La violenza e Dio

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

La violenza e la Bibbia – Tutti noi, cristiani ed ebrei credenti, essendo persone religiose, siamo tentati in modo particolare dall’ipocrisia, l’ipocrisia dei giusti, l’ipocrisia dei sani per i quali Gesù ha detto chiaramente di non essere venuto (cf. Mc 2,17 e par.). È l’ipocrisia che ci impedisce di cogliere nella debolezza e nella forza, nella fragilità e nella saldezza delle Scritture la parola di Dio che è presente anche là dove non vorremmo trovarla, perché in quei casi ci sentiamo migliori, più evangelici di certi passi delle Scritture, quasi più evangelici di un Dio che scusia­mo imputando il nostro rigetto a una presunta ‘vecchiaia’ dell’Antico Testamento.

Nelle sante Scritture ci sono parole dure, espressioni che ai nostri orecchi suonano sgradevoli, testimonianze su sentimenti dei credenti ma anche di Dio che ci urtano e qualche volta forse ci scandalizzano. Le Scritture non allettano, raramente seducono, anzi spesso contestano le nostre certezze religiose fino a contraddirle. È vero, numerosi sono i passi delle Scritture in cui Dio, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (cf. Es 3,6.15, ecc.; Mc 12,26 e par.; At 3,13; 7,32), appare nella collera, irato, sdegnato fino a punire con la rovina, la morte e l’annientamento chi contraddice la sua volontà e la sua legge, e non pochi sono i passi in cui Dio stesso, il nostro Dio, ordina l’uccisione, lo sterminio di uomini… Nel II secolo d.C., quando ormai si imponeva una chiesa fatta di pagani (gojim) passati alla fede in Gesù Cristo, Marcione, di fronte a queste difficoltà presentate soprattutto dall’An­tico Testamento alla fede dei credenti, rigettò il Dio e le Scritture dell’Antico Testamento e cercò di vedere nel Dio di Gesù Cristo un Dio nuovo, un Dio degno di questo nome. Naturalmente il suo tentativo di epurare le Scritture non poté fermarsi all’Antico Testamento, ma continuò nella discriminazione dei libri del Nuovo Testamento accettando una parte del vangelo di Luca e dieci lettere paoline. Una logica che mai può essere arrestata quando si intraprende la via marcionita… Si può dire che da allora l’Antico Testamento ha sempre fatto problema ai cristiani che provengono dalle genti e in ogni stagione ecclesiale c’è sempre qualcuno che riparte ogni volta da capo nel contestare tutto ciò che precede il Cristo.

Eppure la chiesa con la sua grande tradizione non ha mai permesso di separare i due Testamenti, ha condannato chi lacera le Scritture, ha sempre proclamato che la parola di Dio è contenuta nelle Scritture di Israele e nelle Scritture dei cristiani in modo inseparabile. Il Nuovo Testamento infatti non solo non può essere compreso ma neppure si sostiene senza l’Antico, e l’Antico trova sì compimento per noi cristiani nel Nuovo, ma in modo non definitivo, perché anche noi attendiamo, al pari degli ebrei, l’avvento ultimo e finale del regno di Dio promesso dall’Antico e dal Nuovo Testamento.

Ma noi siamo cristiani… – Quanto si è detto fin qui credo non possa essere contestato da nessun cristiano che sia fedele alla grande tradizione cattolica; e tuttavia occorre ammettere che la violenza, il castigo, la vendetta di Dio o dei credenti restano un problema per molti lettori della Bibbia. Sì, va detto con chiarezza: un cristiano che non sia ancora giunto alla piena maturità della fede (cf. 1Cor 3,1-3; Ef 4,13; Eb 5,11-14) fatica a conciliare queste espressioni bibliche di violenza con la sua fede e la sua preghiera normate definitivamente da Gesù Cristo e ispirate dallo Spirito Santo. Gesù infatti ha chiesto: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44), «Benedite coloro che vi maledicono» (Lc 6,28), ed è morto in croce pregando a favore dei carnefici: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Anche Paolo e Pietro riprenderanno questo insegnamento: «Benedite quelli che vi perseguitano» (Rm 12,14; cf. 1Pt 3,9); e Stefano morirà a somiglianza del suo Signore dicendo: «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60).

