Letture festive – 155. Sufficiente – 17a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

17a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 28 luglio 2024
Dal secondo libro dei Re – 2Re 4,42-44
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini – Ef 4,1-6
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 6,1-15


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letture festive 155

Il tema, che riguarda ovviamente tanto i con Dio quanto i senza Dio, di un nutrimento che sia sufficiente per tutti viene affrontato dal secondo libro dei Re all’interno del cosiddetto ciclo di Eliseo, attraverso quella che potremmo interpretare come un’azione simbolica tipica dei profeti veterotestamentari. Questa sorta di performance consiste nell’indicazione, da parte del profeta Eliseo, di distribuire il pane ricevuto in dono a un numero di persone evidentemente sproporzionato alla quantità di cibo disponibile. La comprensibile obiezione del servitore consente al profeta di ribadire il comando e di aggiungere la previsione che, secondo la parola del Signore, non solo ne potranno mangiare tutti ma che addirittura ne faranno avanzare. La conclusione dell’episodio conferma l’avverarsi della previsione di Eliseo e la validità del provocatorio invito profetico. Soltanto questo coltivare una fiduciosa generosità nel condividere ciò che a nostra volta abbiamo ricevuto in dono consente, infatti, a tutti di ricevere il sufficiente per vivere e addirittura produce un avanzo sovrabbondante. La provocazione profetica ci riguarda, come con Dio o come senza Dio, in particolare quando ci troviamo in una situazione caratterizzata da una almeno apparente scarsità di risorse e siamo quindi tentati di conservare gelosamente – se non egoisticamente – per noi quel poco che riteniamo di avere. L’azione simbolico-profetica narrata in questo brano veterotestamentario ci spinge, invece, a convertire il nostro atteggiamento e a comportarci in modo opposto. La condivisione da parte di qualcuno – con Dio o senza Dio – di ciò che si trova ad avere, anche se gli sembra poco, è infatti l’unica pratica che può consentire a tutti di avere almeno il sufficiente per vivere, attraverso la concatenazione dei tre elementi descritti nel testo biblico. Il primo elemento è un dono iniziale, anche di piccole dimensioni, che però può essere interpretato e nuovamente donato attraverso il risuonare di una parola profetica (il secondo elemento), una parola che perentoriamente invita a nutrire tutti coloro che ne hanno necessità. Il terzo elemento è la coscienza ispirata del profeta, che deve riuscire a tenere insieme, da una parte, la lucida e realistica consapevolezza della sproporzione tra la vastità dei bisogni e la pochezza delle risorse disponibili, e, dall’altra parte, la coraggiosa fiducia – basata sulla parola divina – di una virtù moltiplicatrice in modo sovrabbondante di quanto è necessario al nutrimento di tutti. Si tratta di una coscienza ispirata e profetica che dovrebbe caratterizzare anche oggi chi nelle nostre comunità ecclesiali si trova chiamato, come con Dio o come senza Dio, a rendere disponibile nutrimento sufficiente per le necessità materiali e spirituali di tanti.

