Letture festive – 151. Sovrabbondanza – 13a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

13a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 30 giugno 2024
Dal libro della Sapienza – Sap 1,13-15; 2,23-24
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 2Cor 8,7.9.13-15
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 5,21-43


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letture festive 151

Secondo il libro della Sapienza, vi è nella realtà e nella vita umana una sovrabbondanza che si manifesta in forme molteplici, che con Dio e senza Dio possono riconoscere e di cui possono beneficiare. Si tratta fondamentalmente della sovrabbondanza che la vita porta con sé nelle sue diverse manifestazioni e che si oppone alla morte, intesa qui come la sua negazione più radicale. E tuttavia credenti con Dio e credenti senza Dio ne danno spiegazioni diverse, ritenendo questa sovrabbondanza in ultima analisi un dono di Dio o una caratteristica di alcuni dinamismi della realtà, per i quali siamo grati nel momento in cui ne possiamo godere o per i quali ci rammarichiamo nel momento in cui vengono meno o quando avvertiamo la carenza o mancanza di qualcosa o di qualcuno che invece dovrebbe essere presente. L’interpretazione della morte rientra in questa diversa percezione dei significati della nostra esperienza di viventi. Se i con Dio, come l’autore del libro della Sapienza, sono alla ricerca di un modo per non dover attribuire a Dio la responsabilità per l’esistenza della morte – e qui l’autore biblico ricorre alla figura del diavolo – i senza Dio non hanno oggi questa necessità, potendo spiegarsi l’inevitabilità della morte come intrinseca alle dinamiche della vita che si sono prodotte nel corso del tempo dalle origini fino a noi, attraverso l’evoluzione biologica delle specie viventi. Se poi la vita sembra portare con sé una sorta di promessa di sovrabbondanza, il modo di intendere questa sovrabbondanza può essere molto diverso. La cultura greco-ellenistica dell’autore del libro della Sapienza, ad esempio, sembra sottolineare il valore dell’incorruttibilità e dell’immortalità, suggerendo che, a differenza del corpo corruttibile, l’anima dell’essere umano non possa morire e che quindi precisamente in questa immortalità dell’anima risieda la sovrabbondanza della vita. Se molti con Dio in ogni epoca del cristianesimo hanno condiviso concezioni di questo tipo, oggi la situazione si presenta molto diversa e non sono solo i senza Dio – ma anche molti con Dio – a ritenere che la sovrabbondanza qualitativa di una vita umana riguardi fondamentalmente l’essere umano nella sua interezza e nel tempo che gli è dato di vivere in questo mondo. Ciò non esclude, peraltro, che una sovrabbondanza vissuta tanto da con Dio quanto da senza Dio nel tempo limitato della propria esistenza possa riversarsi positivamente in diversi modi anche su coloro che dopo di noi vivranno, in questo mondo, il tempo della loro esistenza.

Per l’autore della seconda lettera ai Corinzi la sovrabbondanza e la ricchezza che con Dio o senza Dio possono di volta in volta e in modi diversi sperimentare, non deve mai essere considerata come una proprietà acquisita a proprio esclusivo vantaggio. Questa sovrabbondanza e ricchezza, infatti andrebbe sempre messa in relazione con l’obiettivo di un’uguaglianza dignitosa tra chi in un determinato momento è nell’abbondanza e chi si trova invece nell’indigenza. Si tratta di un ambito – quello della sperequazione delle ricchezze e degli obiettivi di eguaglianza economica – nel quale le differenze e addirittura le contrapposizioni non corrono certamente sul confine che separa con Dio e senza Dio. Anche se il Gesù dei vangeli appare molto esplicito rispetto all’uso delle ricchezze e allo schierarsi a fianco dei poveri, la storia del cristianesimo e dei suoi sostenitori e oppositori mostra come in ogni epoca questo orientamento evangelico non sia stato seguito in modo univoco e costante. Accanto ai molti credenti con Dio o senza Dio che si sono adoperati a favore dei poveri, troviamo negli ultimi duemila anni molti altri credenti con Dio o senza Dio che hanno – se non utilizzato strumentalmente – per lo meno interpretato diversamente le istanze evangeliche a favore dei poveri, schierandosi decisamente dalla parte dei ricchi e legittimando le loro condotte, anche quando ingiuste o addirittura criminali. Ma tornando all’ambito neotestamentario, il contesto immediato della seconda lettera ai Corinzi sembra essere quello di una colletta a favore di credenti di altre comunità che si trovano in condizioni di bisogno e, tra le motivazioni spirituali, etiche e teologiche che dovrebbero spingere a impegnarsi nel donare, se ne richiamano in particolare tre, che possiamo considerare valide anche per noi lettori odierni con Dio o senza Dio. Una prima motivazione: la larghezza e ricchezza d’animo che ci si aspetta dai discepoli del vangelo dovrebbe spingere a essere coerentemente ricchi e larghi anche nella generosità dell’aiuto economico; una seconda motivazione dovrebbe essere quella di condividere il cammino di gratuità percorso da un Gesù Cristo descritto come colui che da divinamente ricco si è fatto umanamente povero per rendere partecipi anche altri della propria ricchezza; una terza motivazione consiste nel doveroso impegno per far evolvere verso l’uguaglianza una situazione caratterizzata invece dalla sperequazione tra abbondanza e indigenza. L’esempio proposto per questo superamento delle sperequazioni è ricavato dall’episodio veterotestamentario della manna durante il cammino nel deserto. In quel caso era lo stesso dispositivo miracoloso predisposto dal Dio biblico a garantire la perequazione tra chi avesse raccolto più del nutrimento necessario e chi non ne avesse avuto a sufficienza. Oggi invece – se non vogliamo limitarci ad attendere miracoli che in questo ambito finora non si sono verificati – tanto come senza Dio quanto come con Dio che desiderano in questo mondo più eguaglianza e più giustizia dovremmo impegnarci attivamente nel promuovere sensibilità sociali e responsabilità etiche, strumenti giuridici e regole economiche che consentano per lo meno di ridurre le crescenti sperequazioni che allontanano sempre più i molti poveri dai pochi ricchi.