Ora, queste parole-precetti di Gesù sono un’innovazione rispetto alla tradizione giudaica! È vero, nell’Antico Testamento non si trova mai un precetto come: «Odierai il tuo nemico» (cf. Mt 5,43), che Matteo certamente attinge da tradizioni giudaiche non scritturistiche. Si può citare, per es., un passo della Regola della comunità di Qumran, che così esorta i suoi membri: «Bisogna amare tutti i figli della luce […] e odiare tutti i figli della tenebra» (1QS 1,9-10).

Nell’Antico Testamento non su trova neppure in modo chiaro, definitivo, senza condizioni, senza eccezioni e senza restrizioni il precetto dell’amore, della preghiera, della benedizione per il nemico. Ebbene, queste parole-precetti di Gesù sono per il cristiano un’indicazione precisa sia di comportamento che precetti ispiratori della preghiera. Ma allora, com’è possibile restare fedeli a Gesù, al suo insegnamento e al suo spirito, contraddicendo poi nella preghiera questa fedeltà radicale invocando il male, maledicendo i nemici nostri e di Dio, chiedendo per loro distruzione, annientamento, scomparsa? È conciliabile l’amore predicato da Gesù – amore universale, senza limiti né condizioni, fino al nemico – con l’uso nella preghiera, per es., del Salterio che contiene frequenti richieste di vendetta e imprecazioni contro i nemici?

A questo proposito il problema dei cosiddetti ‘salmi imprecatori’, così com’è stato affrontato e ‘risolto’ da oltre quarant’anni a questa parte – cioè con l’espunzione dalla preghiera liturgica, come vedremo più avanti -, ne pone un altro più vasto riguardante la preghiera e il pregare. È una preghiera, quella che fa a meno delle deprecazioni, assai poco biblica e alquanto ideologica, dunque ipocrita, lontana dalla parresia nel rapporto con Dio: verso Dio si grida, si urla nei momenti dell’angoscia, della disperazione, della violenza subita. È una preghiera lontana dalla storia e dal reale male che l’attraversa, dai reali empi e malvagi che sono i prepotenti-onnipotenti che imperversano nella storia. E qui occorre chiedersi: si crede che la preghiera è una potenza che agisce nella storia, una forza da opporre allo strapotere del male e dei malvagi? È una preghiera lontana dagli oppressi, dai poveri, dai senza mezzi, che sono il ‘pasto’ quotidiano di ricchi, ingiusti e oppressori (cf. Sal 14,4; 53,5); lontana da una reale intercessione in favore degli oppressi: pregare contro l’oppressore è pregare con l’oppresso, è invocare e annunciare il giudizio di Dio nella storia e sulla storia.

Ci può essere, in questo, una ‘parzialità’ che disturba il nostro buonismo: in realtà si prega nella storia e non fuori della storia, e la storia non è già redenta, né tutta santificata, ma esige giudizio, opzione, di­scernimento. Ora, questa ‘parzialità’ accetta che la preghiera stessa non sia irreale e ideale, ma intrisa del sangue della storia, scegliendo la parte delle vittime e non degli aguzzini. Solo una visione angelicata della preghiera, una visione ‘sacrale’, può togliere queste invettive! Questa ‘parzialità’, poi, è la meno ideologica perché vuole essere rispondente al Vangelo, al Cristo che da Dio si è fatto uomo, entrando nelle contraddizioni della storia e portando un giudizio, una krísis sull’esistente. L’intercedere del Figlio, il suo procedere dal Padre per venire tra gli uomini, il passo fatto tra Dio e l’umanità trova la sua icona più eloquente nella crocifissione, dove tale intercedere è talmente frammisto al negativo della storia che il Cristo stesso appare peccatore. Ma lì c’è l’insegnamento: la preghiera è ‘storica’, ed è scegliere di stare dalla parte della vittima piuttosto che dell’aguzzino; di essere vittima dell’ingiustizia piuttosto che artefice di essa.

Imprecazioni nel Salterio – Nei centocinquanta salmi e nei numerosi cantici presenti nelle Scritture noi troviamo “parole contro” i nemici, dunque “preghiere contro” che possono creare delle difficoltà a noi cristiani.

