Sull’importanza dell’elemosina
Germogli
“germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;
“germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;
“germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).
Alberto Bigarelli
L’elemosina può avere tante sfaccettature. Ne parlo da un punto di vista – se volete – molto ristretto: cioé parlo dell’elemosina fatta dividendo beni o denaro. Non parlo di quella fatta, e può ben esserlo, mettendo a disposizione tempo, competenze, assistenza, ecc. Elemosina sebbene sia è un termine molto chiaro, appare fuori moda; oggi si preferisce usare «aiutare», «condividere», «essere solidali», espressioni che comunque rendono l’idea. Rifletto sull’elemosina a partire dalla Sacra Scrittura.
«Elemosina» è il calco di un termine greco che si incontra nel Nuovo Testamento,“eleemosyne” che significa, in italiano, “compassione” e deriva dal verbo “eleeo” che vuol dire “ho compassione”, “ho misericordia”. Senza andare oltre in questa analisi linguistica, il termine appare piuttosto eloquente e non ha bisogno di spiegazioni.
L’elemosina si rende necessaria perché ci sono i poveri e nella Scrittura ebraica hanno un posto notevole. Sono variamente definiti: ràsh: indigente; dàl: debole, magro; ebiòn: mendicante, affamato; àni: colui che è piegato, abbassato, afflitto.
In seno al popolo d’Israele la Toràh (le Legge mosaica) tutelava i più poveri. Vediamo alcuni testi significativi:
«4 Del resto, non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nel paese che il Signore tuo Dio ti dá in possesso ereditario, 5 purché tu obbedisca fedelmente alla voce del Signore tuo Dio, avendo cura di eseguire tutti questi comandi, che oggi ti dò. 6 Il Signore tuo Dio ti benedirà come ti ha promesso e tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno. 7 Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città del paese che il Signore
tuo Dio ti dá, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; 8 anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. … 10 Dagli generosamente e, quando gli darai, il tuo cuore non si rattristi; perché proprio per questo il Signore Dio tuo ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. 11 Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti dò questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese. 12 Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai via da te libero. 13 Quando lo lascerai andare via libero, non lo rimanderai a mani vuote; 14 gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto; 15 ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato; perciò io ti dò oggi questo comando» (Dt 15,4-8.10-15).
In questo brano, «Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi», è quasi un ritornello oltre ad essere un comando preciso; allo stesso modo l’invito ad essere generosi: «Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso del tuo paese», mostra una viva preoccupazione a vincere ogni grettezza d’animo.
Un altro testo:
«17 Non lederai il diritto dello straniero e dell’orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova, 18 ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; perciò ti comando di fare questa cosa. 19 Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro dell tue mani. 20 Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. 21 Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. 22 Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questa cosa» (Dt 24,17-22).
In questo brano si nominano i poveri: lo straniero, l’orfano e la vedova e si ricorda il loro diritto alla vita, ad essere ospitati e protetti. Le indicazioni sono molto concrete: lasciare sul campo mietuto qualche piccolo fascio di spighe, lasciare sull’olivo qualche oliva e qualche grappolo sulla vite. Questo comportamento virtuoso è motivato dal fatto «che sei stato schiavo nel paese d’Egitto», cioè hai provato l’indigenza e quanto hai gradito ed è stato vitale, in quella circostanza, l’aiuto del tuo prossimo.
Un altro aspetto dell’attenzione della Toràh per i poveri consiste nel non sottoporli ad usura. A questo proposito ecco una pagina eloquente dell’Esodo:
«24 Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’ indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. 25 Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, 26 perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso» (cap. 22).
Questa volta la motivazione ad essere solidali suona come una minaccia: «Altrimenti … ascolterò il suo grido», ed interverrò castigando, si potrebbe aggiungere seguendo la logica dell’ insegnamento di Mosè.
I poveri ci sono, esistono, e non si possono voltar loro le spalle. Due passi biblici a questo proposito:
«7 Dei tuoi beni fà elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. 8 La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, dá molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. 9 Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, 10 poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare tra le tenebre. 11 Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo. ….. Dá il tuo pane a chi ha fame e fà parte dei tuoi vestiti agli ignudi. Dá in elemosina quanto ti sopravanza e il tuo occhio non guardi con malevolenza, quando fai l’elemosina» (Tobia 4,7-11.16).
