Sul segno della croce
Germogli
“germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;
“germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;
“germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).
Alberto Bigarelli
Il segno della croce è un gesto abituale che distingue i credenti e che spesso ripetono senza badarci. Accade che a volte venga fatto in modo così frettoloso, così veloce, da risultare indecifrabile, in un modo così ermetico e maldestro da lasciare sbigottiti. Per non parlare dei calciatori che entrando in campo spesso toccano con la mano il terreno di gioco, si segnano, poi baciano l’indice unito al pollice. Non si capisce cosa sia; forse un segno apotropaico… Vale la pena pensarci su. Ma bisogna farlo partendo da lontano.
La “Tradizione apostolica”, tradizionalmente datata al 215 ed attribuita a Ippolito di Roma (martirizzato nella prima metà del III sec. d.C.) parla esplicitamente dell’uso liturgico e privato di tracciare su di sé, su un oggetto o su altri, il segno della croce (cap. 41). “Benedire”, in tedesco “segnen” sembra d’altronde derivare dal latino signum, tracciare il segno della croce.
Basilio il grande, vescovo di Cesarea in Cappadocia (sec. IV), afferma che il segno della croce è di origine apostolica (De Spiritu Sancto, 27). La più antica rappresentazione della croce invece si trova nel crocifisso del Palatino, della Domus Gelotiana di Caligola: su una croce a forma di tau è appesa una figura con la testa d’asino, rivolta verso un altro personaggio, in posizione di adorazione: «Alessandro adora il suo dio», dice l’iscrizione. Nell’appeso alla croce è messa in ridicolo la figura di Gesù e nell’adoratore la figura del cristiano.
L’origine del segno della croce si deve cercare in realtà nella liturgia battesimale. Il neofita era segnato nel «nome di Gesù». Questo contrassegno a forma di croce sulla fronte era sia un segno di protezione, sia di appartenenza, come pure un segno di elezione e quindi di apertura verso la gloria futura. C’è un testo paolino che sembra alludere ancora più esplicitamente allo svolgimento del rito battesimale: «É Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo (sphragisamenos), e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 2,21). I tre verbi all’aoristo segnano le tappe dell’amministrazione battesimale. Il contrassegno o sigillo è abbastanza caratteristico da esprimere simbolicamente il battesimo stesso nel Pastore di Erma (cap. IX), e nell’iscrizione di Abercius, risalente all’ultimo quarto del II sec. e conservata nel Museo Pio Cristiano di Roma.
Da dove deriva questo segno sulla fronte? Lo troviamo negli eletti delle dodici tribù dell’Apocalisse (7,3; 9,4; 14,1; 22,4). Ma la sua storia è forse più antica e bisogna cercarne l’origine nel libro di Ezechiele: «Segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono… Seguitelo [detto dello scriba ai sei uomini con uno strumento di sterminio in mano che stanno per colpire Gerusalemme] attraverso la città e colpite! Il vostro occhio non perdoni, non abbiate misericordia. Vecchi, giovani, ragazze, bambini e donne, ammazzate fino allo sterminio: solo non toccate chi abbia il tau in fronte» (9,4). Il tau dell’alfabeto ebraico aveva la forma di una croce. Questo segno che originariamente poteva dimostrare l’appartenenza ad un clan, doveva proteggere i fedeli di Jahvè, nel giorno dell’ira. Ha protetto lo stesso Caino (Gn 4,15).
L’Apocalisse fa propria la profezia di Ezechiele e descrive gli eletti dell’agnello, come segnati sulla fronte dal sigillo del possesso divino che li protegge dalle piaghe degli ultimi tempi. “Sulla fronte”, perché sia ben visibile, quando passa l’angelo sterminatore. Anche i condannati portano il marchio della Bestia sulla fronte e sulla mano destra (cf. 13,16; 14,9; 20,4).
Il Pastore di Erma, della prima metà del II sec., che utilizza il termine di sphragis, sigillo per il battesimo, parla ugualmente di «coloro che arrossiscono del nome invocato su di essi» (IX 13,2-3). Il battezzato è colui che porta il nome, cioè il segno tau, il «Nome essendo la manifestazione di Dio in e per il Cristo, in quanto parola incarnata» (Didachè X,2-3). Come dice il “Vangelo di verità”, scritto gnostico del II sec.; «Ora il Nome del Padre è il Verbo. Egli gli ha dato il suo nome. Egli ha il Nome, egli ha il Figlio» (5-6; 11,14-15). Fin dall’epoca apostolica, nell’amministrazione battesimale esisteva un rito in cui si tracciava una croce sulla fronte del neofita, per aggregarlo al popolo messianico ed integrarlo nel gregge del buon pastore; si può qui ricordare il tema rilevante del buon pastore negli antichi battisteri. Oltre al sigillo battesimale questo segno immunizzava il cristiano dai pericoli della vita e dagli assalti del demonio. Il “tau” è il segno della salvezza. Gli antichi autori lo paragonano al serpente di bronzo, nel deserto (Giustino, Apol. 60,3 prolungando Gv 3,14).
