Letture festive – 91. Prescelti – 11a domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
11a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 18 giugno 2023
Dal libro dell’Èsodo – Es 19,2-6a
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 5,6-11
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 9,36-10,8
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letture festive 91
Quella di essere prescelti da Dio come gruppo e come popolo è una convinzione molto frequente nei testi biblici, soprattutto in quelli che si riferiscono all’esodo dall’Egitto. In questo brano, tratto appunto dal libro dell’Esodo, a partire dall’esperienza della liberazione dalla schiavitù – esperienza paragonata all’essere sollevati in alto verso Dio su ali di aquile – è Dio stesso che offre al popolo la possibilità di essere prescelto per diventare quella che viene definita una sua proprietà particolare. Si tratta di una possibilità e di una condizione che viene descritta e caratterizzata qui in un modo ben preciso: essere proprietà particolare di Dio si basa su un’esperienza di liberazione, richiede la disponibilità a dare ascolto alla voce divina e la volontà di custodire l’alleanza con Lui. Nello stesso tempo essere proprietà particolare di Dio, si inscrive in una proprietà più generale che riguarda tutta la terra e si specifica poi nell’essere contemporaneamente due realtà apparentemente contraddittorie: essere un regno di sacerdoti, cioè di mediatori tra Dio e qualcun altro (o qualcosa d’altro) ed essere una nazione santa, cioè separata da tutti (o da tutto) per poter essere pienamente riservata a Dio. Ci si potrebbe chiedere in che modo questa condizione dell’essere prescelti da Dio possa essere sperimentata, oltre che dai con Dio, anche dai senza Dio. Una possibile risposta dovrebbe probabilmente sottolineare come anche i senza Dio possano fare esperienze di liberazione definibili con la metafora di un essere sollevati in alto e come anche i senza Dio possano mettersi in ascolto di voci bibliche alle quali restare fedeli e di altre voci sapienti, con le quali sentirsi alleati nella comunità ecclesiale. Il sentirsi prescelti dei senza Dio dovrebbe poi tradurre l’essere proprietà particolare nel riconoscere la molteplicità delle proprie (più o meno parziali) appartenenze a qualcosa o a qualcuno come un fattore imprescindibile della identità propria, così come di quella di chiunque altro. Quanto poi all’essere mediatori e trasmettitori profetici di una eredità riconosciuta come preziosa, ciò dovrebbe valere tanto per i con Dio quanto per i senza Dio. Entrambi, poi, dovrebbero provare a essere una sorta di nazione santa anzitutto attraverso la salvaguardia di una distanza critica rispetto alle situazioni, così da mantenere viva la propria capacità di una testimonianza profetica.
Se poi come criteri dell’essere prescelti tanto per i con Dio quanto per i senza Dio, volessimo individuare il merito o l’eccellenza delle capacità e dei risultati, la perfezione etica o la impeccabilità della condotta, Paolo ci ricorderebbe che in realtà è vero quasi il contrario. Nella lettera ai Romani, infatti, mentre sottolinea quanto sia difficile trovare qualcuno disposto a morire per una persona buona, Paolo afferma che la morte di Cristo per noi è avvenuta quando ancora eravamo deboli, empi, peccatori, nemici, meritevoli di ira. È vero che questa condizione viene rovesciata grazie a quell’essere prescelti che Paolo – utilizzando l’immaginario veterotestamentario del sacrificio e del sangue – rappresenta come l’essere stati salvati, giustificati e riconciliati grazie alla morte di Cristo. Ma si tratta, appunto, di una condizione attuale di riconciliati e salvati mediante la vita del Cristo che arriva solo dopo che eravamo stati prescelti per essere riconciliati e salvati mediante la morte del Cristo per noi, mentre ancora ci trovavamo nella condizione opposta. L’essere prescelti – per essere destinati a una vita salvata, giustificata e riconciliata – non dipende perciò dal merito, dalle capacità, dai risultati, dalla perfezione etica o dall’impeccabilità, e neppure dall’essere con Dio piuttosto che senza Dio. L’essere prescelti dipende invece dal fatto che qualcun altro, in cielo o sulla terra, semplicemente scelga di dare la sua vita per noi, per noi così come siamo, con Dio o senza Dio, e scelga di farlo, in un momento puntuale o in anche nel corso di un tempo lungo, in un modo che richiama, per un qualche aspetto, consapevolmente o meno, il modo in cui il Cristo di cui scrive Paolo lo ha fatto, cioè per amore e mettendosi in gioco personalmente. Se si riconosce questa come una dinamica realmente possibile e se si arriva a viverla in qualche esperienza concreta, ciò significa solitamente che ci si è trovati, almeno una volta, dalla parte dei prescelti. Ma può anche capitare di trovarsi dalla parte di chi sceglie qualcuno o qualcosa, a preferenza di altre persone o di altre cose, non per i suoi meriti, capacità, risultati, perfezione etica o impeccabilità, ma semplicemente per come è. E può capitare che ci si comporti poi nei suoi confronti come farebbe il Cristo descritto da Paolo, cioè con amore e mettendosi in gioco personalmente. Questa seconda esperienza, se può capitare anche ai con Dio, i quali ritengono sia per lo più Dio stesso in Cristo a renderci dei prescelti, certamente è un’esperienza che i credenti senza Dio devono presupporre capiti a qualcuno ogni volta che altri si sentono prescelti. Se infatti si pensa che non vi sia un Dio, ogni volta in cui vi sono degli umani che si sperimentano come prescelti, si deve ritenere che via sia qualche altro essere umano che li abbia scelti a preferenza di qualcun altro o di qualcosa d’altro. E si deve ritenere che ciò avvenga, da parte di con Dio o di senza Dio, in qualche modo a imitazione del Cristo descritto da Paolo, cioè con amore e mettendosi in gioco personalmente.