Innanzitutto è Dio stesso che attraverso un oracolo promette e chiede la distruzione dei nemici del Messia: «Spezzerai le genti con scettro di ferro, le frantumerai come vasi di argilla» (Sal 2,9); o dei nemici del popolo: «Li farò tornare da Basan […] affinché tu bagni nel loro sangue il tuo piede e la lingua dei tuoi cani abbia il suo pasto tra i nemici (Sal 68,23-24). Ma altre volte è l’orante che chiede a Dio vendetta contro i nemici, gli empi, i persecutori: «Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame» (Sal 5,11), «Arrossiscano e tremino i miei nemici» (Sai 6,11); «Colpiscili con lo spavento, Signore» (Sal 9,21); «Ripagali secondo le loro opere» (Sal 28,4); «Abbatti i popoli» (Sal 56,8); o esprime il suo desiderio di avere i sentimenti di Dio contro i nemici: «I cuori divisi io li odio» (Sal 119,113); «Ho visto chi tradisce e ne ho ribrezzo» (Sal 119,158); «Non odio forse, Signore, quelli che ti odiano? […] Li odio con odio implacabile, li ritengo miei propri nemici» (Sal 13 9,21-22). E si può ricordare anche il Sal 137 in cui le madri che avevano visto uccidere o morire di fame i loro bambini deportati a Babilonia si sentono anche deridere dagli aguzzini che chiedono loro canti di gioia. Esse allora pregano: «Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà il male che ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sfracellerà sulla roccia» (Sal 137,8-9). Ma questo è il grido dei tormentati, dei violentati derisi dagli aguzzini, grido che sale dalla storia fino ai nostri giorni: non è stato così con il nazismo, con lo stalinismo, e più recentemente nell’ex Jugoslavia, in Rwanda, nelle guerre del Golfo o in Siria?

Nel Salterio abbondano queste espressioni in bocca a chi soffre, alla presenza di nemici, nemici suoi personali, nemici di Israele, oppure nemici di Dio: quei nemici che lo perseguitano, lo torturano, gli vogliono dare la morte. Ma, bisogna non dimenticare che sono imprecazioni presenti sempre in salmi di supplica, comunque sempre rivolte a Dio o confessate davanti a Dio. Per questo non sarebbe adeguato, anzi è improprio parlare di salmi ‘imprecatori’, e non è giusto vedervi solo grida di vendetta: sono gemiti, urla, suppliche accorate formulate in situazioni di disperazione. Certamente sono suppliche a volte eccessive; ma chi può mai pesarle e condannarle, se non si è trovato nella stessa situazione di violenza sofferta nella propria persona?

La riforma liturgica del Vaticano II – Già durante i lavori conciliari (1962-1965) alcuni padri avevano chiesto l’espunzione dei salmi imprecatori dall’ufficio divino, e sulle riviste di liturgia e di spiritualità apparvero saggi e contributi pro o contro la presenza di tali salmi nella liturgia cristiana, nonostante la Sacrosanctum Concilium non facesse il minimo accenno a una possibile ferita alla bimillenaria tradizione della chiesa d’occidente e d’oriente (cf. nr. 91, dedicato alla distribuzione dei salmi nell’ufficio divino). Ma, nell’ambito della riforma liturgica, dopo un lungo e tormentato iter, si pervenne alla decisione di escludere salmi e versetti imprecatori. In realtà, la maggioranza dei membri della commissione incaricata della preparazione della nuova Liturgia delle Ore, così come la maggioranza del Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra Liturgia, si espresse sempre in favore del mantenimento dell’integralità del Salterio liturgico, pur concedendo la facoltà, a chi volesse, di sostituire i salmi complessivamente imprecatori (Sal 58, 83 e 109 con Sal 57, 84 e 34) e proponendo di apporre un segno ai versetti imprecatori in modo da poterli omettere nella recitazione. Questa soluzione di compromesso fu però rigettata, il 16 luglio 1968, da Paolo VI con intervento personale autoritativo che ne ordinava l’espunzione. La motivazione di questa censura così suona nella Institutio generalis de Liturgia Horarum (Principi e norme per la Liturgia delle Ore): «L’omissione di questi testi è dovuta unicamente a una certa qual difficoltà psicologica» (Liturgia delle Ore secondo il rito romano, vol I 1989, p.71 – nr. 131); e nella Costituzione apostolica Laudis canticum (1 nov. 1970) si dice: «In questa nuova distribuzione dei salmi sono stati omessi alcuni salmi e versetti dall’espressione al­quanto dura (asperiores), tenendo presenti specialmente le difficoltà che potrebbero nascere dalla loro celebrazione in una lingua moderna» (nr. 4 – p. 17).