é una pagina preziosa. Contiene gli insegnamenti di Tobi al figlio Tobia in partenza per un lungo viaggio. In sostanza questa pagina dice che l’elemosina va sempre fatta e che, per l’ebreo religioso è un dovere; essa va donata senza umiliare il povero, va proporzionata alle proprie possibilità, accresce il tesoro dei meriti personali presso Dio e infine salva dall’inferno. Anche il libro del Siracide esorta. con tono paterno, a donare con gentilezza, senza indispettirsi:
«15 Figlio, ai benefici non aggiungere il rimprovero, e a ogni dono parole amare. 16 La rugiada non mitiga forse il calore? Così una parola è più pregiata del dono. 17 Ecco, non vale una parola più di un ricco dono? L’uomo caritatevole offre l’una e l’altro. 18 Lo stolto rimprovera senza riguardo, il dono dell’invidioso fa languire gli occhi (cap. 18).
L’elemosina, come tale, non è una semplice filantropia, ma un atto religioso, accompagnato da motivazioni spirituali. Questo gesto è spesso legato a celebrazioni liturgiche di particolare importanza. La storia di Israele ci offre alcuni utili esempi. Vediamo anzitutto una pagina che racconta il ritorno a Gerusalemme dell’arca dell’alleanza, catturata dai filistei:
«17 Introdussero dunque l’arca del Signore e la collocarono al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide aveva piantata per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. 18 Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti 19 e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua» (2Sam 6).
Se tutto il popolo beneficia del dono regale in quella circostanza gioiosa, anche i poveri hanno ricevuto una focaccia di pane, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa.
Vediamo Neemia che racconta la prima celebrazione pubblica della Parola della Legge dopo il rientro dall’esilio babilonese (sec. VI a.C.) e cosa avvenne in seguito:
« 10 Poi Neemia disse loro: “Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”. 11 I leviti calmavano tutto il popolo dicendo: “Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!”. 12 Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri e a far festa, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate.13 Il secondo giorno i capifamiglia di tutto il popolo, i sacerdoti e i leviti si radunarono presso Esdra lo scriba per esaminare le parole della legge» (cap. 8).
Il giorno in cui riprende il culto, dopo circa ottantanni, è un giorno di consolazione e di festa. Nessuno deve rattristarsi se le strutture liturgiche sono povere rispetto al passato; quello che conta è che la lettura pubblica della Parola di Dio sia ripresa fra la commozione e la riconoscenza generale: «non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”». Anche in questa circostanza non si devono dimenticare i diseredati: anzi occorre «mandare porzioni ai poveri». La generosità verso i poveri fa parte della tradizione legata alle feste. Un altro esempio lo troviamo nel Deuteronomio là dove parla prima della ricorrenza di Shavuòt (Pentecoste che cadeva a maggio) e poi della festa di Sukkòt (metà ottobre):
«11 Gioirai davanti al Signore tuo Dio tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che sarà nelle tue città e l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te, nel luogo che il Signore tuo Dio avrà scelto per stabilirvi il suo nome. …. 14 gioirai in questa tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava e il levita, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno entro le tue città» (Dt 16,11.14; cf. Tob 2,1ss.).
Di taglio più formativo ed esortativo sono alcuni passi dei libri sapienziali. La necessità, l’importanza, la prontezza dell’elemosina sono chiarissime. Nel libro dei Proverbi:
«Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno, se è in tuo potere il farlo. Non dire al tuo prossimo: “Và, ripassa, te lo darò domani”, se tu hai ciò che ti chiede» (3,27s.). «Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli ripagherà la buona azione» (19,17; cf. 11,25).
«Chi ha l’occhio generoso sarà benedetto, perché egli dona del suo pane al povero» (22,9).
«Per chi dà al povero non c’è indigenza, ma chi chiude gli occhi avrà grandi maledizioni» (28,27).
Nel libro del Siracide i detti sapienziali sono più sviluppati:
«Chi ricambia il bene provvede all’avvenire, al momento della sua caduta troverà un sostegno» (3,30). «1 Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. 2 Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. 3 Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. 4 Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall’ indigente. 5 Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l’occasione di maledirti, ……… 8 Porgi l’orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. 9 Strappa l’oppresso dal potere dell’oppressore, non esser pusillanime quando giudichi. 10 Sii come un padre per gli orfani e come un marito per la loro madre e sarai come un figlio dell’Altissimo, ed egli ti amerà più di tua madre (4,1-10).
