Letture festive – 153. Predestinati – 15a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

15a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 14 luglio 2024
Dal libro del profeta Amos – Am 7,12-15
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini – Ef 1,3-14
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 6,7-13


Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 153

Per con Dio e per senza Dio la condizione dell’essere predestinati si incontra e in certi casi si scontra, in vari modi e da diversi punti di vista, con la condizione dell’essere liberi. Nel libro del profeta Amos, ad esempio, si può riconoscere una sorta di contrapposizione: quella che riguarda il ministero religioso inteso come una professione alla quale si è predestinati e che va esercitata entro modalità predeterminate e il ministero religioso interpretato come vocazione alla quale rispondere prendendosi le necessarie libertà rispetto al contesto verso il quale si viene inviati. 
Secondo una determinata concezione – comune a con Dio e a senza Dio – del ministero religioso come professione si può, nel proprio lavoro professionale, essere predestinati nel senso di essere destinati previamente a un ambito di azione e di intervento già circoscritti e definiti. È questo il caso del sacerdote Amasìa, che esercita la propria professione di sacerdote a Betel presso il santuario del re e il tempio del regno settentrionale di Israele, al quale è stato evidentemente pre-destinato, in un ambito territoriale entro il quale svolgere il proprio lavoro religioso di sacerdote. Amasìa, incontrando Amos all’interno della propria area di competenza e ritenendo che il profeta abbia sconfinato in un territorio al quale non è stato pre-destinato, si rivolge a lui come a qualcuno che esercita il lavoro religioso di veggente e profeta in forma professionale, traendone quindi il proprio sostentamento. Amasìa invita dunque Amos ad allontarsi, ritirandosi nella terra meridionale di Giuda, a svolgere lì la propria professione e così poter mangiare il pane frutto del proprio lavoro di profeta. Ma la risposta di Amos suggerisce una forma diversa dell’essere predestinati, che richiede di superare con libertà alcuni confini posti dall’istituzione religiosa, dal momento che distingue il proprio lavoro di mandriano e coltivatore dalla propria missione profetica, per la quale, afferma Amos, mentre svolgeva il proprio lavoro si è sentito preso e chiamato dal Signore, che lo ha pre-destinato a profetizzare al popolo del territorio settentrionale di Israele. Davanti a questo testo anche noi, odierni lettori con Dio o senza Dio, siamo invitati a interrogarci su quali siano le differenze che comporta, nell’essere pre-destinati allo svolgimento di una missione profetica, il fatto che questa missione sia svolta per lavoro da una persona che da questa attività professionale in ambito religioso trae anche il proprio sostentamento o invece da una persona che svolge un altro lavoro e che si sente chiamata a collaborare a una missione profetica. Il cristianesimo e le comunità ecclesiali – in quanto predestinate ad annunciare e testimoniare nel mondo il messaggio evangelico – hanno concretizzato la loro presenza nella storia e nella società basandosi in larga parte su forme di ministero religioso professionale, associate alla creazione e allo sviluppo di strutture organizzative e istituzionali di notevoli dimensioni, capaci di incidere, anche attraverso pratiche rituali ed ecclesiali, sulla realtà sociale e di durare nel tempo. Ma uno dei tratti ricorrenti di queste strutture organizzative e istituzionali, insieme alle relative pratiche rituali ed ecclesiali, idealmente predestinate e funzionali all’annuncio del messaggio evangelico, uno tratto ricorrente dunque è stato quello di aver limitato in molti modi la libertà che dovrebbe sempre accompagnare il vangelo, predeterminando e delimitando all’interno di precisi confini – come ad esempio quello di essere con Dio – un messaggio che dovrebbe invece essere rivolto, ad esempio, anche ai senza Dio. Questo conflitto di interpretazioni su caratteristiche e funzioni del ministero religioso che ancora oggi oppone – potremmo dire così – gli Amasia sacerdoti agli Amos profeti, andrebbe orientato nella giusta direzione. E una giusta direzione sarebbe probabilmente quella di cercare e trovare modalità che consentano a strutture organizzative e istituzionali, a pratiche rituali ed ecclesiali – che da sempre e ancora oggi sono gestite da con Dio – di diventare aperte a chiunque e abitabili anche da parte di senza Dio.

