Letture festive – 122. Narrazioni – Natale del Signore – Messa del giorno

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Natale del Signore – Messa del giorno – 25 dicembre 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 52,7-10
Dalla lettera agli Ebrei – Eb 1,1-6
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 1,1-18


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letture festive 122

Un dono prezioso che le celebrazioni del Natale offrono a tutti coloro – con Dio o senza Dio – che si rendono disponibili ad accettarlo, è il dono che consiste nelle narrazioni contenute nelle pagine bibliche. Si tratta anzitutto di quelle narrazioni dei vangeli che stanno alla base di tante tradizioni natalizie che nei secoli hanno suggerito e ispirato a loro volta una grande quantità di racconti di Natale, da quelli composti dai grandi scrittori fino alle sceneggiature dei film natalizi. Le narrazioni evangeliche del Natale più note sono quelle contenute nel vangelo di Luca, che la liturgia propone nelle messe della notte e dell’aurora, raccontando della nascita di Gesù a Betlemme e dei pastori venuti ad adorarlo. Nella messa del giorno di Natale, invece, queste narrazioni sono assenti, ma proprio l’assenza di queste narrazioni più note, consente alla liturgia di proporre, così che possano essere riconosciuti e apprezzati, altri tipi di narrazione. La visione del profeta Isaia, ad esempio, è la narrazione dell’avvicinarsi di un messaggero che annuncia pace e salvezza, una pace e salvezza che coincidono con il governo esercitato da Dio sulla realtà, grazie al suo ritorno come Dio liberatore, un ritorno che produce gioia e consolazione. Sono queste narrazioni che hanno consentito ai credenti con Dio di ogni epoca di mantenere viva la speranza anche in tempi oscuri di guerra e di deportazione. Ma queste stesse narrazioni bibliche possono mantenere viva la speranza anche dei senza Dio, dal momento che riescono a trasmettere – anche a chi non attende da un Dio pace e salvezza – la consapevolezza che il futuro può essere desiderabile se ciascuna persona e insieme il maggior numero di persone lo preparano con i loro atteggiamenti e comportamenti: fiduciosi e aperti, resistenti e costruttivi, nonviolenti e solidali. Per questo sono così belli i piedi di ogni messaggero o narratore, con Dio o senza Dio, che sia capace di portare, con la convinzione di chi le ha fatte proprie, queste notizie e queste narrazioni.

Una caratteristica importante delle narrazioni bibliche la potremmo intravedere nel testo della lettera agli Ebrei, là dove si legge: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”.  Le molte volte e i diversi modi trovano espressione infatti, per con Dio e per senza Dio, nella varietà che caratterizza le narrazioni bibliche, narrazioni che per l’autore della lettera agli Ebrei erano ancora e solamente quelle veterotestamentarie, alle quali le comunità cristiane hanno aggiunto in seguito quelle neotestamentarie. Se poi è vero che questa varietà di molte volte e di diversi modi trova una sua unità nel canone scritturistico che nel tempo si è andato precisando, rimane vero che questo canone, nelle stesse chiese cristiane, conosce ancora oggi versioni differenti. Il canone, quindi, che dovrebbe essere la regola ecclesiale che include o esclude i libri ritenuti ispirati, stabilendo i confini delle Scritture sacre, si presenta in realtà come differenziato già all’interno del cristianesimo, oltre che mutevole nel tempo, dal momento che fino al Concilio di Trento – e quindi per circa 1500 anni – non è stato definito chiaramente neppure all’interno della Chiesa Cattolica. Ma anche una volta che i libri biblici siano stati individuati, le narrazioni che questi contengono si presentano straordinariamente plurali e diverse nelle loro forme e nei loro contenuti, anche perché distribuite in un arco di tempo plurisecolare ed elaborate in specifici contesti e spesso per specifici destinatari. Si tratta di narrazioni che hanno compiuto un lungo percorso fatto di scritture e di riscritture, di citazioni e di interpretazioni, un percorso che non si è fermato neppure nel momento in cui i libri sono stati scritti, ma che è proseguito per due millenni raggiungendo tutti i lettori delle pagine bibliche. Queste narrazioni sono giunte oggi fino a noi, con Dio o senza Dio, e ci sono affidate perché le nostre molte volte in cui le riascoltiamo e i nostri diversi modi nei quali le interpretiamo si possano aggiungere alle molte volte e ai diversi modi dei lettori che ci hanno preceduto. Come infatti sosteneva già Gregorio Magno, la Scrittura cresce insieme ai suoi lettori. Volendo poi passare dai tempi antichi citati nel testo della lettera agli Ebrei ai tempi nostri, anche il modo nel quale, come scrive l’autore, “Dio ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” è un modo che si rinnova in ogni tempo, perché questo stesso Figlio è stato interpretato molte volte e in diversi modi. Basti pensare a quanto sia diverso rispetto a quello dei Vangeli, il modo nel quale la stessa lettera agli Ebrei presenta la figura di Gesù Cristo, senza mai fare riferimenti significativi alla sua esistenza storica e terrena o ai contenuti della sua predicazione o alle azioni da lui compiute sulla terra. La lettera agli Ebrei, infatti, ricorrendo a continue citazioni veterotestamentarie, sembra parlare solo di azioni compiute in un cielo abitato da creature angeliche, azioni con le quali il Figlio, nuovo Sommo Sacerdote, affrontando la sofferenza e offrendo sé stesso come vittima sacrificale, ha definitivamente superato – ponendogli fine – il sistema sacrificale ereditato dall’Antico Testamento. Si tratta di differenze così importanti rispetto al Gesù descritto nei Vangeli da poter costituire un precedente significativo, affinché non solo i con Dio, ma anche i senza Dio possano cercare e trovare a loro volta i diversi modi che consentono anche a loro di ascoltare e accogliere il messaggio neotestamentario che riguarda Gesù.