Quando il rituale battesimale passa dal mondo giudeo-cristiano, dove è evidente l’allusione profetica ed apocalittica, al mondo della missione, il primitivo significato non è più inteso. Si finisce per interpretare il tau o la croce non più come segno di elezione, ma innanzitutto segno di Cristo; è sinonimo del nome di Gesù: “X” come abbreviazione di Cristo (cf. Barn. 9,8); infine la croce diventa l’emblema della passione, secondo un simbolismo cristiano distaccato dalle sue origini. In Tertulliano di Cartagine (II-III sec. d.C.) troviamo ancora l’interpretazione primitiva del segno escatologico di Ezechiele (Adv. Marcionem 3,22).
Dall’analisi dei testi anteriori alla “Tradizione apostolica” emerge questa conclusione: il segno della croce, originariamente, non si riferisce alla passione di Cristo ma alla profezia di Ezechiele, per contrassegnare gli eletti del regno messianico ed escatologico. Quando la croce indica il nome di Cristo, si riferisce alla sua opera salvifica, dalla prova alla vittoria. A sua volta la “Tradizione apostolica” riporta un rituale battesimale, con due segni distinti. Uno, prima del battesimo, il sabato, in cui il vescovo soffia sul volto e segna la fronte, le orecchie, le narici; l’altro, dopo il battesimo, in cui il celebrante «segna il battezzato sulla fronte» (20,21). Il primo segno è un esorcismo, un’espulsione del demonio, l’altro è il sigillo del Signore sul nuovo eletto, accolto nella comunità. L’efficacia del segno, secondo le tradizioni sia latine che orientali, si trova nella forza dello Spirito che deriva dal battesimo e che con la sua venuta soffia sul battezzato nel momento nell’amministrazione del sacramento; il battezzato è immunizzato nel suo cuore, poiché porta il sigillo del Logos ed è dimora dello Spirito. Tutti i testi, compreso il canone di Ippolito, portano l’esempio di Mosè: il sangue dell’agnello pasquale che protegge le case ebree è tipologico e significa che il cristiano possiede nella fede e per essa la salvezza; grazie all’agnello perfetto, l’agnello vittorioso, realizzatore della salvezza universale. La tradizione biblica (cf. Gv 1,29; 19,36; 1Pt 1,19; 1 Cor 5,7; Eb 9,14; Ap 5,6; ecc.) e apostolica (cf. Ireneo, Adv. Haer., IV,10,1; 33,1; Tertulliano, Adv. Jud. 14,1; Cipriano, Ad Demetr., 22; Origene, In Jesu nave hom. 17,1) esprimono col tema dell’agnello la venuta storica e il ruolo messianico di Cristo, come pure l’insieme della sua opera salvifica, fino alla vittoria della risurrezione.
La “Tradizione apostolica” parla della croce anche come “signum passionis”. Il termine latino “passio” non traduce stauròs (elemento trasversale della croce), ma pathos (passione), imparentato coi verbi paschein, pathein (soffrire, patire, sopportare) ed esprime in greco, nella tradizione asiatica, il mistero della Pasqua, la pascha, l’insieme del mistero pasquale. Come per i greci, anche per i latini passio non significa la sofferenza, ma il mistero e la celebrazione pasquale.
Concludendo queste riflessioni è possibile descrivere le tappe d’un simbolismo che si arricchisce sempre di nuove consonanze. L’ambiente vitale del segno della croce appare chiaramente essere il rito battesimale in cui il neofita è “marchiato” con un segno di elezione. Egli appartiene ormai a Dio e a Cristo e porta il nome del suo sovrano. Questo segno lo protegge, l’immunizza, lo predestina alla gloria divina. Quando si interpreta la croce come Cristo e il suo innalzamento su di essa, questa allora è dossologica, come lo dimostra il vangelo di Giovanni. La crocifissione trova il suo compimento e la sua spiegazione nella vicenda straordinaria di Gesù che termina con la vittoria pasquale. Il “signum passionis” è nello stesso tempo segno di fede nella potenza divina e nella realizzazione della salvezza in cui essa si afferma.
