Letture festive – 128. Predicazione – 3a domenica del Tempo ordinario – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
3a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 21 gennaio 2024
Dal libro del profeta Giona – Gio 3,1-5.10
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 7,29-31
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 1,14-20
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letture festive 128
Questo passo del libro di Giona sembra presentarci l’evento della predicazione nella sua forma tradizionale, ma in realtà ne possiamo riconoscere alcuni tratti paradossali e sorprendenti tanto per con Dio quanto per senza Dio. Sembra, infatti, si tratti semplicemente di un profeta che viene inviato da Dio a predicare in una città che accoglie la sua predicazione e si converte, evitando così la punizione divina. Ma si può notare come il messaggio divino, del quale il profeta si fa portavoce, non sia di per sé un invito alla conversione, ma soltanto l’annuncio di un evento futuro: entro quaranta giorni Ninive sarà distrutta, sottintendendo che sarà Dio l’autore di questa distruzione. È a questo punto che avviene la vera svolta del racconto: i cittadini di Ninive credono a Dio, nel senso che ritengono vero il contenuto della predicazione del profeta, cioè l’imminente distruzione della città. Il comportamento dei Niniviti si concretizza allora nella pratica del digiuno e nell’indossare l’abito penitenziale, ma non viene esplicitato quale sia lo scopo di questo comportamento. Di per sé, infatti, potrebbe trattarsi tanto di una sottomissione che prova a impietosire Dio quanto di un modo per prepararsi alla fine ormai inevitabile. Questo il testo non lo specifica, dal momento che si limita a descrivere i passaggi del comportamento di Dio, il quale anzitutto vede, in secondo luogo interpreta il comportamento dei cittadini di Ninive come un impegno alla conversione e per questo si ravvede riguardo al male minacciato, rinunciando a compierlo. Alla fine di questa narrazione il lettore, con Dio o senza Dio, potrebbe notare almeno un paio di elementi paradossali e sorprendenti: il primo è che il contenuto della predicazione non si è rivelato veritiero, dal momento che Ninive non è stata distrutta; il secondo elemento è che, grazie alla scelta dei Niniviti di convertirsi, chi infine si è convertito è Dio stesso, rispetto a quello che il testo definisce un male, che Dio aveva minacciato di compiere. Sembra quasi, perciò, che i risultati ultimi della predicazione profetica siano la conversione di Dio o delle potenze che minacciano distruzione, la presa di coscienza di una gigantesca città in vista di un miglioramento e la smentita del contenuto letterale della predicazione profetica. Potremmo forse trarne l’insegnamento che nella predicazione il contenuto non è affatto l’aspetto decisivo e che invece – a prescindere dal contenuto che potrà rivelarsi più o meno veritiero – l’aspetto decisivo di una predicazione efficace consiste, per con Dio o per senza Dio, nella capacità di accrescere consapevolezza, preservare dalla distruzione, avviare cambiamenti etici e produrre trasformazioni nonviolente.
Nella predicazione di Paolo esposta in questo brano, i riferimenti al tempo che si è fatto breve e alla forma di questo mondo che sta passando sembrano presupporre l’attesa di una imminente parusia che porrà fine alla storia. Si tratta di un’attesa che attraversa presumibilmente i primi decenni delle comunità cristiane delle origini e che fa comprendere in quello specifico momento l’invito a vivere tutte le dimensioni dell’esistenza come se non le si stesse vivendo. È questo, infatti, un modo per sottolineare la provvisorietà di condizioni destinate a essere ben presto superate e un modo per invitare i credenti a prepararsi in vista delle condizioni di radicale novità nelle quali stanno per essere introdotti. È una forma di approccio apocalittico che, anche se rilevante nella predicazione di Paolo, sarà radicalmente smentito dalla prosecuzione della storia del mondo e delle comunità credenti fino ai nostri giorni. Se poi il limite temporale della vita terrena di ogni individuo rimane un elemento di grande rilevanza per con Dio e per senza Dio, il tema del ritardo della parusia, che ha rappresentato un grave problema per le prime generazioni cristiane, è diventato invece per noi odierni con Dio o senza Dio una questione irrilevante, che tuttavia