Riflessioni teologiche – 68. Albert Schweitzer: uscire dal vicolo cieco del Gesù storico

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Il geniale trentenne Albert Schweitzer cerca di uscire dal vicolo cieco della ricerca sul Gesù storico offrendo nel capitolo conclusivo della sua opera alcune indicazioni: accettare il carattere per noi enigmatico ed estraneo della figura di Gesù; rinunciare al tentativo di modernizzarlo; riconoscere che alcuni detti folgoranti ci consegnano l’essenziale di Gesù senza che abbiamo bisogno di provare a ricostruire la sua vita; domandarsi come tradurre nella propria realtà contemporanea la volontà etica che Gesù visse nel proprio tempo, anche se lui attendeva come intervento soprannaturale quel compimento escatologico che noi attendiamo come risultato di un lavoro etico; per questo allora ricercare e coltivare quella volontà comune che consente di stabilire con Gesù un rapporto mistico. Il premio Nobel per la pace conferito a Schweitzer nel 1952 gli riconoscerà l’impegno e la volontà etica di una vita dedicata come medico a curare gli africani.


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riflessioni teologiche 68

Albert Schweitzer tra il 1906 e il 1913, quando completa nella seconda edizione le settecento pagine dedicate a ricostruire la storia della ricerca sulla vita di Gesù, è un precoce e straordinariamente geniale studioso poco più che trentenne, che però si ritrova in un vicolo cieco. Gli autori che dalla seconda metà del Settecento agli inizi del Novecento si sono impegnati nel delineare la figura storica di Gesù ne hanno ricavato, in realtà, ciascuno un proprio autoritratto, idealizzato sul piano umano e religioso. Da questa serie di proiezioni del presente sul passato, invece, poco o nulla risulta riguardo a ciò che Gesù sarebbe stato storicamente. E questo poco che Albert Schweitzer ritiene di poter ricavare – un Gesù predicatore escatologico di un regno di Dio che non è venuto – sembra davvero troppo poco e troppo lontano per poter dire qualcosa di decisivo allo stesso Schweitzer e ai suoi contemporanei. Per questo, nel capitolo conclusivo della sua opera, Albert Schweitzer sembra voler offrire alcune indicazioni su possibili vie d’uscita dal vicolo cieco al quale sembrano destinati tutti coloro che cercano di ricostruire storicamente la vita di Gesù. Si dovrebbe anzitutto accettare che in Gesù vi sia molto di «enigmatico ed estraneo» rispetto a noi e rinunciare, invece, tanto da parte della ricerca storica quando da parte della dogmatica, a ricostruzioni storiche rivelatesi impraticabili, che vorrebbero «sistemarlo comunque erroneamente nel passato» e che mentre cercano di esprimerlo finiscono per smarrirsi «in affermazioni e in frasi dogmatiche», nel «vano tentativo di modernizzare Gesù, di attenuare e di interpretare diversamente tutto ciò che nel suo messaggio è proprio del suo tempo, nella vana speranza di renderlo più grande ai nostri occhi». Accettare questa enigmatica estraneità di Gesù e rinunciare a ricostruzioni storiche rivelatesi impraticabili è il primo passo da compiere se vogliamo, come dice Albert Schweitzer, tenere Gesù «libero per il presente». Per fare questo si deve mettere a fuoco lo snodo critico che collega e insieme distingue ciò possiamo e dobbiamo cercare in Gesù e ciò che invece non è possibile aspettarci dalla figura storica di Gesù. Afferma Albert Schweitzer: «non è necessaria la tutela dei dotti per conoscere e comprendere Gesù. Non è nemmeno necessario che chi è interessato comprenda i singoli particolari dell’attività pubblica di Gesù e sia in grado di formare con essi una “vita di Gesù”. Bastano alcuni detti lapidari per imporre la sua essenza e ciò che egli è e vuole. Lo si conosce senza saper molto di lui».

