Letture festive – 127. Chiamate – 2a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

2a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 14 gennaio 2024
Dal primo libro di Samuèle – 1Sam 3,1-10.19-20
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 6,13c-15a.17-20
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 1,35-42


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letture festive 127

Nella Bibbia le chiamate, soprattutto quelle divine, non sono esperienze facili da riconoscere e interpretare, a volte perché – come nel caso di questo brano – lo stesso soggetto che chiama non è facilmente identificabile. Il giovane Samuele, che poi diventerà profeta, avverte una chiamata e prontamente risponde con il suo eccomi! Ma per ben tre volte – a sottolineare il suo errore – sbaglia nel riconoscere chi sia a chiamarlo. Avrà bisogno dell’aiuto del sacerdote Eli per arrivare a capire come e a chi deve rivolgere il suo eccomi! Noi odierni con Dio o senza Dio potremmo leggere questo testo alla luce della relazione tra la chiamata individuale di tipo carismatico e mistico che proviene direttamente da Dio e il ruolo dell’istituzione religiosa, rappresentata dal sacerdote Eli. Una prima osservazione è che nessuna immediatezza è possibile senza una qualche forma di mediazione istituzionale. Per con Dio e per senza Dio, infatti, il Dio (esistente o non esistente) raccontato nelle Scritture non sarebbe conoscibile senza la mediazione, appunto, delle Scritture bibliche, alle quali abbiamo accesso grazie alle diverse istituzioni religiose e alle persone che ne hanno fatto parte e che nel tempo hanno contribuito in modo decisivo a elaborarle e a tramandarle. Una seconda osservazione potrebbe essere, al contrario, quella che sottolinea l’irriducibilità delle chiamate personali alle istituzioni religiose che pure ne costituiscono il presupposto ineliminabile. Questa irriducibilità può arrivare, in certi casi, a una drammatica contrapposizione, nella quale si evidenzia una radicale incompatibilità, che porta in genere al prevalere dell’istituzione sull’individuo, con esiti anche violenti o addirittura mortali. Le narrazioni veterotestamentarie delle persecuzioni dei profeti ne sono un esempio, che nel Nuovo Testamento culmina nelle narrazioni evangeliche del conflitto tra Gesù e le autorità religiose del suo tempo. C’è da sperare che nelle nostre comunità ecclesiali a con Dio e a senza Dio sia consentito di seguire le rispettive specifiche chiamate per il bene comune, senza dover affrontare persecuzioni o violenze di vario tipo da parte dell’istituzione religiosa e potendo quindi esercitare la libertà di una coscienza che cerca sinceramente la verità.

Anche i comportamenti etici moralmente accettabili o addirittura virtuosi si configurano nei credenti con Dio o senza Dio come risposte ad altrettante chiamate. Queste chiamate possono essere riconosciute come riconducibili in qualche modo a Dio, ma di solito ci si presentano come provenienti anzitutto dalle persone che incontriamo e che, esplicitamente o implicitamente, ci chiamano a comportarci in un modo piuttosto che in un altro. Sono le situazioni concrete della vita nelle quali ci veniamo a trovare e nelle quali dobbiamo operare delle scelte quelle dove le chiamate a un comportamento etico moralmente buono ci raggiungono ed esigono risposte, spesso con urgenza e in tempi brevi. Ma quali siano le risposte eticamente giuste e moralmente buone che possiamo e dobbiamo dare, in certi ambiti non è per nulla chiaro, non solo tra con Dio da una parte e senza Dio dall’altra, ma anche tra persone che si ritengono tutte con Dio, o tra persone che si ritengono tutte senza Dio. Neppure il ricorso alle Scritture, alla grande Tradizione della Chiesa o al magistero dei suoi ministri può garantire la risposta giusta alla chiamata etica presente nella situazione concreta di uno specifico caso. Prendiamo, ad esempio, il modo in cui (riferendosi forse a uno specifico problema a noi ignoto) Paolo  – qui più che altrove condizionato dalla cultura dell’epoca – parla del corpo e dell’impurità. Possiamo facilmente riconoscere qui alcuni dei contenuti che, per secoli e fino a non molto tempo fa, una certa predicazione cristiana – senza troppo preoccuparsi della corretta esegesi del testo paolino – ha capillarmente riproposto e rilanciato, applicandoli in particolare alla condanna dell’autoerotismo e, più in generale, del piacere sessuale. Ma la teologia più recente, insieme alla sapienza di tanti credenti adulti, ci ha insegnato che in questo come in tanti altri ambiti le risposte che ciascuno è chiamato a dare, attraverso il proprio discernimento, possono e devono essere diverse a seconda delle situazioni, delle persone e, in ultima istanza, della valutazione della propria coscienza personale di con Dio o di senza Dio, una coscienza personale che è chiamata a distinguere la scelta eticamente buona e legittima da quella cattiva e illegittima, come anche a riconoscere in certi casi quella moralmente non rilevante.

