, tanto dei con Dio quanto dei senza Dio. Il contesto è quello di una carestia che sembra prosciugare l’esistenza di tutti i viventi conducendoli a un destino di morte, dovuto alla mancanza di acqua e di cibo, qualcosa di certamente essenziale per poter continuare a vivere. L’incontro tra il profeta e la donna è l’incontro tra due povertà, che però possiedono ancora un poco di ciò che è essenziale e cioè necessario e indispensabile: la donna ha la possibilità di prendere acqua e ha ancora quanto serve per preparare, con un poco di cibo, un ultimo pasto per sé e per il figlio; il profeta ha ancora un poco di quella parola da annunciare – in quanto proveniente da Dio – che finora lo ha guidato e gli ha consentito di superare le avversità. Se restassero lontane e senza incontrarsi, queste povertà – alle quali rimane solo ancora un poco di ciò che è essenziale – sarebbero entrambe votate a un destino di morte. Ed è precisamente il reciproco incontro che consente a questo poco – pane e acqua da una parte e parola annunciata dall’altra – di rivelarsi, anche in condizioni estreme, come essenziale e cioè capace di mantenere in vita, nell’attesa che vengano tempi migliori. Il racconto biblico evidenzia nella donna, una vedova povera in terra pagana, la tentazione disperata – e cioè priva di speranza – di chiudersi anziché aprirsi, la tentazione di tenere per sé, anziché condividere con il profeta, un cibo che pure la donna sa bene essere insufficiente per sottrarre lei e il figlio a un destino di morte. Ma la tentazione viene superata nello slancio di una generosa fiducia posta nella parola profetica del suo interlocutore, che si presenta come un affamato che non ha altro da offrire in cambio se non una promessa divina: quella per cui, non si sa come, il poco essenziale nutrimento – nella misura in cui sarà condiviso con chi ne ha bisogno quanto ne ha bisogno lei e suo figlio – ebbene questo poco essenziale nutrimento non solo non diminuirà, ma addirittura si moltiplicherà a soddisfare il bisogno essenziale di essere tutti nutriti finché ve ne sarà necessità. Da parte sua Elia il profeta – e quindi certamente un con Dio – se non trovasse la generosa disponibilità di questa vedova – una senza Dio che vive in terra pagana – a condividere il poco nutrimento rimasto, sarebbe condannato a soccombere. La parola biblica, infatti, pur essendo in sé un elemento essenziale per la vita credente deve incontrarsi e intrecciarsi con la concretezza di ciò che alimenta la vita umana. Se ciò non avviene, la parola biblica da sola non può sopravvivere e va perduta così anche la possibilità di incidere nell’esistenza di chi la pronuncia e di chi la ascolta. Per questo diventa necessario, per con Dio e per senza Dio, riconoscere ciò che di essenziale si possiede, pur nella propria eventuale povertà, e accettare di condividerlo con l’altro da sé. Solo così con Dio e senza Dio potranno sfuggire al destino di morte che li minaccia quando si chiudono alle necessità altrui con l’obiettivo di conservare solo per sé quel poco di essenziale che si trovano ad avere, che si tratti di un po’ di pane e acqua o che si tratti di una parola profetica, che potrebbe moltiplicare il poco affinché tutti abbiano il necessario per vivere.