Il segno della croce fa pensare all’importanza che essa ha nella vita cristiana in cui viene ripetuto innumerevoli volte. Questo gesto abituale cela un atteggiamento di attenzione e di venerazione perché richiama Gesù e il suo sacrificio. L’apostolo Paolo dichiara che «la parola della croce è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio» (1Cor 1,18). La croce era per i cristiani arma e potenza contro i nemici visibili e invisibili. Dai primi secoli del cristianesimo si è attribuita alla croce una grande venerazione e un grande valore, perché essa è il simbolo della verità, il simbolo della luce, il simbolo del sacrificio, della grazia di Dio e del suo amore verso l’umanità peccatrice.
La testimonianza di alcuni Padri della chiesa fa riflettere.
Tertulliano (II-III sec.) dice che il segno della croce era in usanza in tutte le circostanze della vita, ancora anche in quelle in cui l’interessamento era minimo; cioè quando si alzavano dal letto, quando si vestivano, quando dormivano, quando uscivano dalla casa, quando accendevano la lampada; a tavola facevano la croce su sé stessi e sui viveri; in breve il segno e il «typos» della croce in qualsiasi affare era il punto di partenza (De corona militis III).
Ignazio di Antiochia di Siria (+107 d.C.), il teoforo, vescovo di Smirne, dichiara: «Il signore di questo mondo (satana) si rallegra quando qualcuno rinnega la croce; sa bene che la confessione di fede sulla croce è per lui rovina; questa croce, veramente, è vittoria contro la sua potenza, guardandola trema e ascoltandola si spaventa» (Lettera ai Filippesi).
Giovanni Crisostomo (arcivescovo di Costantinopoli, sec. IV-V) afferma: «Questo simbolo maledetto ed esecrato che era per la più grande punizione, oggi è diventato desiderato e amabile; neppure la corona reale orna tanto il capo, come la croce, che è il più prezioso ornamento. Prima la croce spaventava tutti, adesso è per tutti difesa, in quanto si trova dappertutto; vicino ai capi, ai sudditi, alle donne, agli uomini, alle vergini… agli schiavi, ai liberi. Infatti, continuamente incidono questo simbolo sulle più importanti parti delle loro membra, e come su una colonna, lo disegnano sulla loro fronte, e lo portano ogni giorno. La croce (la vediamo) sull’altare; questa durante le consacrazioni dei sacerdoti, questa, di nuovo, con il corpo di Cristo, risplende nella cena mistica; questa vede ognuno… nelle case, ai mercati, nei deserti, nelle vie, sulle montagne, nelle valli selvose… nel mare, sulle navi, e sulle isole; sui letti, sui vestiti, sulle armi… nei simposi, sui mobili… sui muri, sui corpi dei cavalli, che hanno sofferto molto, sui corpi che sono assediati dai demoni, nelle guerre, nella pace, nei giorni, nelle notti… » (Omelia VII,4).
Altrove Crisostomo dice: «Tutti sulla nostra fronte portiamo la croce e non soltanto non ce ne vergogniamo, ma con la croce diventiamo veramente belli; la portano non soltanto i semplici cittadini, ma anche quelli che hanno i diademi sulla fronte e che al di sopra di questi portano la croce» (Ib.) Lo stesso Padre dichiara: «Il simbolo della croce è presente dappertutto; perciò lo scriviamo con molto zelo sulle case, sui muri, e sulle finestre, e sulle fronti, e sull’intelletto».
Ancora Crisostomo: «Questa croce teniamo presente a letto e a tavola e dappertutto, ovunque ci troviamo» (Omelia 139).
Atanasio (IV sec., teologo e vescovo di Alessandria), esponendo la vita di s. Antonio di Alessandria, dice che costui per mezzo del segno della croce ha guarito molti indemoniati infedeli, i quali erano stati portati a lui dagli Ellenisti. Dopo la sua invocazione a Cristo «faceva il segno della croce sui sofferenti per due e tre volte, e subito, dopo la loro guarigione, buoni e saggi, glorificavano il Signore».
Teodoro Studita (monaco cristiano bizantino, VIII-IX sec.) dice: «Rappresentiamo la croce unendo due legna; quando, però, qualcuno degli infedeli vorrebbe accusare che questa croce i cristiani adorano come legno, possiamo separare le due legna e sciogliere l’immagine della croce; così possiamo giudicare queste come legna comuni e chiudere la bocca dell’infedele dicendo che questo è legno; noi, però, veneriamo l’immagine della croce».
A s. Gerolamo, (IV-V sec., presbitero gerosolimitano), è stata fatta la seguente domanda: «La Bibbia in nessuna parte permette a voi di venerare la croce; perché, dunque, venerate questa?». Fra l’altro risponde: «… Il giudeo ha venerato l’Arca dell’Alleanza e le due pietre che ha lavorato Mosè: in nessuna parte si è permesso di venerare o baciare questi oggetti; così anche i cristiani, non come Dio la croce baciano, ma così facendo dimostriamo la genuina disposizione della nostra anima verso il crocifisso» (Migne 40,865).