Questa narrazione giovannea delle origini del discepolato sembra sottolineare il carattere indiretto delle chiamate che collegano i discepoli alla figura di Gesù: un carattere indiretto che può diventare prezioso nel modo di intendere il discepolato anche per noi, odierni con Dio o senza Dio. È infatti il Battista colui che indica Gesù a due dei suoi discepoli, i quali, sulla base di questa parola, si trasformano in discepoli di Gesù e iniziano a seguire lui. Gesù a questo punto compie un preciso movimento: quello di voltarsi. È lo stesso movimento che Giovanni, alla fine del suo vangelo, nel giardino del sepolcro vuoto, fa compiere alla discepola Maria per ben due volte, inizialmente senza riconoscere Gesù, se non come custode del giardino, e una seconda decisiva volta, dopo essere stata chiamata da lui per nome e prima di poterlo chiamare a propria volta: maestro. Se Gesù viene avvicinato dai suoi primi discepoli in modo indiretto dal Battista, la discepola Maria si avvicina al Risorto in modo indiretto attraverso colui che lei ritiene essere un’altra persona. Si tratta – come per noi odierni lettori con Dio o senza Dio – di un voltarsi indietro, di un rivolgere lo sguardo dove non si stava guardando, di un venire raggiunti e chiamati in modo inatteso. Agli albori del discepolato e nel momento del riconoscimento che trasforma il discepolato in testimonianza e in annuncio stanno movimenti e chiamate che fanno incontrare Gesù in modo indiretto. Così come indiretto – nella prosecuzione del racconto dei primi discepoli – è anche l’incontro di Pietro con Gesù, poiché in realtà è suo fratello Andrea, uno dei primi due discepoli, colui che indica a Pietro Gesù come il Messia e lo conduce da lui. Il Simone al quale Gesù cambia il nome in Cefa/Pietro non proferisce parola né compie alcun gesto. Ci troviamo davanti al quasi paradosso di una serie di non-chiamate di Gesù nei confronti dei discepoli e quella che sembra essere l’unica eccezione, qualche versetto dopo, la chiamata che Gesù rivolge direttamente a Filippo, non è probabilmente casuale. Riguarda infatti proprio quel Filippo che più tardi chiederà a Gesù di poter vedere direttamente il Padre, sentendosi rispondere che chi vede Gesù vede il Padre e cioè che l’unico accesso possibile al Padre è un accesso indiretto. Che la relazione con la figura di Gesù non possa mai essere realmente immediata e diretta lo si potrebbe, del resto, intuire anche dal dialogo iniziale tra i primi due discepoli e Gesù, un dialogo fatto di due domande e di una proposta di esperienza: cosa cercate?dove abiti?venite e vedrete! Da una parte, infatti, dialogo e domande consistono in parole che ne cercano altre, rinunciando così all’illusione di una verità enunciata direttamente. Dall’altra parte, una proposta di esperienza suggerisce che si possa arrivare a vedere e sperimentare qualcosa che ancora non è visibile e non è stato sperimentato solo mettendosi in cammino. Si tratta di dialogo, domande e di una proposta di esperienza che rimangono validi per tutti coloro, con Dio o senza Dio, che si sentono chiamati in ogni tempo a incontrare – in modo indiretto ma autentico e vitale – la figura di Gesù.