È un malessere comprensibile non teoricamente, ma pregando ogni giorno da oltre cinquant’anni il Salterio. Il problema esiste, indubbiamente; ma non si potevano cercare altre vie? Il far prevalere criteri soggettivi o psicologici di fronte alle Scritture non rischia di aprire la strada – purtroppo già imboccata da qualche comunità religiosa – a imprevedibili tagli, a scelte di testi biblici che ne discriminano altri, e a volte addirittura a sostituzioni di brani biblici con brani di spiritualità di altre religioni? «Tutta la Scrittura è ispirata da Dio» (2Tim 3,16), e in ogni parte, anche se con densità diversa, è contenuta la parola di Dio. Quanto ai salmi, è Gesù stesso che in Lc 24,44 dichiara: «È necessario che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi», anche nei salmi imprecatori, ripresi non a caso dal Nuovo Testamento proprio per interpretare la passione di Gesù. L’intenzione di chi ha operato questa espunzione dei versetti o salmi contenenti imprecazioni va capita nella sua finalità pastorale certamente buona, ma la soppressione non è stata una soluzione: si trattava e si tratta di percorrere un’altra via, quella di una catechesi che illumini il senso anche di questi salmi, li spieghi e li interpreti alla luce della passione-resurrezione di Gesù a beneficio di tutti i fedeli, perché crescano fino alla maturità dovuta alla sovraconoscenza del Signore (cf. Ef 4,13).

Bisogna dire ancora che questa espunzione attuata appare frettolosa e sovente arbitraria (Ib. p. 17). Perché sono stati espunti i versetti: «Siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita» (Sal 35,4) e: «Siano svergognati e atterriti tutti insieme quanti attentano alla mia vita» (Sal 40,15), e invece si sono mantenuti i versetti di fatto uguali: «Retrocedano coperti di vergogna quanti desiderano il mio male» (Sal 70,3) e ancora: «Siano confusi e annientati quelli che attentano alla mia vita» (Sa171,13)? Perché e in obbedienza a quale criterio? Perché è stato mantenuto nel Sal 68,23-24 l’oracolo di Dio: «[…] affinché tu bagni nel loro sangue il tuo piede e la lingua dei tuoi cani abbia il suo pasto tra i nemici»? E ancora: perché si sono tolti i segni della collera di Dio e del suo intervento a favore del giusto e si sono mantenuti certi versetti in cui c’è violenza da parte dei giusti nei confronti degli idolatri? È forse meno scandaloso, oppure ai santi è possibile e a Dio no? È lecito espungere dal Salterio il linguaggio duro, le espressioni asperiores? Mutilare il Salterio per ragioni edificanti, mutilare l’Antico Testamento significa diventare più poveri di quella testimonianza in ‘carne e sangue’ che è presente nella Bibbia.

Il Nuovo Testamento e le suppliche imprecatorie – Maledizioni e invettive non si trovano soltanto nell’Antico Testamento e quindi nella preghiera del Salterio, ma si trovano anche nel Nuovo Testamento, nei vangeli e in bocca a Gesù stesso. Purtroppo su questo tema regna molta ideologia, anche antigiudaica, che afferma la superiorità e la perfezione morale del Nuovo Testamento deprezzando e svalutando l’Antico. Negli anni del post-concilio un autore di libri sulla preghiera di grande successo era giunto addirittura a chiedersi, provocatoriamente: «A quando un’epurazione dei salmi? Non è forse una sventura per la chiesa il fatto di pregare una rivelazione in ritardo?» (L. Evely, La prière d’un homme moderne, Paris 1969, 17).