ci stimola a cercare altri possibili significati in questo come se non che Paolo ripete come fosse un ritornello. In effetti, anche se la parusia non è imminente – come per lo più ritengono i con Dio – o se addirittura non si verificherà mai – come per lo più ritengono i senza Dio – nel come se non paolino si può riconoscere una grande sapienza su come approcciarsi alle diverse e importanti realtà che fanno parte della nostra vita: l’ambito delle relazioni rilevanti (esemplificate da Paolo nell’averemoglie), l’ambito emotivo e affettivo (esemplificato dal piangere e dal gioire), l’ambito dell’economia (esemplificato dal comprare e possedere), l’ambito delle pratiche di vita quotidiana (esemplificato dall’usare i beni del mondo). Si tratta di ambiti che tendono, ciascuno a proprio modo, a diventare totalizzanti nella vita delle persone, con Dio o senza Dio, ambiti che talvolta arrivano a richiedere un coinvolgimento e un impegno completo. La predicazione del come se non, da questo punto di vista, suggerisce una relativa presa di distanza, invita a mantenere una riserva critica e a creare le condizioni che possono evitare un appiattimento su qualcosa di parziale che rischierebbe altrimenti di diventare il tutto dell’esistenza umana. La predicazione, allora, dovrebbe precisamente richiamare con Dio e senza Dio alla necessità di custodire quel salutare distacco che consente di vivere e sperimentare in modo adeguato ed equilibrato le diverse realtà dell’esistenza umana. Il come se non in questo caso non rischia – per il fatto che si attende a breve un altro mondo e un’altra vita – di diventare una forma di alienazione da questo mondo e da questa vita. Il come se non, al contrario, può diventare – soprattutto per senza Dio, ma forse anche per con Dio – uno stile di approccio a questo mondo e a questa vita che consente di parteciparne pienamente e al meglio.
Il Gesù raccontato da Marco sembra quasi, dopo l’arresto del predicatore Giovanni, voler raccogliere il suo testimone per riaffermare che la predicazione non può essere fermata e che anzi, proprio quando si prova ad arrestarla, la predicazione ritrova forza e libertà. L’evangelista presenta il contenuto della predicazione iniziale di Gesù facendolo seguire dalla chiamata dei discepoli e in questo modo suggerisce ai suoi lettori, con Dio e senza Dio, una sorta di parallelismo. Vi è, infatti, una corrispondenza tra i contenuti della predicazione di Gesù e la chiamata e risposta dei discepoli, come se proprio i discepoli fossero i primi destinatari che trovano convincente la predicazione di Gesù. Gesù parla di un tempo che si compie e di un regno che è vicino e i primi chiamati vengono avvicinati sulla riva del mare di Galilea da Gesù all’inizio del suo ministero. Gesù invita alla conversione, cioè a un cambiamento di mentalità e di vita collegato a un credere nel Vangelo e i pescatori vengono invitati a seguire con fiducia lui, Gesù, che preannuncia loro che cambierà la loro condizione facendoli diventare pescatori di uomini. Con Dio e senza Dio potrebbero riconoscere in questo parallelismo un esempio di come funzioni ogni predicazione cristiana e ogni accoglienza della stessa. L’esperienza credente cristiana, infatti, nasce grazie a parole che da una parte inaugurano un momento propizio, un tempo che raggiunge il proprio compimento nel farsi vicino di quella realtà misteriosa e dinamica che viene chiamata regno di Dio. Dall’altra parte, le medesime parole della predicazione invitano a un cambiamento di mentalità e di vita che si basa sulla fede-fiducia nello stesso messaggio evangelico oggetto della predicazione. Ma queste stesse parole della predicazione, per essere accolte, devono raggiungere nel tempo propizio i propri destinatari, con Dio o senza Dio, in un modo che corrisponda alla loro condizione. Nel caso dei primi discepoli, ad esempio, l’invito alla trasformazione viene collegato al loro essere pescatori da un Gesù che li chiama perché, accogliendo la sua predicazione e seguendo lui, possano diventare pescatori di uomini. Così, attraverso questi discepoli – chiamati, convinti e trasformati – la predicazione della realtà misteriosa e dinamica del Regno potrà, come suggerisce l’etimologia del termine, portare innanzi quanto detto nelle pagine evangeliche perché possa raggiungere ancora oggi anche noi con Dio o senza Dio e farci riconoscere – a nostra volta – chiamati, convinti e trasformati.