Oltre a indicare ciò che è necessario e indispensabile per sostenere quotidianamente l’esistenza, l’essenziale si manifesta in certi casi – per con Dio e per senza Dio – anche come quella unicità irripetibile e cruciale che in alcune circostanze della vita può deciderne l’orientamento e la direzione, determinandone la riuscita o il fallimento, ciò che in termini religiosi chiameremmo salvezza o perdizione. A qualcosa del genere fa riferimento il brano della lettera agli Ebrei quando parla di Cristo che ha offerto sé stesso una sola volta per togliere il peccato di molti. L’autore neotestamentario sottolinea questa unicità contrapponendola, nell’ambito del culto ebraico, alla necessaria ripetizione dei sacrifici compiuti dai sommi sacerdoti ogni anno e molte volte. E non è un caso che il testo colleghi all’unicità del sacrificio di sé stesso, compiuto dal Cristo una sola volta, il tema della morte, richiamando in qualche modo l’influenza che il limite – dato dall’essere mortale – esercita sul corso dell’esistenza di ciascuno. Il limite posto dalla morte, infatti, è quello che consente di dare significato e valore essenziale – e cioè salvifico in relazione al nostro stesso essere – ai singoli e irripetibili momenti della vita, come peraltro ha sottolineato non solo il pensiero cristiano (ne è un esempio il teologo Karl Rahner) ma anche quello filosofico (ad esempio quello ricollegabile all’esistenzialismo novecentesco). Si tratta, quindi, di due aspetti che, in quanto con Dio o in quanto senza Dio, possiamo riconoscere come rilevanti, tanto per il modo di vivere la nostra umanità quanto per il modo di essere credenti: il primo riguarda quell’essenziale puntuale e decisivo della salvezza che può presentarsi a noi con Dio o senza Dio nella forma di un evento straordinario, di un’esperienza che ci segna per sempre, di un periodo di tempo così denso e concentrato da incidere per il resto della nostra vita, di un comportamento che determina conseguenze molto rilevanti, di una scelta che decide dell’intera esistenza. Il secondo aspetto sul quale questa pagina neotestamentaria ci invita a riflettere, come con Dio o come senza Dio, riguarda quell’essenziale salvifico che è reso tale dal limite della morte, e cioè la possibilità che il nostro riconoscerci mortali ci porti a cogliere e apprezzare – nella loro irripetibile unicità, valore e capacità di salvare noi o altri – alcuni singoli momenti della vita: eventi, esperienze, periodi di tempo, comportamenti, scelte.
Nelle parole del Gesù di Marco che critica le autorità religiose e loda la vedova povera possiamo riconoscere due modi decisivi di parlare di ciò che è essenziale da un punto di vista evangelico, modi che possiamo ritenere validi anche per noi lettori odierni con Dio o senza Dio di questa pagina. Un primo modo riguarda una sorta di definizione negativa di ciò che è essenziale, attraverso la critica di quello che le autorità religiose, con i loro atteggiamenti e comportamenti, sembrano invece considerare essenziale: la ricerca di visibilità, il desiderio di essere pubblicamente ossequiati, l’amore per i privilegi, l’ostentazione pubblica di comportamenti religiosi virtuosi, che però coesistono con un’avidità immorale nell’appropriarsi dei beni che appartengono alle vedove. Il secondo modo invece – pur riprendendo la critica a quelle apparenze esteriori che spesso interessano alle persone ricche – punta a raggiungere il cuore di ciò che può essere ritenuto davvero essenziale e lo fa a partire dalla descrizione di una pubblica elargizione di denaro come offerta religiosa che avviene nel luogo del tesoro del tempio di Gerusalemme. Qui, mentre i ricchi ostentano offerte importanti, una vedova offre una somma molto minore, che però il Gesù di Marco afferma essere tutto ciò che aveva per vivere, diversamente dagli altri che hanno dato una parte del loro superfluo. Per questo si afferma che la donna ha dato più di tutti gli altri. L’essenziale, da questo punto di vista, non può essere il medesimo per tutti e, anzi, in realtà cambia ogni volta che viene messo in relazione con la condizione della singola persona, con Dio o senza Dio. Vi è forse un’unica definizione universalmente valida di essenziale che si potrebbe tentare, anche se i contenuti per riempire questa definizione sarebbero ogni volta diversi: questa unica definizione universalmente valida di essenziale potrebbe coincidere con quella di “tutto quanto aveva per vivere”. In questo la vedova del Gesù di Marco supera quella del profeta Elia, perché a quest’ultima era stato chiesto dal profeta una parte del poco che aveva per vivere, mentre della vedova evangelica si dice che ha dato “tutto quanto aveva per vivere”. Si tratta di un paradosso, perché l’essenziale viene qui a coincidere con la totalità, e in effetti il senso ultimo della pagina di Marco sembra essere precisamente l’identificazione di sé stessi con quell’essenziale che viene chiesto ai credenti con Dio o senza Dio di mettere a disposizione. E se l’essenziale non è solo tutto ciò che si ha, ma anche e soprattutto ciò che si è, allora coinvolgimento e impegno diventano possibili per ogni persona e anche la più povera sarà in condizione di donare l’essenziale, mettendo in gioco tutto ciò che ha per vivere e così orientando la propria esistenza in direzione di ciò che, secondo il messaggio evangelico, è davvero essenziale, per con Dio e per senza Dio.