Letture festive – 160. Sottomissione – 21a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

21a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 25 agosto 2024
Dal libro di Giosuè – Gs 24,1-2a.15-17.18b
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini – Ef 5,21-32
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 6,60-69


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letture festive 160

Nell’ultimo discorso di Giosuè alle tribù di Israele il tema della sottomissione si presenta nei termini di una scelta riguardo a quale divinità servire, tra il Signore che ha liberato il popolo dall’Egitto conducendolo fino alla terra che ora abita e qualcuna delle altre divinità venerate delle diverse popolazioni della regione. Per noi lettori odierni con Dio o senza Dio di questo passo veterotestamentario, almeno due aspetti possono risultare piuttosto sorprendenti: il primo aspetto riguarda il fatto che la sottomissione a qualcosa o a qualcuno sia inevitabile e che la scelta eventuale o necessaria possa riguardare non il sottomettersi o meno ma unicamente il chi o il che cosa a cui sottomettersi; il secondo aspetto riguarda invece la concezione del divino cui sottomettersi che troviamo testimoniata in questo libro biblico, la cui redazione finale viene collocata generalmente dagli studiosi tra il VI e il V secolo a.C.: una concezione enoteistica e cioè non monoteistica né politeistica ma intermedia tra politeismo e monoteismo, per cui si venera una singola divinità, senza tuttavia negare l’esistenza di altre divinità, ritenute però inferiori. Quanto al primo aspetto e cioè all’inevitabilità della condizione in cui ci si deve necessariamente sottomettere a qualcosa o a qualcuno, anche solo spostando lo sguardo da realtà divine ad altre vicinissime a noi come lo sono i fattori e le dinamiche fisiche e biologiche che rendono possibile la vita di ciascuno in quanto essere corporeo e psichico, dobbiamo riconoscere – come con Dio o come senza Dio – di doverci sottomettere a una grande quantità di forze tra le quali, peraltro, non abbiamo neppure la possibilità di scegliere. La sottomissione a qualcosa o a qualcuno che in qualche modo ci determina, da questo punto di vista, sembra essere una condizione che accomuna con Dio e senza Dio. Ma in alcuni casi, come gli ascoltatori del Giosuè biblico, anche noi abbiamo la possibilità di scegliere a chi o a che cosa sottometterci: divinità da adorare e di cui seguire gli insegnamenti, persone che ci stanno a cuore e per le quale compiere i sacrifici più grandi, ideali, utopie o progetti alla cui realizzazione dedicarci completamente, valori ritenuti assoluti e da rispettare a ogni costo. Riguardo a questa sottomissione volontaria, il secondo aspetto di questo testo biblico e cioè la concezione enoteistica, ci ricorda la inevitabile relatività del punto di vista dal quale ciascuno di noi considera la realtà, facendoci percepire come principale e degno di sottomissione qualcosa che per altri può essere invece secondario e non degno di sottomissione. Per questo, come con Dio o come senza Dio, mentre chiediamo ad altri il rispetto della nostra libera scelta di sottometterci a qualcuno o a qualcosa che noi riteniamo degno di sottomissione, sarebbe importante che rispettassimo la libera scelta altrui di sottomettersi a ciò che ritiene degno della propria sottomissione.

