Letture festive – 52. Insistere – 29a domenica del Tempo Ordinario Anno C
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
29a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 16 ottobre 2022
Dal libro dell’Èsodo – Es 17,8-13
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo – 2 Tm 3,14-4,2
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 18,1-8
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letture festive 52
Il libro dell’Esodo ci presenta un testo che potremmo considerare il fondamento biblico e teologico della preghiera di guerra, cioè di quella preghiera che domanda con insistenza alla divinità la vittoria del proprio esercito, attraverso la sconfitta del nemico, e che domanda con insistenza alla divinità la protezione dei combattenti del proprio esercito, attraverso il loro prevalere con la violenza delle armi sui combattenti dell’esercito nemico. La preghiera di guerra, ben più antica del cristianesimo, non è mai stata davvero abbandonata in venti secoli di storia cristiana – nonostante le isolate voci contrarie – e oggi ha ritrovato purtroppo una tragica attualità. Molti cristiani infatti – persino quando schierati su fronti di guerra che li contrappongono ad altri cristiani – sono ancora sedotti da questa tradizionale insistenza sul valore di una preghiera di guerra, preghiera che peraltro contribuisce inevitabilmente a legittimare la guerra stessa. In questo modo, però, si finisce per insistere nel proiettare su Dio la nostra considerazione della guerra – e della preghiera di guerra che la legittima – come di strumenti in ultima analisi utili e adeguati a far prevalere i buoni sui cattivi, attraverso la violenza delle armi e l’eliminazione del nemico. Si dovrebbe, invece, sostituire l’insistenza della preghiera di guerra, plasticamente rappresentata dalle mani alzate al cielo di Mosè che si fa aiutare dai collaboratori per non doverle mai abbassare, con un’insistenza uguale e contraria nel ricercare le vie di una pace nonviolenta e disarmata. Questa è una causa che meriterebbe davvero l’impegno di tutte le autorità religiose e non religiose e dei loro collaboratori, a partire dall’insistenza sulla necessità e urgenza di un dibattito pubblico e diffuso e di una educazione e formazione capillare e precoce delle coscienze. Dibattito, educazione e formazione dovrebbero riguardare la tragica assurdità e dannosità della guerra e la necessità, invece, di una conversione dei pensieri e delle pratiche belliche e violente in pensieri e pratiche innovative e creative di gestione precoce dei conflitti, attraverso tecniche e modalità nonviolente e disarmate.
L’insistenza di cui parla la seconda lettera a Timoteo riguarda invece l’utilità e l’utilizzo delle sacre Scritture, sia nella formazione dello stesso destinatario della lettera quanto nell’annuncio della Parola rivolto ad altri. L’invito, all’inizio di questo passo neotestamentario, a rimanere saldo e a credere fermamente potrebbe far pensare all’insistere come a una sorta di staticità della posizione inziale, che andrebbe mantenuta nel tempo salda e immutata. In realtà, tutte le ricchezze che possono derivare dall’incontro con la bibbia richiedono al lettore un atteggiamento e comportamento attivo e dinamico, una vera e propria insistenza nell’ascoltare, nel porre domande, nel lasciarsi provocare e interpellare dallo stesso testo biblico. Insistere è, infatti, precisamente ciò che si deve fare con la bibbia, seguendo in questo gli insegnamenti della tradizione ebraica. L’ebraismo, infatti, nella lettura, esegesi e interpretazione del testo biblico, utilizza e attribuisce grande importanza al metodo del midrash, termine collegabile al ricercare con cura, passione e insistenza l’oggetto del proprio indagare. Lo studio delle Scritture, pratica centrale per l’ebraismo di ogni tempo, dovrebbe ritrovare anche oggi – dopo gli slanci poi ridimensionati dell’immediato post-concilio – anche nelle comunità cristiane cattoliche una sua centralità. L’autore della seconda lettera a Timoteo attribuisce alla bibbia tutta una serie di potenzialità: l’istruzione, l’insegnamento, la capacità di convincere, correggere, educare nella giustizia, rendere completi e ben preparati per ogni opera buona. Ma tutto ciò non è una specie di tesoro che si possa estrarre da un forziere sempre accessibile. Si tratta invece del frutto maturo di una insistente frequentazione del testo biblico, di una disponibilità all’ascolto e di una ricerca che non si accontenta del primo apparente significato dei testi biblici, ma scava e insiste nell’interrogarli, anche quando sembrano aver già detto tutto ciò che potevano offrirci. Solo chi insiste in questa ricerca diventa sufficientemente capace e autorevole per rivolgersi agli altri – come ricorda il nostro testo – insistendo al momento opportuno e non opportuno, ammonendo, rimproverando ed esortando con ogni magnanimità e insegnamento.
Il vangelo di Luca sembra collegare il tema dell’insistere alla necessità di una preghiera costante, ma in realtà – come sempre, trattandosi di una parabola – mette in gioco qualcosa di più, che riguarda più profondamente la ricerca di giustizia in un mondo ingiusto e l’impegno effettivo di ciascuno in questa direzione. Del giudice della parabola, infatti, si dice che non teme Dio e che non ha riguardo per alcuno. Potremmo vedere in questo giudice ingiusto una riuscita metafora dell’insieme di quelle forze di varia natura che muovono il mondo e che però sono indifferenti a eventuali finalità di giustizia per gli umani. Nella vedova vessata dall’avversario potremmo vedere invece l’umanità nella sua condizione di massima fragilità e vulnerabilità, un’umanità che – rimasta vedova della giustizia – è alla ricerca per lo meno del necessario per sopravvivere. L’umanità-vedova ricerca ciò che è giusto, necessario e sufficiente per sopravvivere, attraverso un riequilibrio di ciò che il mondo le ha in vari modi sottratto e per questo persevera nella sua insistenza attiva nei confronti del giudice ingiusto. Non sarà, infatti, una conversione del giudice ingiusto alle esigenze della giustizia, ma la perseveranza insistente e attiva della vedova a farle raggiungere l’obiettivo ricercato: più giustizia anche per sé in questo mondo ingiusto. L’ingiustizia del mondo si ritrae, almeno parzialmente, solo davanti all’insistenza di chi non si stanca di ricercare la giustizia. Lo scarto che la parabola compie a questo punto consiste nel porre il suo ascoltatore credente di fronte alle sue responsabilità, come a dirgli: “Tu che lamenti le ingiustizie di cui ti senti vittima, tu che lamenti il ritardo nell’esaudimento delle tue preghiere, sei sicuro di avere davvero quella fede che può rendere efficaci le tue preghiere? Hai dimostrato concretamente e con il tuo atteggiamento e comportamento un’insistenza almeno paragonabile a quella della vedova nel suo impegno per ottenere giustizia? Tanto i con Dio quanto i senza Dio, in quanto ascoltatori della parabola, vengono provocati a valutare il loro grado di insistenza nel ricercare più giustizia. In questo mondo, infatti, che è ingiusto tanto per i con Dio quanto per i senza Dio, la fede richiesta ai discepoli di Gesù consiste precisamente in questa insistente ricerca di giustizia, perché anzitutto da questa insistenza dipende il possibile e desiderato affermarsi di almeno un po’ più di giustizia.