Letture festive – 48. Amministrare – 25a domenica del Tempo Ordinario Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

25a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 18 settembre 2022
Dal libro del profeta Amos – Am 8,4-7
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo – 1 Tm 2,1-8
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 16,1-13


Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 48

La pratica dell’amministrare dovrebbe idealmente consistere nel gestire le risorse affinché possano essere utilizzate e distribuite secondo giustizia tra tutti e a ciascuno. Per questo il profeta Amos, con una critica dalla forte valenza sociale e politica, stigmatizza i programmi speculativi e il ricorso alla frode da parte di alcuni commercianti, i quali amministrano le loro ricchezze per aumentarle a scapito dei poveri. Amministrare significa in questo caso anzitutto massimizzare i profitti, senza disdegnare comportamenti illegali e lucrando sulla debolezza strutturale di coloro – i poveri – che non hanno la forza per difendersi e per far valere i propri diritti. La misura del tempo, per questo tipo di amministratori, è scandita dall’attesa del momento in cui le regole religiose e sociali consentiranno – senza eccessivo scandalo pubblico – di attuare pratiche inique. Il riposo del sabato diventa per costoro un limite mal tollerato ai loro affari, che vorrebbero invece proseguire senza sosta e senza riposo. Nel suo linguaggio religioso Amos fa dire qui al Signore Dio che non dimenticherà tutte le opere di questi spregiudicati amministratori e disonesti operatori commerciali. Potremmo leggervi la convinzione che il tempo amministrato per compiere il male lascia dietro di sé tracce che non rimangono senza conseguenze, per almeno un paio di ragioni: sia perché l’iniquità praticata spesso finisce per rivolgersi contro il suo stesso autore, sia perché alle pratiche amministrative inique si può talvolta contrapporre una memoria che nel tempo riesce ad attivare pratiche di amministrazione della giustizia e queste riescono, in alcuni casi, a restituire a ciascuno ciò a cui ha diritto.

L’autore della prima lettera a Timoteo nel raccomandare la preghiera per gli amministratori della cosa pubblica e in generale per coloro che stanno al potere, introduce uno dei temi più controversi nella storia del cristianesimo e delle chiese. Che si tratti di un tema problematico appare già chiaramente dal fatto che i vangeli descrivono Gesù come un giudicato, condannato e giustiziato dall’amministratore dell’autorità politica e giudiziaria, in nome del potere imperiale romano, pur se con una qualche responsabilità attribuita anche alle autorità religiose. L’obiettivo dichiaratamente strumentale della preghiera viene esplicitato molto chiaramente nei termini della possibilità per i credenti di condurre una vita calma, tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Riguardo ai rapporti con il potere e con i suoi amministratori, i due poli magnetici tra i quali il messaggio cristiano, già dal Nuovo Testamento e fino ad oggi, si pone in un equilibrio precario e in una tensione irrisolta, sono il polo della critica, della denuncia, dell’opposizione e della resistenza fino all’obiezione di coscienza e alla morte – da una parte – e – dall’altra parte – il polo del mantenimento dello status quo quando favorevole, della richiesta di diritti quando mancanti, della sottomissione obbediente all’autorità costituita, della collaborazione attiva, che può essere convinta o estorta, tacita o dichiarata, con un potere che può avere volti positivi e negativi, molto diversi e tra loro radicalmente contrastanti. Il fatto che l’invito a pregare per le autorità che amministrano a vari livelli la società sia rimasto ancora presente nella celebrazione eucaristica odierna dice l’attualità del tema, senza risolverne le ambiguità e rimandando alla necessità di un discernimento intelligente e autenticamente evangelico.

Questo passo dell’evangelista Luca viene intitolato solitamente come parabola dell’amministratore infedele. A ben vedere però, la parabola stessa – senza dubbio una delle più sorprendenti contenute nei vangeli – potrebbe essere definita anche e per buone ragioni come parabola dell’amministratore fedele, dal momento che l’amministratore al termine della parabola viene infine lodato per il suo comportamento disonesto. All’inizio abbiamo, infatti, una sorta di licenziamento di un amministratore economico-finanziario da parte del suo padrone, il quale dà ascolto alle voci che accusano questo suo amministratore di sperperare proprio le ricchezze del suo padrone. Senza approfondire la fondatezza o meno delle accuse, viene raccontata la strategia adottata dall’amministratore, che applica segretamente uno sconto ai debitori del padrone, con l’obiettivo di renderli grati nei propri confronti e quindi disponibili ad aiutarlo nelle prevedibili difficoltà che seguiranno il suo licenziamento. La reazione inattesa del padrone è una lode alla scaltrezza dell’amministratore, che pure viene definito disonesto. Il dispositivo della parabola funziona qui alla perfezione, nel suo collocare l’ascoltatore nella scomoda posizione di dover giudicare eticamente la fedeltà o infedeltà dell’amministratore, tenendo conto del giudizio finale del padrone, che sbilancia completamente l’equilibrio iniziale della parabola e sembra precluderne ogni spiegazione sensata. Le frasi successive alla conclusione della parabola suggeriscono però quella che è forse l’unica via d’uscita praticabile: un invito a considerarci tutti quanti come amministratori di ricchezze che – se considerate dal punto di vista dei poveri che non ne possono godere – non sono mai del tutto giuste e oneste, in quanto frutto – in almeno qualche passaggio del loro accumularsi – di pratiche ingiuste e disoneste. Si tratta, quindi, paradossalmente di ricchezze che vanno gestite con una certa dose di infedeltà, ma in nome di una fedeltà più profonda a ciò che – secondo il vangelo – è l’autentico scopo di ogni ricchezza, quello di essere amministrata per aiutare i poveri. Ben lontani dal ritenerci tutti innocenti e onesti e indipendentemente dall’osservanza più o meno formale delle leggi vigenti, dobbiamo invece tutti riconoscerci in qualche modo – anche quando apparentemente onesti – chiamati a una sorta di fedeltà infedele nell’amministrare le ricchezze che ci sono affidate. A questo, infatti, la parabola ci invita e ci provoca, spingendoci a cercare e trovare le vie per poter amministrare fedelmente – non per conto di un padrone o a favore di noi stessi, ma per conto e a favore dei poveri – ricchezze che sono sempre date per essere amministrate a favore di tutti e di ciascuno, a partire dai poveri che ne sono sprovvisti.