Secondo Schweitzer nell’approccio ai testi evangelici «non possiamo pensare a distinguere fra il caduco e il permanente, ma solo a tradurre nei nostri concetti il pensiero originario di quella visione del mondo» e prosegue domandandosi: «Come si esprimerebbe nel nostro materiale ideale la volontà di Gesù […] e come riuscirebbe a formare con esso una visione del mondo così eticamente intensa e così forte da poter costituire l’equivalente moderno di quella che Gesù creò nella metafisica tardogiudaica e nell’escatologia?». Ma per rispondere a questa domanda si cade in errore, ogni volta in cui, si cerca, come sottolinea Schweitzer, «di trovare un qualche compromesso tra la visione del mondo di Gesù e la nostra. Questo procedimento ha l’effetto di attenuare gli elementi caratteristici e di colpire anche la volontà che si manifesta in quelle concezioni. Essa perde la sua originarietà e non è più in grado di agire in modo elementare su di noi. Per questo il Gesù della teologia moderna è tanto stranamente privo di vitalità. Lasciato nel suo mondo escatologico, egli è più grande e, pur nella sua estraneità, agisce in modo più elementare e potente». Il piano di ciò che appartiene al mondo storico di Gesù e il piano di ciò che costituisce invece la realtà a noi contemporanea vanno perciò mantenuti distinti e colti nella loro differenza, perché fondamentalmente, come afferma Albert Schweitzer «Gesù non può essere per noi un’autorità della conoscenza, ma solo un’autorità della volontà. Egli ci può determinare solo come uno spirito potente che conferisce ai motivi della nostra volontà e della nostra speranza, […] un’altezza e una chiarezza di cui noi non saremmo capaci se fossimo abbandonati a noi stessi e non sentissimo il fascino della sua personalità. E così la nostra visione del mondo acquisisce una natura essenzialmente identica alla sua, nonostante la diversità degli elementi ideali che la costituiscono, e suscita quelle energie che sono operanti nella sua. Dalla volontà scaturisce il sapere ultimo e più profondo delle cose». Schweitzer prosegue nell’evidenziare le differenze di piani che vanno riconosciute: «Che egli [Gesù] attenda il compimento finale come qualcosa che si attua sovrannaturalmente, mentre noi possiamo comprenderlo soltanto come risultato del lavoro etico, è una conseguenza della trasformazione degli universi ideali. […] Ciò che importa è che noi pensiamo il pensiero del regno da attuare mediante il lavoro etico con la stessa veemenza da cui egli era afferrato quando si concentrava sull’attesa dell’intervento divino, e sappiamo che dobbiamo essere in grado di dare tutto per esso».

Schweitzer spiega in che senso il rapporto con Gesù possa essere considerato un rapporto mistico: «Il nostro rapporto con il Gesù storico deve essere insieme verace e libero. Noi diamo alla storia il suo diritto e ci liberiamo dal suo materiale ideale. Ma ci pieghiamo a quella volontà potente che sta dietro di questo e cerchiamo di servirla nel nostro tempo […] Non dobbiamo tuttavia pensare di possedere l’idea della perfezione etica universale e di ciò che dobbiamo fare nel nostro tempo poiché l’abbiamo ricevuta da Gesù mediante una rivelazione storica. Questa idea è presente in noi ed è data con la volontà etica. Gesù ci aiuta a far sì che domini anche in noi e noi diventiamo forze etiche per il nostro tempo […] Il nostro rapporto con Gesù è in fin dei conti di carattere mistico. E d’altra parte nessuna personalità del passato può venir collocata nel presente in modo vitale mediante una considerazione storica […] Noi possiamo acquisire un legame con essa solo se ci incontriamo nel riconoscimento di una volontà comune, se constatiamo che nella sua volontà la nostra si chiarisce, si allarga e si ravviva e se in essa ritroviamo noi stessi. In questo senso ogni rapporto più profondo tra gli uomini è di carattere mistico e la nostra religione, nella sua specificità cristiana, è non tanto un culto di Gesù, quanto piuttosto una mistica di Gesù. […] Se noi siamo uniti reciprocamente e con lui, nella volontà di porre il regno di Dio sopra tutto per servire a questa fede e a questa speranza, nasce una comunione fra lui e tutti gli uomini di tutte le generazioni che hanno vissuto e vivono nello stesso pensiero». La conclusione di Schweitzer ribadisce la distanza prodotta dalla storia e insieme la possibilità di una rivelazione che potrà essere sperimentata da chi affronterà responsabilmente i compiti della propria epoca: «Le denominazioni tardogiudaiche di Gesù, messia, figlio dell’uomo e figlio di Dio, sono divenute per noi figure storiche. Quando egli stesso riferì a sé questi titoli espresse nello spirito del tempo il senso della sua autocoscienza […]. Noi non troviamo nessuna denominazione che sappia esprimerci la sua essenza. Egli viene verso di noi come uno sconosciuto senza nome, così come si avvicinò sulla riva del lago a quegli uomini che non sapevano chi egli fosse. Pronuncia la stessa parola: Seguimi, e ci pone di fronte ai compiti che deve risolvere la nostra epoca. Egli comanda. E si rivelerà a coloro che gli obbediscono, […]. Si rivelerà nella pace, nell’azione, nelle lotte e nelle sofferenze che costoro vivranno in comunione con lui». Quanto fosse convinto di ciò che affermava nel primo decennio del Novecento Albert Schweitzer lo avrebbe mostrato con il seguito della sua lunga vita e già subito dopo aver terminato la seconda e definitiva edizione del suo libro, trasferendosi già nel 1913 come medico in Africa per impegnarsi nella cura dei malati anche con la fondazione di un ospedale, ricevendo il Nobel per la pace 1952, con la seguente motivazione: “per il suo altruismo, per il rispetto della vita e per l’instancabile impegno umanitario con cui ha contribuito a rendere viva l’idea della fratellanza tra uomini e nazioni”.

Riferimenti:

Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia Editrice, Brescia 1986 (1° ediz. tedesca del 1906, 2° ediz. ampliata 1913)
I testi citati sono tratti dal capitolo 25.