Letture festive – 164. Discordie – 25a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

25a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 22 settembre 2024
Dal libro della Sapienza – Sap 2,12.17-20
Dalla lettera di san Giacomo apostolo – Gc 3,16-4,3
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 9,30-37


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letture festive 164

Sono di certo discordie molto profonde quelle che separano coloro che in questo passo l’autore del libro della Sapienza definisce empi e colui che questi stessi empi definiscono giusto. In caso contrario non si spiegherebbe la violenza dei propositi che il gruppo degli empi intende mettere in atto contro il giusto. Si potrebbe pensare che queste discordie riguardino il rapporto tra un gruppo di empi senza Dio e un singolo giusto con Dio. Ma una lettura più attenta rivela che le discordie non si pongono su questo piano e sono invece trasversali e interne a un contesto dove tanto il giusto quanto gli empi sono verosimilmente dei con Dio. Gli empi, infatti, sembrano dubitare non tanto dell’esistenza di Dio, ma del fatto che Dio interverrà a difesa e in soccorso del giusto, liberandolo dalle loro stesse mani. Del resto, anche l’utilizzo neotestamentario di questo brano veterotestamentario per costruire il racconto evangelico della passione e morte di Gesù testimonia un’interpretazione che rimane tutta interna a gruppi e soggetti religiosi, che – pur contrapponendosi in modo aspro e violento – intendono sé stessi come dei con Dio. Anche i termini nei quali si parla di queste discordie richiamano le descrizioni bibliche dei conflitti tra profeti che rimproverano e il popolo o determinate persone o categorie di potenti, provocandone la reazione inizialmente infastidita e in seguito spesso violenta. Tutto ciò non significa che questo tipo di dinamiche e di vicende riguardino esclusivamente i con Dio e il passato, dal momento che le vediamo riprodotte con poche variazioni anche al presente e anche tra i senza Dio. In effetti, anche oggi gli empi – che possono essere con Dio o senza Dio – parlano del giusto – che può essere conDio o senzaDio – come di qualcuno che è loro d’incomodo, che si oppone alle loro azioni, che rimprovera loro le colpe contro la legge, che rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Possiamo notare di passaggio come questo ruolo che il testo biblico attribuisce al giusto e alla sua azione nei confronti degli empi corrisponda sostanzialmente alle funzioni che la riflessione teologico morale assegna alla coscienza etica di ogni singolo individuo. Ma, tornando alle relazioni interpersonali, si tratta, a quanto dicono gli empi, di discordie che, anziché limitarsi eventualmente a una divergenza di sensibilità o di opinioni, si concretizzano qui in una contrapposizione diretta e in attacchi espliciti da parte del giusto. È infatti il giusto colui che di fatto prende l’iniziativa di accusare e criticare, così che quella degli empi si presenta come una reazione di autodifesa e autotutela che, in questo senso, potrebbe addirittura sembrare legittima. Ben presto però si verifica un rapido slittamento dalla comprensibile messa in dubbio delle affermazioni del giusto (vediamo se le sue parole sono vere) al ricorso alla violenza più estrema (mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, condanniamolo a una morte infamante). Questa violenza risulta poi aggravata da una crudeltà beffarda (per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione). Si tratta di una violenza che addirittura rivendica la propria conformità al realizzarsi della volontà divina (se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà). Abbiamo qui un esempio di violenza che in realtà confida solo sulla propria capacità di risolvere conflitti e discordie (consideriamo ciò che gli accadrà alla fine). Questo schema di rappresentazione delle discordie tra gruppi di potere – che possono essere con Dio o senza Dio – e singoli – che possono essere conDio o senzaDio – e del degenerare delle loro discordie in violenza praticata dai primi sui secondi risulta purtroppo anche oggi di tragica attualità.