Sembra che alcuni cristiani non conoscano bene il Nuovo Testamento, visto che dimenticano che Gesù ha lanciato invettive contro città della sua terra: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! […] Nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai» (Mt 11,21-23), e che contro i malvagi egli ha detto: «Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno» (Mt 25,41).

Anche Paolo, l’Apostolo di Cristo, usa queste “preghiere contro” quando maledice il mago Elimas dicendogli: «Uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? Ed ecco, dunque, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole» (At 13,10-11). Così pure quando consegna in balìa di satana un credente di Corinto perché incestuoso (cf. 1Cor 5,1-5) e quando invita la comunità a togliere il malvagio di mezzo a essa espellendolo (cf. 1Cor 5,13; Dt 13,6). Perché non ci si ricorda che Paolo chiama i suoi oppositori «cani» (Fil 3,2) e che arriva a consigliare ai suoi concorrenti di farsi castrare (cf. Gal 5,12)?

Sì, il tenore delle “preghiere contro” di Gesù, di Paolo, degli altri apostoli è lo stesso di tanti passi veterotestamentari e del Salterio. Così come nell’Apocalisse il grido dei giusti che chiedono a Dio di fare giustizia e vendicare il loro sangue sugli abitanti della terra (cf. Ap 6,10) e la richiesta contro Babilonia di restituirle il doppio dei suoi delitti, rendendole tormento e afflizione fino a quando sarà bruciata dal fuoco (cf. Ap 18,5-8), si collocano nella stessa linea delle richieste del salmista rivolte al Signore perché intervenga e faccia giustizia.

E poi il Nuovo Testamento riprende più volte le invettive del salmista contro i nemici! «Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità» (Mt 7,23), dice Gesù usando le parole del Sal 6,9; e quando in Mc 12,35-37 interroga gli ascoltatori sul Messia figlio di David ricorda che: «Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi» (Sal 110,1). Gli scrittori stessi del Nuovo Testamento citano o ricorrono formalmente ai salmi per forgiare le loro espressioni che interpretano la passione di Gesù come passione del Servo, del Messia. I nemici di Gesù durante la passione si comportano come i nemici del salmista (cf. Mt 22,15 con Sal 31,14 e 56,6-7; ma anche At 4,27 con Sal 2,2, ecc.); e Gesù vincitore, «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,16), mostrerà la sua vittoria come il Messia del Sal 2,9, che fa una guerra di giustizia pascendo con scettro di ferro i nemici (cf. Ap 19,11 e 2,26-28).

Sì, c’è un combattimento in corso fin dall’inizio del mondo tra il serpente e l’umanità, tra la stirpe del serpente e la stirpe della donna (cf. Gen 3,15): è una lotta metastorica che si svolge nell’invisibile ma che ha avuto la sua epifania eloquente nella passione del Figlio e che avrà l’epifania definitiva nel tempo escatologico quando «l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca» (2Tess 2,8).

Per il momento questa lotta «donec veniat» (1Cor 11,26), «fino a che [Cristo] venga», è attualizzata nella lotta dei cristiani. Questi lottano «infatti non contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,12), combattono con armi che sono verità, giustizia, zelo, parola di Dio, preghiera (cf. Ef 6,13-18), ricevendo però i colpi nella loro carne: vengono imprigionati, torturati, uccisi, e tuttavia pazientano nell’attesa che venga l’ora del giudizio, quando sarà «proprio della giustizia di Dio ricambiare con afflizioni coloro che vi affliggono e a voi, che siete afflitti, dare sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù» (2Ts 1,6-8).

Insomma, non è colpa dei salmi la nostra difficoltà a pregarli, ma è colpa della nostra insufficiente formazione biblica. «È necessario – leggiamo nella Sacrosantum Concilium 90 – che ciascuno, secondo le sue possibilità, si procuri «una maggiore formazione biblica, specialmente riguardo ai salmi» (Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 102, in Liturgia delle Ore secondo il rito romano, vol. I, p. 62). Si potrebbe così evitare una sopravvalutazione ideologica del Nuovo Testamento rispetto all’Antico Testamento, il che presuppone, tra l’altro, una scarsa conoscenza del Nuovo Testamento e una sua immagine più ideale che reale.