Letture festive – 121. Presenza – 4a domenica di Avvento – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
4a domenica di Avvento Anno B – 24 dicembre 2023
Dal secondo libro di Samuèle – 2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 16,25-27
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 1,26-38
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letture festive 121
In questo passo del secondo libro di Samuele, il re Davide vuole creare le condizioni perché siano riconosciute alla presenza divina un’importanza e una collocazione adeguate A questa preoccupazione devota dei con Dio di ogni tempo può corrispondere nei senza Dio il tentativo di circoscrivere il divino – o ciò che esso rappresenta – entro limiti ben precisi, un tentativo che peraltro ha portato anche i con Dio di ogni tempo a costruire templi cioè, nell’etimologia greca della parola, luoghi ritagliati per delimitare la pericolosa area della presenza del sacro, rispetto agli spazi dove si svolge la vita umana profana. In questo testo biblico, il contrasto è tra la stabilità e la sicurezza costituita e simboleggiata dalla solida casa nella quale abita il re e la precarietà e la temporaneità costituita e simboleggiata dalla tenda nella quale si trova l’arca che garantisce la presenza di Dio: questo è per Davide un problema, perché la presenza divina che ha dato a lui come re stabilità e sicurezza, va collocata in un luogo che esprima in modo dignitoso e adeguato questa stabilità e sicurezza. Tale concezione della presenza divina e del luogo dove la si debba collocare viene legittimata come religiosa e opportuna anche dal profeta Natan. Se non ché la parola divina si fa presente nella notte al profeta, per contestare il significato e il valore di quelli che il re Davide e il suo profeta Natan avevano concepito come pensieri religiosi e devoti. La parola divina contesta i modi nei quali si vuole intendere la presenza di Dio e i luoghi nei quali la si vuole rinchiudere. Se per gli umani il luogo più adeguato a esprimere benessere, sicurezza e serenità è effettivamente una casa accogliente, nella quale sentirsi a proprio agio, per la presenza di quel Dio che viene narrato dalle parole bibliche la tenda, che evoca il camminare nel deserto verso un luogo promesso e non ancora raggiunto, risulta un luogo molto più appropriato di quanto non possa esserlo un solido tempio. Inoltre, davanti alla pretesa del re di costruire lui una casa a Dio, per garantirsi la stabile vicinanza della sua presenza, la parola divina contrappone qualcosa di molto diverso: la costruzione da parte di Dio per il re dell’unica casa che possa rendere stabile la presenza del re nel tempo: la sua discendenza. Si tratta evidentemente, per con Dio e per senza Dio, di una casa o – come la si può anche chiamare – di una casata che presenta tratti paradossali: è quella che più garantisce nel futuro una presenza vitale e dinamica, ma è anche quella meno controllabile e meno prevedibile, dal momento che in buona parte non esiste ancora o se già esiste non è prevedibile nei modi del suo crescere ed evolvere nel tempo. Del resto, anche per noi, con Dio o senza Dio di oggi, le forme di presenza più valide e feconde, più preziose e necessarie, sono probabilmente quelle che ci aprono a un futuro che non possiamo prevedere né controllare.
La solenne preghiera di glorificazione che chiude la lettera di Paolo ai cristiani di Roma contiene la sorprendente sottolineatura di una particolare forma di presenza di Gesù Cristo. Si tratta della rivelazione di un mistero che ora viene manifestato mediante le scritture dei Profeti. Che si tratti di una manifestazione che avviene mediante le scritture veterotestamentarie dei Profeti non è per nulla un dato ovvio o banale, tanto per i con Dio quanto per i senza Dio. I Vangeli, infatti – composti successivamente alle lettere paoline ritenute autentiche, come quella ai Romani – ci hanno abituato a una rappresentazione della figura di Gesù Cristo che è quella di un personaggio presente e operante nella storia e del quale gli evangelisti raccontano la vicenda umana. Ma sul piano della cronologia di composizione la prima forma di annuncio evangelico che troviamo nel Nuovo Testamento non è quella dei Vangeli, bensì quella delle lettere paoline ritenute autentiche, lettere che di un Gesù presente e operante nella storia non parlano praticamente mai. In questo finale della lettera ai Romani, ad esempio, il Gesù Cristo annunciato da Paolo è strettamente collegato non a vicende storiche ma, appunto alla rivelazione di un mistero un tempo avvolto nel silenzio e che ora viene manifestato non mediante la presenza storica di Gesù Cristo – come sembrano raccontare i Vangeli – bensì – come afferma Paolo – mediante le Scritture dei Profeti e cioè mediante la re-interpretazione delle antiche pagine bibliche alla luce di quell’oggi nel quale Paolo si trova a scrivere. Con Dio e senza Dio che leggono oggi queste pagine paoline dovrebbero forse lasciarsi interrogare dal fatto che, nella comunità cristiana, le prime forme di presenza di Gesù Cristo e del mistero in lui rivelato, si siano concretizzate attraverso nuove interpretazioni delle Scritture profetiche veterotestamentarie. Se ne potrebbe trarre un forte invito a riscoprire la centralità, per la fede cristiana, delle Scritture bibliche antiche e nuove e a praticarne l’interpretazione per poter fare esperienza, come con Dio o come senza Dio, della presenza di Gesù Cristo.
Per l’evangelista Luca la presenza divina nella sua novità si manifesta già attraverso le relazioni con i personaggi delle antiche Scritture bibliche: Maria porta il nome della sorella di Mosè e come lei, nel Magnificat, intonerà un canto di liberazione, Giuseppe porta il nome del sognatore figlio di Giacobbe, capace di perdonare i propri fratelli. Il riferimento alla casa-casata di Davide poi collega il vangelo di questa ultima domenica di Avvento a quanto già abbiamo ascoltato nella prima lettura. Questo testo, inoltre, a condizione che accettiamo di immedesimarci proprio in Maria, può introdurre noi odierni con Dio o senza Dio a cogliere forme nuove di quella presenza che le pagine bibliche evocano. Nella condizione apparentemente già predeterminata di Maria come promessa sposa, la parola angelica – che irrompe nella sua esistenza annunciando una nuova presenza gratuitamente donata e portatrice di gioia – provoca in realtà turbamento e timore. Anche perché il farsi strada in Maria di questa presenza, ora germinale ma destinata a grandi orizzonti, seguirà le vie impossibili che consentono il partorire delle vergini e il ritornare fertili delle anziane ritenute sterili. Davanti a questa parola, spiritualmente capace di rendere possibile l’impossibile, anche noi oggi, con Dio o senza Dio, siamo invitati come Maria a dare la nostra risposta, una risposta che può essere pronunciata solo nella libertà e che deve essere sostenuta dal coinvolgimento della nostra intera esistenza. Anche noi, infatti, ci possiamo riconoscere simili, di volta in volta, a vergini che non hanno rapporti o a sterili che non sono state fecondate dai rapporti avuti. Ma, nonostante queste impossibilità e incapacità, le parole del vangelo ci mettono in condizione di generare un nuovo Gesù, rendendo possibili forme sempre nuove della sua presenza nel mondo. L’unica condizione sembra essere quella di accogliere le parole evangeliche e desiderare e consentire che siano queste parole a ispirare ciò che avviene della nostra vita e a suggerire ciò che possiamo generare. Solo così, infatti, la salvezza promessa e offerta a tutti potrà rendersi presente anche attraverso di noi con Dio o senza Dio.