Riflessioni teologiche – 70. Martin Kähler: l’autentico Cristo biblico come Gesù soprastorico

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Per superare il problema costituito dalla irraggiungibilità del Gesù storico, con ciò che ne deriva, Martin Kähler nella rappresentazione della figura di Gesù, propone di fare riferimento a un autentico Cristo biblico che andrebbe compreso come soprastorico cioè una realtà che non sarebbe presente senza la storia, ma il cui significato non si risolve nell’essere un anello di una catena o un inizio storico, ma si realizza nel congiungersi di quanto è universalmente valido con quanto è storico in una sorta di presente-efficace, accessibile alla fede di chiunque e non solo degli esperti di storia.


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La via che Martin Kähler tenta di percorrere per superare il problema costituito dalla irraggiungibilità del Gesù storico si può trovare delineata nella conclusione della conferenza pubblicata nel 1892 e intitolata In che modo la cristianità diventa certa del suo Cristo storico?. Afferma Kähler: «Il breve e succinto annuncio apostolico del crocifisso esaltato suscita e sostiene la nostra fede nel Salvatore. Ma per il rapporto credente con il nostro Salvatore ci è di aiuto il ricordo dei suoi discepoli, che si è impresso in loro nella fede, che il suo Spirito ha rinnovato e illuminato in loro, e che essi hanno trasmesso in eredità come il tesoro più prezioso della loro vita. E nel rapporto con lui attraverso la sua immagine biblica noi veniamo educati alla libertà dei figli di Dio, il cui motivo centrale rimane la professione di fede […] trepidante, e tuttavia sincera: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”». Per comprendere adeguatamente questo testo è importante accennare anzitutto a quali sono le due domande fondamentali che Martin Kähler – nel suo secondo scritto del 1896 dedicato al tema – definisce “ineludibili” e alle quali si propone di dare risposta. La prima inizia con una considerazione autobiografica: «Per due decenni il compito principale del mio lavoro professionale è stato l’interpretazione del Nuovo Testamento. […] in tale lavoro è venuto fuori con certezza il risultato che queste indagini sono sì indispensabili, ma per lo più nei particolari non possono apportare alcun guadagno sicuro; in questo campo non mi sembra raggiungibile neppure quel grado di certezza che altrove invece viene parzialmente raggiunto nello studio dell’antichità. […Si arriva perciò a] la domanda ineludibile: queste opere di origine incerta possono pretendere di essere considerate una riproduzione attendibile e normativa della rivelazione?». A questa prima domanda si collega, poi «l’altra domanda: come può Gesù Cristo essere l’oggetto vero per la fede di tutti i cristiani, se solo un’indagine esperta può accertare che cosa e chi egli era veramente e se solo la scienza del nostro tempo appare all’altezza di questo compito? […] Come può questa figura, che solo adesso viene estratta dalla nebbia, come può questo residuo incerto del tipico lavoro critico per sottrazione, essere l’oggetto della fede di tutti i cristiani? E in definitiva, come lo può essere stata finora, nonostante questa copertura che solo adesso si è così fortunati da togliere?».

Per Martin Kähler «queste due domande, nel loro inestricabile intreccio oggettivo, costituiscono in sostanza il problema della rivelazione storica». Questo problema della rivelazione storica presenta quindi due aspetti: il primo aspetto del problema è quello di un’insuperabile incertezza nel raggiungere e fissare ciò che – sul piano storico – dovrebbe costituire il fondamento della rivelazione divina; il secondo aspetto del problema è quello di riservare l’accesso al vero Gesù esclusivamente agli esperti nei risultati più aggiornati delle scienze storiche, riserva ed esclusività del tutto inaccettabili per la fede cristiana. La risposta del protestante Kähler a questo duplice problema si concentra, perciò, su quello che viene chiamato Cristo biblico, definito come «la potente forza vitale che ha corroborato dall’interno e ha preservato l’evangelismo della Chiesa contro tutte le spinte del soggettivismo fanatico o razionalistico». Si tratta infatti della figura di Cristo che è accessibile attraverso le pagine bibliche, grazie a quello che – afferma Kähler – è «il tratto più profondo che fa di un cristiano un “credente nella Bibbia” [e che] lo induce ad essere attaccato alla sua Bibbia con venerazione, fiducia, gratitudine, e con un amore che è almeno uguale a quello che si ha per l’amico più caro. […Quando infatti il credente] legge questo libro con grande raccoglimento ritiene di essere in contatto con Dio che gli parla, così come da parte sua entra in contatto con Dio quando gli parla nella preghiera». Solo scegliendo questa via di approccio al Cristo biblico si può trovare un fondamento solido per la propria fede cristiana. Diversamente – sottolinea Kähler – «tutto rimane in discussione, in movimento, nell’incertezza. Che ciò valga in particolare anche del nucleo e dell’astro della rivelazione storica, ossia di Gesù, del suo agire, essere e insegnare, e infine della sua coscienza, non ha bisogno di una lunga dimostrazione. Ed è proprio questo che per me […] è assolutamente intollerabile. Io non riesco a poggiare il piede su un grande pressappoco, e su una massa mutevole di particolari che spostano incessantemente la visuale e cambiano nella loro portata». Come nota Carl Braaten «quando parla di questo Cristo [biblico] Kähler ha sempre in mente una serie di effetti esistenti in una ininterrotta continuità dell’uno con l’altro e con il loro ultimo punto di origine. Tra questi [effetti] vi sono la fede del singolo cristiano, la proclamazione del vangelo, la confessione della chiesa, la testimonianza dello Spirito, e la presenza del Cristo risorto in e attraverso questi fenomeni. Non vi è alcun accesso di fede o di comprensione a Gesù Cristo quando uno qualunque di questi elementi è assente o ignorato».

