Calendario per la lettura corsiva del N.T.
Germogli
“germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;
“germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;
“germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).
Alberto Bigarelli
Nello spazio e nel tempo, Gesù di Nazaret è lontano da noi. Eppure noi cristiani siamo convinti di poterlo riconoscere nostro contemporaneo, nel nostro vissuto e nelle nostre inquietudini, tanto da giustificare l’invito di affidarci a lui, sapendo che merita questa fiducia. Lo possiamo incontrare attraverso i suoi testimoni. La distanza tra Gesù e noi è colmata anzitutto dal racconto di quanti lo hanno incontrato prima di noi. È un racconto che ci raggiunge attraverso il tempo. Nel corso di venti secoli ci è stata conservata la memoria di quello che Gesù ha fatto e detto. Ci è stata consegnata attraverso la catena ininterrotta dei credenti, che risale fino ai testimoni oculari. Il racconto dei primi testimoni di Gesù sta all’origine dei quattro Vangeli e degli altri testi del Nuovo Testamento: Atti, Lettere apostoliche, Apocalisse. Si tratta della storia appassionata dei primi passi di quanti hanno riconosciuto in Gesù il Signore della loro esistenza. Attraverso la testimonianza di tanti fra i quali molti hanno pagato con il sangue la decisione di seguire Cristo, possiamo conoscere la sua vita e il suo messaggio tuttaltro che convenzionale. Grazie a quegli scritti ci è messa di fronte la possibilità interrogare e ascoltare quesi testimoni, sia per verificarne l’esperienza, che per metterci alla sequela del rabbi di Nazaret. Ci supporta in questo cammino, personale ed ecclesiale insieme, il messaggio di quell’importantissimo documento conciliare che è la Dei Verbum del 1965. È possibile riassumere in cinque punti il suo contenuto.
Innanzitutto i padri del Concilio scelsero di presentare la Parola di Dio in chiave personalistica: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso» (2). Dio non ha rivelato agli uomini delle verità di fede e nemmeno degli eventi storici particolarmente rilevanti. Infatti, al cuore della rivelazione non ci sono primo piano dei dogmi e nemmeno il dispiegarsi della storia biblica, bensì molto più profondamente il Dio che si rivela perché per amore vuole essere conosciuto. Il desiderio di tutti i secoli e di tutte le culture, il desiderio di ogni uomo di vedere Dio, ha finalmente trovato soddisfazione. Come dice l’evangelista Giovanni: «Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio è lui che lo ha rivelato» (1,18). Il documento preparatorio portava il titolo Delle due fonti della rivelazione e si occupava solo della Scrittura e della Tradizione, avendo come scopo quello di chiarire la relazione tra di esse. Esso venne ritenuto giustamente troppo angusto e la sua prospettiva limitata: un terzo dei votanti lo rifiutò. Fu papa Giovanni XXIII ad avere il coraggio di appoggiarsi a costoro per chiedere ad una commissione apposita di elaborarne una stesura totalmente nuova. Il nuovo testo si indirizzò nella giusta direzione, inserendo in apertura un capitolo sulla rivelazione stessa, sul Dio che parla prima che sulla Parola di Dio. Ecco allora la prima grande novità della Dei Verbum: ciò che conta innanzitutto è la bellezza di Dio che vuole rivelarsi, un Dio che per amore mostra finalmente il suo volto. Nella storia della salvezza Dio introduce l’amato per far conoscere la propria intimità: così a Dio è piaciuto fare con gli uomini.
La seconda novità della Dei Verbum consiste nella chiarezza con cui Gesù Cristo viene riconosciuto come il cuore stesso della rivelazione: «Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione» (2). In questa maniera appare subito evidente che il cristianesimo non è una “religione del libro”, ma è la fede nel Dio fattosi carne. La Parola di Dio, conseguentemente, non è in primo luogo la Scrittura, bensì il Verbum Dei è Gesù Cristo. I due termini che specificano nella Dei Verbum il significato di Cristo sono “mediatore” e “pienezza” della rivelazione. Solo da un punto di vista superficiale può apparire che un rapporto immediato con Dio sia più vero di quello mediato da Cristo. Nello stupore che si prova dinanzi al Cristo, l’uomo si accorge che solo attraverso la mediazione della carne di Gesù può abbandonare tutte le false immagini della divinità che si è creato nei secoli. Ma Cristo non è solo il mediatore necessario per giungere a Dio, dato che l’uomo è incapace di “bucare le nubi” per giungere a vedere il volto di Dio. Gesù è anche la pienezza della rivelazione. In Lui Dio si è mostrato totalmente al punto che, contemplando la sua vita, noi arriviamo a dire: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Perché Dio è totalmente presente in Lui. Come dice S. Paolo: «È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). Cristo così eccede la Scrittura, perché solo in Lui Dio parla in maniera piena e definitiva. «La Parola di Dio precede ed eccede la Bibbia. È per questo che la nostra fede non ha al centro soltanto un libro, ma una storia di salvezza e soprattutto una Persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne» (dal discorso tenuto da papa Francesco nell’udienza ai membri della Pontificia Commissione Biblica il 12/4/2013).