Quando anche all’interno delle comunità cristiane vi sono discordie, prima di provare a distinguere tra buoni e cattivi, questo passo della lettera di Giacomo suggerisce a ciascuno di cercarne l’origine nel proprio mondo interiore e lo fa in un modo che anche oggi possiamo ascoltare come rivolto a ciascuno di noi, indipendentemente dal fatto di essere con Dio o senza Dio. L’autore della lettera rappresenta il mondo interiore individuale come un campo di battaglia dove passioni e desideri discordanti tendono a contrapporsi in modo confuso, improduttivo e infine dannoso. Il nucleo malato sul quale Giacomo concentra la sua attenzione è costituito dai desideri e in particolare quelli di possesso, che nascono dall’invidia per la condizione altrui e che vengono alimentati senza trovare soddisfazione, in un crescendo di frustrazione che finisce per produrre aggressività e violenza. E quando finalmente i desideri vengono espressi con parole, queste richieste si rivelano così limitate alla soddisfazione delle proprie passioni, da risultare inefficaci e quindi inutili. Ma questo disordine che si origina nel guazzabuglio del cuore umano, come lo definirebbe Manzoni, si ripercuote anche all’esterno in forma di discordie e cattive azioni che, alimentate da gelosia e spirito di contesa, diventano liti o addirittura guerre. A questa interiorità malata che può affliggere tanto i con Dio quanto i senza Dio, una interiorità malata che all’esterno fa ammalare anche le relazioni interpersonali e alimenta discordie, Giacomo propone un rimedio: quello costituito da una sapienza che viene dall’alto. Le virtù di questa sapienza si contrappongono quasi simmetricamente ai vizi della interiorità malata che intende curare e sono perlopiù virtù relazionali volte a superare le discordie: la sapienza, oltre che essere pura nella sua ispirazione, è pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Con Dio e senza Dio che anche nelle nostre odierne comunità ecclesiali si trovano a sperimentare discordie sono invitati da questa pagina neotestamentaria a lasciarsi ispirare e guidare da questa sapienza. Solo così potranno diventare operatori di una pace il cui seme può portare frutti di giustizia, anch’essi necessari, dentro e fuori la Chiesa, per ridurre le discordie ed evitarne il degenerare in violenze e in guerre.

Le discordie di vario tipo che troviamo nei vangeli sono spesso riconducibili – come anche l’etimologia del termine sembra suggerire – alle diverse e divergenti direzioni verso le quali si trovano orientati i cuori di coloro che, con Dio o senza Dio, non riescono a trovare tra loro concordia. In questo passo di Marco la discordia fondamentale, la principale mancanza di accordo e sintonia, è quella tra il cuore di Gesù, da una parte e quello dei discepoli dall’altra. Se con la parola cuore possiamo intendere qui il nucleo personale dove si producono e si elaborano desideri ed emozioni, volontà e decisioni che orientano poi il vissuto, allora la distanza e la divergenza tra Gesù e i discepoli sono il primo elemento che Marco suggerisce ai suoi lettori, compresi noi odierni con Dio o senza Dio. Il Gesù di Marco è consapevole delle difficoltà a vivere una piena concordia con lui e per questo tiene nascosto alle folle – riservandolo ai discepoli – il suo camminare attraverso la Galilea. Direzione e destinazione, andatura e percorso attraverso la Galilea dovrebbero perciò essere gli stessi per Gesù e – concordemente con lui – per i discepoli, che per definizione sono coloro che lo seguono, ma ciò è vero solo in apparenza. L’insegnamento di Gesù sul destino di un Figlio dell’uomo che sarà consegnato e ucciso, per poi risorgere, non viene capito, ma i discepoli dal cuore già discorde hanno timore di interrogarlo. Una spiegazione e una comprensione potrebbero ristabilire la concordia con Gesù, un medesimo orientamento suo e dei discepoli nella medesima direzione, verso gli stessi obiettivi e la stessa destinazione. Ma proprio questo è ciò che i discepoli vorrebbero evitare, perché in realtà tra loro una concordia su qualcosa che interessa l’hanno già trovata e riguarda il dirigersi dove potranno vedersi riconosciuta una qualche forma di grandezza. Ma il paradosso di questa concordia, che unisce i discepoli tra loro, rendendoli discordi da Gesù, è il fatto di essere destinata a durare ben poco, dal momento che la discussione su chi sia il più grande innesca all’interno del gruppo discordie inevitabilmente destinate a dividerli, se non addirittura a contrapporli reciprocamente. Come si può notare nel racconto evangelico – ma anche nell’odierno vissuto credente ed ecclesiale di con Dio e di senza Dio – una volta che si eviti di ricercare sinceramente la concordia con l’orientamento proposto dalla figura di Gesù, questa discordia iniziale con il Gesù evangelico rischia di riprodursi e moltiplicarsi in una successione di discordie che allontano con Dio e senza Dio dal cammino del discepolato e dal messaggio evangelico. Ma il Gesù di Marco indica la via per convertire la discordia che cerca grandezza nel primeggiare in una concordia che cerca l’ultimo posto, attraverso l’accogliere e il mettersi a servizio degli ultimi (ultimi che l’evangelista qui riconosce emblematicamente rappresentati dai bambini). Quando infatti si rinuncia a una corsa al primo posto che moltiplica discordie nei confronti di concorrenti da sconfiggere e di avversari dei quali non potersi fidare, quando si cercano invece sinceramente gli ultimi posti, l’accoglienza degli ultimi e il mettersi al loro servizio, allora si possono trovare molto più facilmente compagni di posto e di servizio, con Dio o senza Dio, con i quali riconoscersi concordi. Chi ricerca questa concordia con gli ultimi la ritroverà anche con il Gesù dei vangeli e ritroverà, orientandosi nella medesima direzione di Gesù, quella via del discepolato evangelico che i credenti con Dio o senza Dio sono chiamati a percorrere.