Riflessioni teologiche – 39. Cristianesimo ecumenico e problema della verità (parte 9: SUPERARE SUL PIANO DELLE PRATICHE PROBLEMI DI CONVERGENZA SULLA VERITÀ)
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico richiede un modo diverso di impostare il problema della verità, sul quale l’ecumenismo novecentesco è rimasto bloccato nella ricerca di una convergenza rivelatasi impossibile. Per sciogliere questo nodo della verità servirebbero la reciproca legittimazione – quando inevitabile – della possibilità di errare e l’umiltà di una fede che si vuole proiettata verso la realtà a cui ci orienta il vangelo e non vincolata alle proprie enunciazioni; queste ultime, infatti, devono cercare di essere vere – almeno per il soggetto che le formula – senza però dimenticare di essere fallibili e superabili. Su errori ed enunciazioni riguardanti la verità – elementi di un pluralismo non superabile – andrebbe affermata la prevalenza evangelica dell’amore perdonante, della reciproca accoglienza, del desiderio di unità e delle esperienze concrete di comunione vissuta (parte 9: SUPERARE SUL PIANO DELLE PRATICHE PROBLEMI DI CONVERGENZA SULLA VERITÀ)
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Nel concludere queste riflessioni dedicate al problema della verità e per introdurre la terza condizione, necessaria per osare un cristianesimo radicalmente ecumenico, vorrei ritornare sui problemi collegati ai tentativi ecumenici di convergenza sulla verità che abbiamo rilevato nel numero 32 delle riflessioni teologiche. L’approccio alternativo che abbiamo proposto qui al problema della verità – caratterizzato dalla legittimazione delle contraddizioni e dalla reciproca tolleranza per l’errore – consente, da una parte, di evitare i quattro effetti collaterali evidenziati in quella sede e rivelatori dell’insufficienza del metodo dei dialoghi di convergenza sulla verità. Dall’altra parte, però, questi stessi effetti collaterali dei tentativi di convergenza sulla verità si trovano ad essere in qualche modo trasformati, trasferiti e riproposti sotto altra forma sul terreno dei tentativi e delle pratiche di comunione ecclesiale, tema che costituisce la terza condizione di quel cristianesimo radicalmente ecumenico che stiamo provando a delineare. La speranza è che i nodi problematici – anche se trasferiti sul terreno delle pratiche di comunione ecclesiale e purché affrontati con un desiderio cristiano di unità – possano essere comunque impostati e risolti con maggiori possibilità di riuscita di quanto non avviene sul piano dei dialoghi dottrinali. Può essere utile perciò, a questo punto del nostro percorso, introdurre il passaggio al prossimo tema accennando al modo nel quale i quattro effetti collaterali problematici dei dialoghi sulla verità potrebbero riproporsi sul terreno delle pratiche di comunione ecclesiale.
Il primo possibile effetto collaterale, quello di limitare la libertà dei singoli e delle comunità nella ricerca e nell’espressione della verità o di quella che si ritiene tale, si dovrebbe poter gestire sul terreno delle pratiche di comunione in modo più agevole, attraverso un dialogo rispettoso delle opinioni altrui ma libero e franco, tanto riguardo alle rispettive pratiche ecclesiali già in vigore quanto a possibili modifiche, riforme o anche legittimazioni reciproche di queste stesse pratiche. Riguardo al secondo possibile effetto collaterale, va riconosciuto che anche nell’ambito delle pratiche di comunione ecclesiale esistono questioni, centrali o periferiche, sulle quali si è consapevoli della difficoltà o impossibilità di trovare una convergenza o un accordo soddisfacente e che si preferirebbe quindi non affrontare (tacendole o minimizzandole). Ma il carattere pratico e non dottrinale di un tema controverso consente solitamente – in ambito ecclesiale – di esplicitarlo più liberamente, di affrontarlo più consapevolmente e di ricondurlo quindi alla sua reale dimensione, non solo con maggiori margini di mediazione, ma anche con maggiori possibilità di innovazione, creatività e sperimentazione sul piano delle pratiche ecclesiali.
Il terzo possibile effetto collaterale – la messa tra parentesi delle specificità, che costituiscono buona parte del vissuto cristiano dei singoli e delle chiese – dovrebbe essere affrontato precisamente sul piano delle pratiche ecclesiali di comunione, anche se ciò non garantisce necessariamente la soluzione di tutti i problemi. È infatti anzitutto sul terreno delle pratiche che esiste e viene vissuta e coltivata nelle chiese e nelle comunità cristiane una pluralità di forme già molto diffusa e in gran parte legittimata dalle chiese stesse. Si dovrebbe perciò, per quanto possibile, mantenere sul piano orizzontale delle pratiche ecclesiali (o ricondurre ad esse) la varietà e ricchezza delle tante specificità che caratterizzano il vissuto cristiano di singoli e di comunità. Si dovrebbe di conseguenza rinunciare, per quanto possibile, a tradurre e trasferire tale varietà e ricchezza di specificità sul piano verticale di affermazioni dottrinali di verità alle quali venga richiesta adesione da parte di tutti. Anche il quarto possibile effetto collaterale – la comunione con qualcuno e l’esclusione di qualcun altro – andrebbe superato anzitutto sul piano di pratiche di comunione ecclesiale. Queste pratiche di comunione ecclesiale – pur riconoscendo consonanze e coltivando frequentazioni con alcuni in particolare – dovrebbero rimanere tuttavia multilaterali, non discriminatorie e accoglienti verso tutti, animate da quel desiderio cristiano di unità, che costituisce la prima e irrinunciabile condizione di un cristianesimo radicalmente ecumenico.