Una sovrabbondanza di vita è il desiderio legittimo che ogni persona, con Dio o senza Dio, solitamente coltiva ma è anche ciò di cui la narrazione evangelica di Marco evidenzia la mancanza nell’esperienza delle due protagoniste femminili di questo brano. Per loro e per coloro che ne hanno a cuore il destino, infatti, la vita si presenta tutt’altro che sovrabbondante, anche se in modi diversi e che potrebbero sembrare addirittura contrapposti. La ragazza morente, una dodicenne che quindi – nel mondo antico – si trova nel momento di passaggio alla vita adulta, rischia di non entrare nella fase dell’esistenza nella quale le promesse di una vita sovrabbondante dovrebbero essere mantenute. La donna adulta che soffre da dodici anni di emorragie rischia di poter sperimentare solo la sovrabbondanza patologica di una vita – simboleggiata dal sangue – che anziché mantenere le sue promesse rischia di abbandonarla, uscendo fuori da lei e conducendola così, se non alla morte, a trascinarsi in un’esistenza stentata, priva come si trova ad essere, di salute, forza e vitalità. Ma questa duplice mancanza di una vita sovrabbondante promessa o attesa – che non dipende certamente dall’essere con Dio o senza Dio – viene fatta incontrare dall’evangelista con la sovrabbondante attesa e promessa di vita rappresentata dalla figura di Gesù. Si tratta di un incontro reso possibile, anch’esso, da una sovrabbondanza di insistenza, di coraggio o persino di egoistica sfacciataggine nel cercare l’incontro con Gesù, da parte del padre della ragazza, che supplica Gesù con insistenza, ma – soprattutto – da parte della donna con emorragie continue. Quest’ultima, infatti, cerca un contatto fisico pur consapevole che le regole religiose la ponevano costantemente nella condizione di impura contaminatrice per chiunque fosse entrato in contatto con lei. E tuttavia quella che viene premiata dal Gesù di Marco è precisamente questa sovrabbondanza di desiderio e di perseveranza in una ricerca portata avanti senza remore sociali o religiose. Una sovrabbondanza di desiderio e di perseveranza che Gesù riconosce come particolarmente affine alla sovrabbondanza che è propria della fede, fede che addirittura non può esistere come tale se non arriva – si potrebbe quasi dire paradossalmente – a quel livello minimo di sovrabbondanza che è richiesta dal messaggio evangelico per poter produrre effetti nell’esistenza di ogni persona, con Dio o senza Dio. Solo la sovrabbondanza del desiderio e della ricerca di una vita sovrabbondante, infatti, può condurre con Dio e senza Dio a incontrare nella fede una figura di Gesù che si rivela capace di offrire vita, una vita che corrisponde in modo sovrabbondante, anche se in forme e modalità diverse, ad attese e promesse che riguardano con Dio e senza Dio. I primi, infatti, i con Dio, potranno spingersi ad attendere miracoli capaci di dare compimento a promesse divine, come ad esempio il ritorno a una vita sovrabbondante dei tanti bambini che anche oggi soccombono a malattie e morte senza purtroppo potersi rialzare, come invece accade alla dodicenne della narrazione evangelica. I secondi, invece, i senza Dio, non potendo attendere miracoli dal cielo, per poter sperare il ritorno a una vita sovrabbondante dei tanti bambini che anche oggi ne sono esclusi, dovranno concentrarsi (ovviamente insieme ai con Dio) su pratiche che possano responsabilizzare fino alla conversione gli adulti che uccidono bambini nei tanti modi ancora oggi tragicamente possibili, come ad esempio l’alimentare guerre e il praticare respingimenti di migranti. Solo impegnandosi nello sconfiggere pratiche di morte, infatti, potrà essere testimoniata in modo credibile quella sovrabbondanza di vita che con Dio e senza Dio possono attendere e sperare dal loro incontro con la figura di Gesù narrata dai vangeli.