Letture festive – 36. Bambini – 14a domenica del Tempo Ordinario Anno C
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
14a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 3 luglio 2022
Dal libro del profeta Isaìa – Is 66,10-14c
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati –Gal 6,14-18
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 10,1-12.17-20
Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 36
Il profeta Isaia si rivolge ai suoi interlocutori come fossero bambini, figli di una madre identificata con Gerusalemme. Si parla, infatti, di allattamento al seno, di essere portati in braccio, di essere accarezzati sulle ginocchia e consolati come una madre consola un figlio. La cornice è quella di una gioia travolgente e di un crescere rigoglioso dell’erba, che tuttavia hanno sullo sfondo rispettivamente un lutto, anche se ormai superato, e ossa che potrebbero essere quelle di un morto o di un vecchio. Il profeta utilizza la metafora del bambino e della condizione infantile per esprimere la condizione dei credenti ma sembra voler evitare ogni idealizzazione illusoria. Richiama infatti la dura realtà del lutto, della morte e di condizioni molto lontane, apparentemente, dalla presunta spensieratezza dell’infanzia. Le caratteristiche delineate qui sono quelle di un credente adulto e segnato dalla vita, durante la quale ha sperimentato il lutto e l’indebolirsi di quelle strutture – rappresentate dalle ossa – che dovrebbero sostenere e consentire di stare in piedi. Si tratta tuttavia di un adulto che riesce ancora a vivere secondo le modalità proprie di un bambino che si mette in relazione con le altre persone (a partire dalla madre) e con il mondo: la capacità di riconoscersi dipendente da un’altra persona, di affidarsi, di lasciarsi nutrire con piacere e in abbondanza, di lasciarsi consolare e rallegrare. Se vissuto in modo adeguato, l’imparare dai bambini a stare al mondo, consente paradossalmente agli adulti di sperimentare la propria umanità in forme più mature.
Il riferimento dell’apostolo Paolo alla condizione dei bambini non è immediato ma, nella sua complessità, particolarmente profondo e ricco di spunti. Nel contesto del mondo ebraico i bambini maschi sono sottoposti alla circoncisione, quale segno di appartenenza al popolo eletto e a Dio stesso. Paolo afferma che ciò che conta non è la circoncisione né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. Sembra quasi che per Paolo l’essere nuova creatura – e nuove creature potrebbe essere un modo di definire i bambini – sia la condizione che qualifica e rende riconoscibili i cristiani, circoncisi o non circoncisi che siano. La forza dell’affermazione di Paolo sta infatti nel sostenere la non rilevanza di un segno – la circoncisione – o del suo opposto – la non circoncisione – a fronte di una realtà: quella di un nuovo modo di essere creatura. Se la creatura è un vivente caratterizzato dalla finitezza e dalla non autosufficienza, Paolo sottolinea l’opportunità di attraversare e interpretare questa condizione in un modo nuovo. Questo modo nuovo, per chiunque voglia accogliere il significato cristiano della croce, non è più vincolato ai segni esteriori della circoncisione o della non circoncisione. In questa direzione va inteso, infatti, il riferimento insistito all’immaginario della croce di Gesù, all’essere crocefisso del mondo per l’apostolo e dell’essere crocefisso dell’apostolo per il mondo, con il suo portare i segni del crocefisso. La croce rappresenta qui simbolicamente il luogo in cui muore, venendo crocefisso, ogni segno che pretenda di sostituirsi alla realtà dell’essere nuova creatura. Ciò che conta è infatti essere nuove creature, bambini che costituiscono una novità indipendentemente dai segni che altri hanno deciso di imporre o non imporre loro.
Nel passo evangelico di Luca i bambini non vengono menzionati, ma i 72 inviati da Gesù presentano nella descrizione dell’evangelista caratteristiche che noi applichiamo spesso ai bambini. Abbiamo quindi queste 72 persone inviate da Gesù, che potremmo chiamare anche apostoli, perché il verbo utilizzato è il medesimo, e che sono allo stesso tempo bambini per le loro caratteristiche e la loro condizione: essere indifesi ed esposti a possibili violenze altrui, non avere con sé il bagaglio di una lunga vita già vissuta, dover ricevere insegnamenti e indicazioni su come comportarsi, iniziare a sperimentare la reazione altrui alle proprie azioni, essere invitati a mangiare quello che viene loro dato, dover imparare a sopportare anche le frustrazioni senza fuggire davanti alle difficoltà cercando subito altro, dire senza filtri e reticenze quello che si sente e si pensa, entusiasmarsi per i successi conseguiti. È interessante notare come il numero 72, qui riferito a questa sorta di inviati-apostoli-bambini, riproponga il numero degli anziani (70 +2) che, secondo il libro dei Numeri, dovrebbero aiutare Mosè nel portare il peso del popolo. Questi 72, grazie allo spirito di Mosè distribuito su di loro, riescono a profetizzare, ma per una volta soltanto. L’evangelista Luca sembra quasi suggerire come l’annuncio del vangelo sia in grado di far ringiovanire fino alla condizione di bambini coloro che vengono inviati a proclamarlo. Si tratta di inviati-apostoli-bambini la cui forza, capace di sconfiggere il male, è maggiore di quella degli anziani, capaci di profetizzare una sola volta. Ma questi stessi inviati-apostoli-bambini devono imparare, per essere fino in fondo bambini, che la vera fonte della gioia non risiede in una potenza distruttiva – fosse pure quella che distrugge il male – ma nel sapersi e sentirsi amati, perché questo è ciò che significa avere i propri nomi scritti nei cieli.
.