Se riconosciamo il carattere non solo plurale e differenziato, ma anche situato e parziale delle narrazioni bibliche e delle relative interpretazioni possiamo forse sottrarre la Bibbia al rischio evidenziato dal filosofo post-moderno Lyotard in quelle che lui chiama “grandi narrazioni” della modernità, intendendole come ideologie che pretendono di dare un’interpretazione totalizzante e onnicomprensiva della realtà. Già nel cuore delle narrazioni neotestamentarie, infatti, troviamo un vangelo che si presenta già originariamente non come unico, univoco e monolitico, bensì come “tetramorfo” e cioè in quattro forme tra loro diverse, come evidenzia anche la rappresentazione simbolica associata a ciascun vangelo. Questa diversità appare anche nel confronto tra le narrazioni evangeliche di Luca e Matteo sulla nascita di Gesù e la pagina che apre il vangelo di Giovanni, dove possiamo leggere la narrazione della vicenda del Logos. Si tratta di un termine che dal greco antico si può tradurre in diversi modi: parola o discorso, ragione o spiegazione, ma anche, ad esempio, racconto o narrazione. Se volessimo, quindi, provare a tradurre in questo prologo giovanneo Logos con narrazione, per evidenziarne poi la relazione con l’universo delle Scritture bibliche, ne risulterebbero, per con Dio e per senza Dio, alcune suggestioni riguardanti la centralità, l’importanza e la funzione creativa della narrazione: in principio era la narrazione, una narrazione dai caratteri divini. L’intero universo biblico è stato fatto per mezzo della narrazione e senza narrazione nulla è stato fatto di ciò che in questo universo biblico esiste. Nella narrazione vi è una vita e una luce che le tenebre non riescono a vincere. Anche quando non viene riconosciuta o non viene accolta la narrazione continua a illuminare ogni umano, perché è per mezzo della narrazione che il mondo delle Scritture è stato fatto. Il lettore credente che accoglie la narrazione può sperimentare, come prodotte tra i lettori della medesima narrazione, una figliolanza e una fraternità che vanno oltre quelle di sangue e può riconoscere che proprio nella narrazione si incarna una delle forme di colui che viene definito Figlio unigenito di Dio. Le narrazioni bibliche che si estendono fino a comprendere il Nuovo Testamento operano con una forza, una gratuità e una verità così straordinarie da superare persino le narrazioni della legge mosaica. Nel loro insieme le narrazioni bibliche sono le uniche capaci di rivelarci un Dio che nessuno ha mai visto, un Dio che per i con Dio è tale perché in sé invisibile, mentre per i senza Dio nessuno ha mai visto Dio perché, come tale e in senso teistico, non esiste. In ogni caso le narrazioni bibliche esistono e non cessano di parlare anche oggi con la loro straordinaria forza a tutti noi con Dio o senza Dio.