Fozio, Patriarca di Costantinopoli (IX sec.), nella sua prima lettera scrive: «Veneriamo la santa croce, sulla quale si è esteso il corpo del Signore e ha scaturito il suo sangue che ha purificato l’umanità; la natura, dunque, del legno irrigata dal flusso del suo sangue ha germogliato la vita eterna, invece della morte. In questo modo veneriamo l’immagine della croce per mezzo della quale si scacciano le orde dei demoni e si guariscono le varie sofferenze».
Infine il grande teologo s. Giovanni Damasceno (Padre e dottore della Chiesa, VII-VIII sec.) sulla croce dice le seguenti importantissime cose: «Ogni azione e miracolo di Cristo è grande, divina e meravigliosa; però, di tutto più meravigliosa è la sua santa croce; perché con nessun altro mezzo la morte è stata abolita; il peccato del nostro antenato [Adamo] si è sciolto, l’Ade si è sconfitto, la risurrezione è stata donata, è stata data a noi potenza per disprezzare il presente e la morte, è riuscito il ritorno alla prima beatitudine, le porte del paradiso si sono aperte, la nostra natura si è seduta alla destra del Padre, figli di Dio ed eredi siamo diventati, se non con la croce del nostro Signore Gesù Cristo; con la croce sono riuscite tutte queste cose. Tutti noi che siamo battezzati in Cristo, dice l’Apostolo, siamo stati battezzati nella sua morte; tutti noi che siamo battezzati in Cristo siamo vestiti Cristo; Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. La croce ci ha rivestiti con la reale sapienza e potenza di Dio… » (Ediz. Fede ortodossa, 88).
Lo stesso Damasceno dice: «Essa (la croce) ci è stata data sulla fronte come segno allo stesso modo come all’Israele la circoncisione; in verità, con questa i fedeli dagli infedeli siamo separati e ci conosciamo; questa per noi è sigillo, affinché non siamo toccati dal nostro distruttore, come dice la Scrittura; questa è risurrezione per i morti, per i vivi è sostegno, per i pentiti è guida…, per i progressisti è perfezione, è salvezza per l’anima e per il corpo; detesta tutti i mali, è causa di tutti i beni, per il peccato è confutazione, è pianta della risurrezione, legno della vita eterna. Questo santo legno venerabile, sul quale Cristo ha offerto in sacrificio se stesso per noi, santificato con il tatto del suo santo corpo e sangue, dobbiamo venerare; così i chiodi, la lancia, i vestiti, e la sua santa dimora; la quale è: il presepio, la grotta, il Gòlgota, la croce, la vivificante Tomba, la Sion delle Chiese, l’acropoli ed i simili come dice Davide; entriamo nella sua dimora, veneriamo il luogo sul quale sono stati i suoi piedi… ».
Riguardo la venerazione Damasceno dice: «Veneriamo anche l’immagine della santa e vivificante croce, malgrado si faccia con altra materia; è vero che non veneriamo la materia…, ma l’immagine come simbolo di Cristo; egli disse ai suoi discepoli…: si manifesterà il segno del figlio dell’uomo, cioè la croce; su ciò l’angelo della risurrezione diceva anche alle donne; cercate Gesù il Nazareno, il crocifisso; e l’apostolo diceva, noi predichiamo Cristo crocifisso; molti sono quelli che portano il nome di Cristo e Gesù, ma uno è il Crocifisso; non disse colpito dalla lancia, ma crocifisso».
«Veneriamo, dunque, il segno della croce; ove esiste tale segno, lì esiste anche Cristo; la materia, la quale costituisce l’immagine della croce, benché sia d’oro o di pietre preziose, dopo la rottura dell’immagine non dobbiamo venerarla». «Il legno della vita, che è stato piantato da Dio nel Paradiso, ha prefigurato questa santa croce; poiché per mezzo del legno abbiamo la morte, era necessario per mezzo del legno donare la vita e la risurrezione; Giacobbe venerando l’estremità della verga, …benedicendo con le mani i figli di Giuseppe, delinea così chiaramente il segno della croce; la verga di Mosè, colpendo il mare con l’immagine della croce, ha salvato l’Israele e ha affondato Faraone. Con le mani tese in segno di croce hanno vinto Amalek; con questo legno l’acqua amara si fa dolce… il serpente sul legno trionfale, …rappresenta la santa croce del Signore» (Ediz. Fede ortodossa, 88).
Il contenuto di questo n. 42 è liberamente tratto da due contributi pubblicati su “Sapienza della croce oggi 1”, Atti del Convegno Internazionale – Roma 1975, 203-209.510-513.