I prescelti nel racconto dell’evangelista Matteo sono dodici e chiamati per nome, così come – per le Scritture ebraiche – sono dodici e chiamati per nome i figli di Giacobbe-Israele, capostipiti delle dodici tribù del popolo prescelto dal Dio dei padri. In Matteo i prescelti sono i dodici discepoli resi apostoli, cioè i dodici chiamati per nome tra i discepoli che seguono Gesù e – come indica in greco il termine apostoli – inviati, per un servizio a favore delle folle. Folle che lo stesso Gesù, sentendone compassione, vede come stanche e sfinite, quasi fossero pecore disorientate e abbandonate e sé stesse, in quanto prive di chi possa condurle nella giusta direzione e prendersi cura delle loro necessità. Necessità per le quali si deve constatare sempre – sottolinea Gesù – una sproporzione, da ridurre per quanto possibile, tra l’abbondanza di ciò che andrebbe curato e la scarsità di coloro che possono essere dedicati a questa cura. Qui l’essere prescelti viene descritto perciò non come l’essere beneficiari di un qualche dono riservato a sé, né di un qualche potere che si possa esercitare a proprio favore, né di una condizione che si possa far valere come superiore a quella di altri. Tutte purtroppo tentazioni permanenti – queste ora elencate – per chiunque, con Dio o senza Dio, si trovi a svolgere un compito, un servizio, un ministero, connotato religiosamente o meno. Qui l’essere prescelti indica semplicemente ed esclusivamente il trovarsi nella condizione di essere stati scelti, a differenza di altri, per lo svolgimento di un servizio e di un compito a favore di altre persone. Questo servizio è originato perciò dalla compassione del Gesù di Matteo per folle che sono viste come afflitte da stanchezza e disorientate, bisognose di essere condotte dove possano trovare riposo e cure per le loro necessità primarie, quelle che da sempre accomunano tutti gli umani, con Dio e senza Dio. Queste necessità delle folle – a giudicare dai servizi e compiti assegnati da Gesù ai prescelti – sembrano riguardare l’essere liberati da spiriti o da dinamiche interiori che danneggiano le folle stesse e l’essere guariti da malattie che affliggono, minando l’integrità fisica e la dignità umana. Il compito dei prescelti nei confronti delle folle disorientate, che arriva fino al restituire vita risuscitando i morti, si svolge secondo Matteo strada facendo, proprio perché il bisogno fondamentale delle folle è quello di orientarsi e ritrovare la propria strada nella vita. E in questo fare strada vi è un unico contenuto affidato alla predicazione dei prescelti: quello di dire che questa dimensione della realtà, misteriosa e tuttavia accessibile, altra e insieme profonda, che Matteo chiama regno dei cieli, si è fatta vicina e può essere finalmente sperimentata proprio nel servizio offerto alle folle dai prescelti. Questi ultimi poi, in quanto apostoli/inviati, devono operare gratuitamente, così come gratuitamente sono stati prescelti, tra discepoli che gratuitamente hanno potuto seguire Gesù. Questo servizio svolto dai prescelti a favore delle folle viene circoscritto e riservato dal Gesù di Matteo in questa fase del racconto evangelico alle pecore perdute di Israele, escludendo espressamente i pagani e i Samaritani. Ma il medesimo Gesù di Matteo, incontrando come risorto sul monte in Galilea i dodici rimasti undici, li invia a tutte le nazioni. Per questo noi, lettori odierni di questo vangelo, siamo invitati a riconoscere le folle di cui avere compassione come formate oggi e per noi da con Dio e da senza Dio, che cercano di orientarsi strada facendo e che possono attendersi dai discepoli prescelti e inviati come apostoli, con Dio e senza Dio, un servizio che offra loro gratuitamente riposo e cure per le loro necessità primarie. Solo e precisamente in questo servizio offerto loro da prescelti con Dio e senza Dio, le folle, formate a loro volta da con Dio e da senza Dio, potranno sperimentare e riconoscere come credibile l’avvicinarsi di quella dimensione, misteriosa e tuttavia accessibile, altra e insieme profonda, che il vangelo di Matteo chiama regno dei cieli.