8 Tuttavia sii longanime con il misero, e non fargli attender troppo l’elemosina. 9 Per il comandamento soccorri il povero, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. 10 Perdi pure denaro per un fratello e amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra. 11 Sfrutta le ricchezze secondo i comandi dell’Altissimo; ti saranno più utili dell’oro. 12 Rinserra l’elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni disgrazia» (29,8-12; cf. Tb 4,7-11.16).
Tutte queste letture dell’Antico Testamento ci portano molto vicino all’insegnamento di Gesù. Nei Vangeli l’elemosina conserva il suo valore, anzi lo accresce perché è posta nel solco di una “giustizia maggiore”. Insieme alla preghiera e al digiuno, diventa uno dei pilastri della vita cristiana (cf. Mt 6,1-18). L’elemosina è molto ammirata soprattutto quando a praticarla sono dei non-ebrei. Qualche esempio:
– Un centurione romano chiede ad alcuni anziani di intercedere presso Gesù perché guarisca un suo servo gravemente ammalato e «Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: “Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga”» (Lc7,5);
– Tabita, una discepola di origine pagana, che «abbondava in opere buone e faceva molte elemosine» (At 9,36) muore. Pietro viene informato, la visita e la risuscita.
– Cornelio, centurione della coorte italica, di stanza a Cesarea Marittima, è descritto come «uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio» (At 10,2).
Nell’insegnamento di Gesù l’invito al distacco dai beni e all’elemosina è molto presente. Riporto alcuni versetti tratti dai sinottici:
– «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33);
– «date e vi sarà dato (da Dio); una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio (da Dio)» (Lc 6,38).
condivisione rimane senza frutto; s.Paolo ci è maestro:
«20 Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. 22 Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! » (1Cor 11).
Chi legge le lettere dell’Apostolo, non può non osservare la costante attenzione di Paolo verso i poveri. In Gal 2,9s. leggiamo: «riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare».
Se ne ricorda organizzando raccolte di denaro per le comunità in difficoltà; ad es. nella lettera ai Romani leggiamo:
«Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità; la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme. L’hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti, avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessità materiali» (15,25-27).
Oppure nella prima ai Corinti:
«Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare, perché non si facciano le collette proprio quando verrò io. Quando poi giungerò, manderò con una mia lettera quelli che voi avrete scelto per portare il dono della vostra liberalità a Gerusalemme» (16,1-3).
Secondo l’Apostolo, il lavoro non è una sorgente di guadagno da riservare tutto per sè, anzi: «Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità» (Ef 4,28). Ogni occasione di guadagno o di arricchimento personale deve prevedere di essere in parte, piccola o grande che sia, destinata a chi è nel bisogno. Su questo torna anche nella seconda lettera ai Corinti:
«7 E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest’opera generosa. 8 Non dico questo per farvene un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri. 9 Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. 10 E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dall’anno passato siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma a desiderarla. 11 Ora dunque realizzatela, perché come vi fu la prontezza del volere, così anche vi sia il compimento, secondo i vostri mezzi. 12 Se infatti c’è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che non possiede. 13 Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. 14 Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: 15 “Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno”» (cap. 8).
La ricchezza dei doni dello Spirito va accompagnata dalla solidarietà affinché Dio sia glorificato (cf. 2Cor 9,11-14); bisogna dunque «seminare con larghezza perché Dio ama chi dona con gioia» (v. 2Cor 9,6ss.).
Concludo citando tre riflessioni tratte dalla tradizione d’Israele del resto molto in linea con la spiritualità biblica:
«La carità è compiuta perfettamente solo se contiene la bontà. Sotto tre aspetti la bontà è più importante della carità: la carità si pratica col denaro, la bontà si pratica col denaro o con la propria persona. La carità è destinata ai poveri, la bontà a poveri e ricchi. La carità è per i vivi, la bontà per i vivi e per i morti» (Sukkàh 46b).
«Se il tuo prossimo ti offre delle lenticchie e in seguito tu gli offri della carne, gli sei ancora debitore perché lui, per primo, ha dato una prova di amore verso dite» (Genesi Rabba 38).
«Anche se dare a un povero tutto l’aiuto del mondo, se lo fate contro cuore è come se non aveste fatto niente. Ma se accogliete un povero con amabilità, anche se non potete fare nulla avete altrettanto merito che se gli aveste dato tutto l’aiuto del mondo» (Talmud).