Riflessioni teologiche – 41. Cristianesimo ecumenico e pratiche di comunione (parte 2: RELAZIONI RECIPROCHE MA PROBLEMATICHE TRA CHIESA E FAMIGLIA )

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico, dinamicamente inserito nel processo di riconfigurazione in forma sinodale intrapreso da chiese e comunità cattoliche su impulso di papa Francesco, richiede un rinnovato impegno nel praticare forme di comunione ecclesiale capaci di ampliare la varietà di coloro che potrebbero essere raggiunti o accolti o attivamente coinvolti. Nell’intraprendere questo percorso di ricerca teologica, di esperienza vissuta e di pratiche di sperimentazione ecclesiale potrebbero essere di aiuto diversi approcci teorico-pratici provenienti da alcune fonti di ispirazione: elementi ricavabili dall’esperienza vissuta nelle famiglie, riflessioni sulle comunità di pratica, metodologie per l’ascolto attivo e la gestione dei conflitti, approcci filosofici della teoria dell’attore-rete (ANT) e dell’ontologia orientata agli oggetti (OOO), suggestioni collegate alla nozione di terzo paesaggio e possibili applicazioni di questi approcci alla teologia e alla pratica ecclesiale (parte 2: RELAZIONI RECIPROCHE MA PROBLEMATICHE TRA CHIESA E FAMIGLIA)


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Nell’individuare le pratiche di comunione che potrebbero caratterizzare un cristianesimo radicalmente ecumenico – e insieme i processi di riconfigurazione in chiave sinodale di chiese e comunità – alcuni elementi di ispirazione potrebbero essere ricavati dall’esperienza vissuta nelle famiglie. L’intuizione di una relazione bidirezionale tra chiesa e famiglia, del resto, non è nuova nella tradizione e nella teologia cristiana. La chiesa, da una parte, viene definita da Benedetto XVI al n. 25 della sua enciclica del 2005 Deus charitas est come “la famiglia di Dio nel mondo”, definizione che è diventata anche il titolo di un manuale di ecclesiologia; dall’altra parte di questa relazione bidirezionale, troviamo invece la riflessione sulla famiglia che la vede e la studia come “chiesa domestica”. Si tratta di riletture che, però, devono fare i conti anzitutto con pagine evangeliche difficili, che sembrano affermare una sorta di opposizione tra famiglia e comunità cristiana. Troviamo infatti soprattutto il passo nel quale Gesù sostituisce – nella definizione di madre, fratelli e sorelle – i propri familiari con i discepoli e i componenti della comunità; ma anche la scandalosa esclusione dal discepolato di Gesù di chiunque ami più di lui i propri familiari, persino i più stretti.

I vangeli pongono in questo modo una salutare e permanente domanda critica a ogni tentativo troppo ingenuo di mettere in reciproca relazione chiesa, famiglia e familiari. Davanti alle ricorrenti tentazioni di chiusura egoistica in un ristretto cerchio di congiunti e affini, l’obiettivo principale di questi testi evangelici sembra essere quello di salvaguardare l’apertura tendenzialmente universalistica a cui ogni comunità cristiana è chiamata dalla sua ispirazione evangelica. Si pensi in generale alle chiusure identitarie che caratterizzano spesso la cultura – non a caso definita familistica – di famiglie piccole e grandi, di clan anche non necessariamente mafiosi e in generale di tutti i gruppi esclusivi e perciò escludenti determinate categorie di persone. Si consideri poi la violenza autoritaria insita nell’istituzione giuridica romana del pater familias con il suo potere pressoché assoluto di vita e di morte sui componenti della famiglia. Si ripercorrano infine tutte le declinazioni storiche – comprese quelle veterotestamentarie – della famiglia patriarcale dall’antichità ai nostri giorni, nelle sue forme maschiliste e rigidamente gerarchiche, fino agli esiti estremi delle sue pratiche violente e troppe volte femminicide.

Non sono evidentemente questi i modelli di esperienza vissuta nelle famiglie da cui si potrebbe trarre ispirazione per attuare pratiche di comunione nelle chiese e nelle comunità ecclesiali. Si dovrebbe anzi aggiungere che proprio in alcune somiglianze tra il funzionamento delle comunità ecclesiali e quello delle famiglie patriarcali notiamo alcuni dei limiti e delle problematiche che andrebbero affrontate e superate. Si pensi al clericalismo, al paternalismo e al maschilismo che caratterizzano ancora strutturalmente molte realtà ecclesiali, al di là delle caratteristiche, dei limiti e delle buone intenzioni dei singoli e dei gruppi che ne fanno parte. Pur con queste premesse non precisamente favorevoli, ritengo utile provare a cogliere – nell’esperienza vissuta oggi da tante famiglie che abbiano la fortuna e il pregio di non essere disfunzionali – alcuni specifici elementi di rilevanza ecclesiale. Sono infatti convinto che vi siano proprio in questo tipo di contesto vitale pratiche di comunione che avrebbero qualcosa di interessante e di istruttivo da suggerire a comunità ecclesiali che intendano riconfigurarsi in chiave sinodale e osare un cristianesimo radicalmente ecumenico.

Riferimenti:

Benedetto XVI, Deus charitas est. Lettera enciclica sull’amore cristiano, 2005, n.25
(consultabile sul sito ufficiale del Vaticano).

Erio Castellucci, La famiglia di Dio nel mondo. Manuale di ecclesiologia, Cittadella, Assisi 2008.

Chiesa domestica. La Chiesa-famiglia nella dinamica della missione cristiana. Un profilo unitario a più voci, a cura di E. Castellucci e R. Fabris, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009.

Marco 3,31-34; Matteo 12,46-50; Luca 8,19-21

Matteo 10,37; Luca 14,26