La condizione dell’essere predestinati si trova al centro del solenne inno della lettera agli Efesini e può suscitare, in con Dio e in senza Dio, la domanda sulla relazione tra questa predestinazione e la libertà dei soggetti che sono – al tempo stesso – oggetto di questa predestinazione. Qui si è predestinati fondamentalmente in quanto figli adottivi uniti al Figlio amato, in un processo cosmico e temporale che la lettera descrive nel suo progressivo compiersi. Predestinati significa, infatti, essere scelti in Gesù Cristo prima della creazione del mondo, essere perdonati e redenti mediante il sangue della sua croce, essere destinatari di una grazia riversata anche in forma di sapienza e intelligenza che fanno conoscere il piano divino, quello di ricondurre ogni realtà allo stesso Cristo insieme al quale si è predestinati ad essere eredi. Predestinati significa, ancora, avendo creduto in Gesù e avendo ascoltato come vangelo di salvezza la parola di verità suscitatrice di speranza, aver ricevuto quello che viene chiamato il sigillo dello Spirito Santo promesso, quale caparra anticipatrice di una eredità di completa redenzione. Si tratta, nella terminologia religiosa del linguaggio neotestamentario, di una narrazione di ciò che essere predestinati può significare per i con Dio, una narrazione che, in diversi modi, il pensiero cristiano attraverso i secoli ha cercato di comporre con la necessaria libertà da riconoscere al soggetto credente. Ma per poter essere accolta anche dai senza Dio e per corrispondere davvero alle sue universali dimensioni cosmiche e coestensive all’intera durata della storia del mondo, questa narrazione andrebbe riformulata in modi diversi e uno di questi potrebbe consistere nello stabilire una relazione più radicale tra l’essere predestinati e l’essere liberi. Si tratterebbe, cioè, di riconoscere come predestinazione universale, ma che allo stesso tempo rispetta la libertà di ciascuno, ciò che – con una metafora vegetale – potremmo chiamare il fiorire della propria vita insieme a quella degli altri viventi. La radicale e paradossale unione di predestinazione e libertà nel messaggio cristiano dovrebbe, infatti, essere associata a questa aspirazione al fiorire della propria vita insieme a quella degli altri viventi. In questo modo, predestinazione e libertà si incontrerebbero nel riconoscere e legittimare una pluralità di vie buone per questo fiorire, non tutte e non necessariamente collegate alla figura ispiratrice di Gesù e al messaggio evangelico. In una comune predestinazione così intesa, cristiani con Dio e cristiani senza Dio, credenti cristiani e credenti non cristiani, umani credenti e umani non credenti, tutti potremmo riconoscerci ed essere grati quando, nei tanti modi possibili, questa multiforme predestinazione del fiorire della vita liberamente si realizza per ciascuno e per tutti.

Nel testo di Marco, per i Dodici, essere predestinati alla missione non significa necessariamente essere predestinati al successo, anzi il prevedere espressamente la possibilità dell’essere accolti e ascoltati come quella di non essere accolti e di non essere ascoltati è ciò che consente, ai protagonisti della narrazione evangelica ma anche oggi a con Dio e a senza Dio, di essere insieme predestinati e liberi. La libertà dei predestinati alla missione sembra suggerita già dal fatto che, essendo inviati in coppia e non da soli, vi è spazio di libertà per una testimonianza plurale del messaggio evangelico. Anche la sobrietà dell’equipaggiamento dei predestinati alla missione li mantiene liberi da pesi che ne potrebbero rallentare il cammino, ma ancor più interessanti risultano, da questo punto di vista, i significati che si possono attribuire al gesto di scuotere la polvere sotto i piedi come testimonianza per i destinatari che non accettano e non ascoltano. È certamente possibile leggere questo gesto simbolico come una presa di distanza radicale – e fondamentalmente giudicante – nei confronti di chi, con il proprio rifiuto, si è precluso una possibilità di salvezza offerta. Ma con Dio e senza Dio odierni, che si sentono in qualche modo predestinati alla missione di testimoniare il messaggio evangelico, potrebbero anche riconoscervi il gesto del missionario e testimone che intende essere rispettoso e non giudicante nei confronti di chi fa scelte diverse dalle proprie. Nel non portare con sé neppure il peso di un granello di polvere della casa di chi ha opposto un rifiuto, si potrebbe infatti vedere il gesto di chi, sentendosi libero di poter essere anche non accolto e non ascoltato, non per questo si sente minacciato nella propria identità o sente messa in crisi la propria vocazione e missione cristiana, quasi dovesse portare con sé, come un peso piccolo o grande, il ricordo dell’essere stato respinto. Nel lasciare poi all’interlocutore fino all’ultimo granello della polvere di casa sua, si potrebbe vedere il gesto di chi, una volta presentata con libertà l’opportunità di accogliere e ascoltare il messaggio cristiano, lascia libero l’interlocutore, che non ha accolto e non ha ascoltato, di proseguire in modo autonomo la propria vita e la propria eventuale ricerca, senza fargli pesare la scelta di non accogliere e quasi consentendogli di tornare indietro nel tempo, come se nulla fosse stato. Se la testimonianza evangelica di coloro che, con Dio o senza Dio, sentendosi predestinati a un qualche tipo di missione, invitano a conversione, combattono il male e restituiscono pienezza alla vita, se quindi questa testimonianza riesce a rimanere radicalmente libera e liberante, allora ciascuno potrà trovare, attraverso la via del messaggio evangelico o attraverso altre vie per lui più adatte, ciò che – rendendolo insieme predestinato e libero – farà fiorire la sua vita insieme a quella degli altri.