La via di accesso al Cristo biblico, infatti, come afferma Kähler, deve essere immediata e – allo stesso tempo – collocarsi all’interno del più ampio contesto della tradizione della chiesa:  «Fintanto che il cristianesimo vivente dipende dalla persona del Cristo autentico […] fino allora rimane l’esigenza che proprio questo Cristo […] ci sia dato non come ideale, nel lontano futuro, della ricerca scientifica, o come risultato incerto di una disputa tra biografi che ondeggia di qua e di là, bensì in una tradizione che abbia in sé la forza di convincere con la sua autenticità divina. Il dato deve essere appunto “immediatamente raggiungibile” […] Una strada che sia sicura per tutti deve condurre al Cristo di tutta la Bibbia, che finora, nonostante tutti i guasti temporanei, anzi proprio superandoli, ha sostenuto la fede dei cristiani. Per questo io non riesco, dopo tutte le riflessioni, a separare, o anche [p. 129] solo a distinguere, il Cristo autentico e quello biblico. Il “Cristo biblico” è ancora oggi la pietra intorno alla quale la gente si divide. […ma la] parola d’ordine rimane questa: la Bibbia è un libro senza pari perché appunto essa [come dice Lutero] “si occupa di Cristo”». Nella riflessione di Martin Kähler, una delle caratteristiche più interessanti dell’autentico Cristo biblico è il suo non essere storico, nel senso di oggetto della scienza storica, con tutti i limiti finora richiamati, quanto piuttosto il suo essere soprastorico. Sergio Sorrentino cita, dalla seconda edizione del 1893 dell’opera dogmatica principale di Kähler (intitolata La scienza della dottrina cristiana dall’articolo evangelico di base) una definizione di soprastorico come di «ciò che non sarebbe certo presente senza la storia, ma il cui significato non si risolve in quello di un anello nella catena degli effetti storici o anche in quello di un inizio storico, perché in esso l’universalmente valido si congiunge con lo storico in un presente-efficace». Si tratta di una definizione di soprastorico che suggerisce un approccio ricco di potenzialità, perché presenta almeno tre elementi di grande interesse e suscettibili di essere ulteriormente sviluppati. Un primo elemento è il riconoscimento della storia come di qualcosa di cui il cristianesimo non può fare a meno, storia intesa nella molteplicità delle sue dimensioni e degli approcci con i quali la si può affrontare e studiare; un secondo elemento è, d’altra parte, il fatto di non intendere ciò che è definibile come soprastorico come un significato che si risolve nella storia in quanto studiata dalle scienze storiche, sia che si tratti di un effetto storico sia che si tratti dell’essere l’anello iniziale; un terzo elemento è dato dall’intendere il soprastorico come quella realtà nella quale ciò che è valido universalmente e ciò che invece si colloca in uno specifico momento storico si uniscono in una dimensione che Martin Kähler definisce di presente-efficace. Non a caso si tratta di termini (presente ed efficace) che rimandano al significato e alle potenzialità delle parole bibliche, quando vengono accolte con fede dal credente e dalla comunità ecclesiale.

Riferimenti:

Martin Kähler, Il cosiddetto Gesù storico e l’autentico Cristo biblico, D’Auria, Napoli 1992.

Il volume italiano unisce alla prima 1° ediz. tedesca del 1892 che riporta la conferenza di Kähler della quale mantiene il titolo (Die sogenannte historische Jesus und der geschichtliche, biblische Christus, Leipzig 1892) un testo di Kähler del 1896 che viene tradotto con il titolo Il valore della Bibbia per il cristiano consiste principalmente nel fatto che essa contiene documenti storici? (Besteht der Wert der Bibel für den Christen hauptsächlich darin, dass sie geschichtliche Urkunden enthält?, Leipzig 1896).  

Sergio Sorrentino, Introduzione all’edizione italiana. Coscienza storica e fattualità storica. La questione della storia nella lotta ideologica suscitata dall’approccio storico-critico, in Martin Kähler, Il cosiddetto Gesù storico e l’autentico Cristo biblico, D’Auria, Napoli 1992, pp. 5-57.

Carl E. Braaten, Introduction.Revelation, history, and faith in Martin Kähler, in Martin Kähler, Il The so-called historical Jesus and the historic, biblical Christ, Fortress Press, Philadelphia 1964, pp. 1-38.