Terzo. La Dei Verbum, dopo aver chiarito che cosa è la rivelazione e che essa si compie in Gesù Cristo, può allora passare ad affrontare il rapporto fra Bibbia e Tradizione. Esse non sono più viste dal Concilio come due fonti, perché l’unica fonte è la rivelazione stessa di Dio. Scrittura e Tradizione sono piuttosto i due modi con cui la rivelazione, compiutasi una volta per sempre, si perpetua nel tempo. Per un certo aspetto la Tradizione ha un valore infinitamente più alto della Scrittura. Infatti, nella celebrazione liturgica la Parola di Dio è talmente viva che quando il sacerdote pronuncia le parole «Questo è il mio corpo», Cristo si dona totalmente a chi riceve quel pane. In quelle parole è talmente presente la Parola stessa di Dio che realmente chi mangia dell’Eucarestia riceve Cristo stesso. Per un altro aspetto, la Scrittura ha una qualità infinitamente grande che la Tradizione non ha: avendo Dio ispirato ogni minuzia di quel testo, ecco che esso è la «regola suprema della fede» (8). La Tradizione, senza un continuo rapporto con le Scrittura, si inaridirebbe e perderebbe il contatto con il vero Gesù trasmesso dalla tradizione apostolica. La Tradizione e la Scrittura non possono così stare l’una senza l’altra, anzi «poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine […], ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza» (9).
Quarto – La Dei Verbum passa poi ad illuminare quale debba essere il giusto modo di accostarsi al testo sacro. I padri del Concilio accolsero con riconoscenza i nuovi studi biblici che, attraverso la ricerca storica, permettevano di comprendere sempre meglio il senso originario delle parole bibliche (10). Al contempo il documento ricorda che l’esegesi deve essere guidata dallo stesso Spirito che ha ispirato le Scritture e, per questo, sottolinea alcuni importantissimi criteri spirituali quali l’unità della Scrittura – si veda la tipologia che caratterizza la liturgia -, la viva tradizione della Chiesa (cui è da aggiungere, come fanno i documenti successivi, il concorso dell’esegesi ebraica) e l’analogia della fede (12). L’allora cardinale Ratzinger ricordò in un suo intervento[1] che a modello di questa compresenza del metodo storico e del metodo spirituale nell’interpretazione biblica potevano essere prese le meditazioni del card. Carlo Maria Martini, che era capace di radicare la sua riflessione nel dato filologico del testo, ma insieme ne sapeva manifestare il significato attingendo sia al continuo rimando dei brani dall’Antico al Nuovo Testamento, sia allo splendore dell’interpretazione che i rabbini ed i padri della Chiesa ne avevano fornito.
In particolare la Dei Verbum seppe confermare la Chiesa, grazie all’intervento di papa Paolo VI che richiese l’inserimento di tale espressione nel testo, che «i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza» (18-19). I padri conciliari sottolinearono che, qualunque sia stata la storia redazionale degli scritti neotestamentari, essi «sono di origine apostolica» (20), rispecchiano cioè effettivamente quanto Gesù manifestò ai Dodici.
Infine la Dei Verbum desidera ardentemente che i fedeli si nutrano dei tesori della Parola di Dio, affermando: «Il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” (San Girolamo, Commento ad Isaia, Prologo). Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi […]. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché “quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini”» (22).
In questo paragrafo finale meritatamente famoso tutto quanto la Dei Verbum ha già espresso viene riletto dal punto di vista del dialogo personale di ogni credente con il Signore. Dio che si è rivelato in persona vuole entrare in comunione con ogni uomo e vuole parlargli ancora oggi, tramite la Sacra Scrittura e la viva Tradizione della Chiesa espressa particolarmente, ma non solo, dalla liturgia. È un dono d’amore, una proposta da non rifiutare. Senza dimenticare che «ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona» (2Tim 3,16-17).
Recentemente (2013), ai membri della Pontificia Commissione Biblica papa Francesco ha detto fra l’altro: «… le Sacre Scritture sono la testimonianza in forma scritta della Parola divina, il memoriale canonico che attesta l’evento della Rivelazione. La Parola di Dio, dunque, precede ed eccede la Bibbia. È per questo che la nostra fede non ha al centro soltanto un libro, ma una storia di salvezza e soprattutto una Persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne. Proprio perché l’orizzonte della Parola divina abbraccia e si estende oltre la Scrittura, per comprenderla adeguatamente è necessaria la costante presenza dello Spirito Santo che «guida a tutta la verità» (Gv 16,13). I testi ispirati da Dio sono stati affidati alla comunità dei credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentarne la fede e guidarne la vita di carità. Il rispetto di questa natura profonda delle Scritture condiziona la stessa validità e l’efficacia dell’ermeneutica biblica. Ciò comporta l’insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata ad un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la Tradizione dell’intero Popolo di Dio, che «non può sbagliarsi nel credere» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost dogm. Lumen gentium, 12).
Poste queste premesse, può allora essere meglio apprezzata questa proposta di lettura continua ed integrale dell’intero Nuovo Testamento, da Matteo all’Apocalisse, di cui ho curato un calenario annuale. Questa proposta può ovviare all’incompletezza del ciclo delle letture che ci propone la liturgia eucaristica feriale (ciclo biennale: pari/dispari) o festiva (ciclo triennale A.B.C.). Trovando uno spazio giornaliero di 5/10 mimuti è possibile leggere tutto. In questo caso la continuità può apparire impegnativa ma è essenziale e, a lungo andare, produce molto frutto spirituale.
Il calendario è diviso in colonne verticali – i mesi – e sulle linee orizzontale si trova il giorno del mese e la citazione del brano da leggere. La media di lettura giornaliera è intorno ai venti versetti.
Una particolarità del calendario è quella di far seguire alla lettura di un vangelo quella di alcune lettere apostoliche così da alternare vangelo/lettere evitando di leggere in pochi mesi tutti i vangeli e non tornare ad essi se non dopo molto tempo. Questa scelta può essere discutibile, ma ha il vantaggio di farci rimanere in contatto con la varietà e la ricchezza delle testimonianze degli scrittori sacri.