La sottomissione che l’autore della lettera agli Efesini chiede alle mogli nei confronti dei mariti – ma non ai mariti nei confronti delle mogli – costituisce un indicatore di come la bibbia, anche nella sua parte neotestamentaria, sia un testo originariamente patriarcale, riflettendo in questo le concezioni prevalenti del tempo. Se questo dato non deve sorprendere più di tanto, ciò su cui è necessario concentrare l’attenzione è il modo in cui oggi con Dio e senza Dio possono e devono interpretare questi testi del primo secolo, che stanno alla base della nostra fede cristiana e della nostra vita ecclesiale. Il rischio infatti è quello che, invece di riconoscere espressamente e onestamente le componenti maschiliste, patriarcali e discriminatorie dei testi biblici, per poi sottoporle a una critica femminista, credenti con Dio o credenti senza Dio, dopo averle spiegate storicamente tentino di giustificarle, con il minimizzarne appunto la portata maschilista, patriarcale e discriminatoria. Ciò può avvenire in diversi modi e ad esempio, nel caso di questo brano, affermando che in realtà al marito viene chiesto molto di più della sottomissione chiesta alla moglie, dal momento che si tratta di amarla come Cristo ha amato la Chiesa. E proprio questa corrispondenza che viene stabilita tra il marito e Cristo, da una parte, e la moglie e la Chiesa, dall’altra, non fa che rinforzare anche sul piano del simbolismo religioso la presunta superiorità del marito sulla moglie. Ma il danno principale prodotto da queste interpretazioni non sufficientemente critiche nei confronti del carattere maschilista, patriarcale e discriminatorio dei testi biblici consiste nel loro utilizzo per giustificare ancora oggi nella organizzazione e nella struttura ecclesiale ed ecclesiastica la permanenza dei medesimi tratti, maschilisti, patriarcali e discriminatori. L’esclusione delle donne dai ministeri ordinati nella Chiesa cattolica è uno degli esempi più rilevanti di come una interpretazione non sufficientemente critica delle pagine neotestamentarie – come quella che sia appella al fatto che Gesù non ha scelto donne tra i dodici – possa essere portata tra le motivazioni di una esclusione che si fatica a non definire maschilista, patriarcale e discriminatoria, dal momento che è motivata dalla sola appartenenza di una determinata persona al genere femminile e non anche da altre sue caratteristiche. Non deve perciò meravigliare che un numero crescente di donne e uomini, con Dio e senza Dio, dentro la Chiesa comprensibilmente si domandi quanto sia valida questa interpretazione dei testi biblici e quanto sia giustificata sul piano etico ed evangelico la sottomissione che si chiede da parte delle autorità ecclesiastiche alla decisione di escludere da alcune funzioni nella Chiesa le donne unicamente per il fatto di essere donne.

Nel vangelo di Giovanni la difficoltà di una sottomissione alle parole di Gesù è rappresentata per molti discepoli da quella che appare loro come la insopportabile durezza del discorso sul pane di vita, il discorso nel quale Gesù parla del mangiare la sua carne e del bere il suo sangue e nel quale stabilisce una contrapposizione tra questo pane che fa vivere in eterno chi se ne nutre e la manna di cui nel deserto si sono nutriti i padri, che però sono morti. Come odierni lettori con Dio o senza Dio di questa pagina evangelica, anche noi possiamo trovare insopportabilmente dura l’una o l’altra parola del Gesù di cui vorremmo essere discepoli. È interessante notare come oggi per noi, con Dio o senza Dio abituati fin da bambini a celebrazioni eucaristiche, il parlare di carne e sangue di Gesù di cui cibarsi non rappresenti un discorso particolarmente duro, a differenza di quanto accade ai discepoli nella narrazione evangelica. Le durezze cui è difficile ma necessario sottometterci se oggi vogliamo continuare a essere discepoli, per noi con Dio o senza Dio sono diventate altre e se volessimo fare un esempio potremmo probabilmente riferirci a tutte quelle parole di Gesù che invitano o addirittura impongono l’accettazione, l’accoglienza, il perdono reciproci – dentro e fuori la comunità ecclesiale – tra persone diverse o addirittura avversarie o nemiche tra loro per condizioni e convinzioni sociali, culturali, politiche e religiose. Per con Dio e per senza Dio solo la scelta convinta di una sottomissione fiduciosa e credente all’autenticità profetica e alla verità lungimirante di queste dure parole evangeliche consente di camminare sullo stretto crinale della fede cristiana. E questa fede nel suo procedere quotidiano si trova perennemente esposta al rischio di cadere, da una parte, nella mormorazione scandalizzata e incredula o, dall’altra, nell’allontanarsi per stanchezza e affaticamento. La possibilità di tornare indietro rinunciando ad andare dietro Gesù nel discepolato è una possibilità che rimane sempre aperta per con Dio e per senza Dio, dal momento che la sottomissione alla parola evangelica – anche nella sua eventuale durezza – è davvero giustificabile e giustificata per con Dio e per senza Dio solo se in questa parola ciascuno personalmente può riconoscere sempre di nuovo uno spirito e una vita che altrove non trova.