Che cosa è necessario e sufficiente a con Dio e a senza Dio per essere degni della chiamata alla fede cristiana? Il passo della lettera agli Efesini potrebbe essere interpretato a partire da questa domanda e la risposta che sembra possibile ricavare dal testo si concentra su due elementi principali. Il primo elemento consiste in uno stile relazionale riconoscibile, fatto di atteggiamenti e comportamenti che sono descritti in termini di umiltà, dolcezza e magnanimità, mentre il secondo elemento insiste sull’aspetto dell’unità, per cui si parla di un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre. Tra i due elementi l’autore della lettera inserisce un’esortazione a sopportarsi a vicenda nell’amore, quasi a suggerire, da una parte, che uno stile relazionale cristiano autentico e riconoscibile non può non fare i conti con i limiti da sopportare degli altri membri della comunità e quasi a suggerire, dall’altra parte, che senza questa sopportazione reciproca nessuna unità ecclesiale basata sulla fede comune sarebbe possibile. Pensando alle relazioni e alle differenze tra credenti con Dio e credenti senza Dio che desiderano far parte della medesima comunità ecclesiale, il tema di che cosa sia necessario e sufficiente per essere degni della chiamata alla fede cristiana diventa particolarmente rilevante e può essere visto sotto una luce nuova proprio grazie a questo passo. Se infatti uno stile relazionale cristiano ed ecclesiale che sia umile, dolce e magnanimo e un sincero impegno nel sopportarsi a vicenda, per vivere l’unità ecclesiale a tutti i livelli possibili, costituiscono ciò che è necessario e sufficiente per essere degni della chiamata alla fede cristiana, allora già questo accomuna con Dio e senza Dio e le differenze che pure ovviamente esistono (in particolare su ciò che si ritiene vero sul piano dei contenuti dottrinali della fede) vanno ridimensionate nella loro rilevanza e nelle difficoltà che possono creare, dal momento che non fanno parte di ciò che è necessario e sufficiente per la comune chiamata alla fede e alla comune appartenenza ecclesiale. Quando vi sono queste condizioni, infatti, quella realtà che i con Dio chiamano Dio e che i senza Dio interpretano invece in altro modo (l’amore? …il bene? …la speranza in un futuro migliore per i poveri?), ebbene questa realtà, secondo la lettera agli Efesini, è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

L’evangelista Giovanni con questo testo vuole invitare noi suoi lettori odierni con Dio o senza Dio a confidare nella possibilità che il poco che abbiamo si riveli in realtà sufficiente per nutrire una moltitudine. Per fare questo, come gli altri sinottici che narrano il medesimo episodio della cosiddetta moltiplicazione dei pani, Giovanni costruisce il suo racconto ispirandosi al ciclo di Eliseo e rappresentando nella figura di Gesù il profeta che ne ripropone amplificata su scala molto maggiore l’azione simbolica, che per l’evangelista diventa uno dei grandi segni compiuti da Gesù. Mentre indica le strade che conducono da un poco a un sufficiente che diventa sovrabbondante e mentre invita noi credenti odierni con Dio o senza Dio a seguire queste strade, il testo giovanneo mostra, per contrasto, come sia possibile imboccare strade che invece illudono, perché non conducono alla meta desiderata. Le strade giuste sono quelle percorse da chi sa riconoscere i segnali del poco che può diventare sufficiente nell’umiltà delle realtà germinali e in crescita, nell’umiltà delle realtà vive e propositive, nell’umiltà delle realtà accoglienti e promettenti, esemplificate da questo testo evangelico nell’erba verde e nel ragazzo con pani e pesci. Le strade sbagliate sono, invece, quelle che attribuiscono al potere del denaro un’eccessiva capacità di risolvere i problemi, come suggerisce Filippo quando riconosce che duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo. Ma sono sbagliate anche le strade come quella che vorrebbe percorrere la gente, troppo attratta dal miraggio di una soluzione concreta e persino miracolistica dei propri bisogni immediati per soffermarsi a riflettere e lasciarsi interpellare e provocare dal significato più autentico e profondo di ciò che si trova davanti. La gente, infatti, pur riconoscendo nella moltiplicazione un segno che qualifica come profeta colui che lo ha compiuto, in realtà non resiste alla tentazione di provare a trasformare il profeta, con i segni che pone per provocare alla conversione, in un re dotato del potere di sfamare miracolosamente il popolo. Noi odierni lettori con Dio o senza Dio di questo testo siamo allora invitati a riconoscere e imboccare la strada giusta, che non potrà essere né quella del denaro che, come ricorda Filippo, per chi imbocca questa strada risulta paradossalmente sempre insufficiente, né quella di un potere politico da cui attendersi la soluzione miracolosa dei problemi, come mostra il Gesù di Giovanni, sottraendosi al tentativo di chi lo vorrebbe fare re. Per con Dio e per senza Dio la strada da riconoscere e imboccare – se vorrà essere quella giusta – dovrà iniziare notando che c’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, la strada giusta dovrà poi proseguire sfidando la possibile obiezione: ma che cos’è questo per tanta gente? La strada giusta dovrà infine concludersi, dopo che tutti avranno ricevuto il nutrimento sufficiente, con l’invito a raccogliere i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto.