Riflessioni teologiche – 6. Essere cristiani come assomigliare a Gesù

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Per il teologo Jon Sobrino, l’essere cristiani consiste fondamentalmente nell’assomigliare al Gesù dei Vangeli, nel cercare ispirazione nei cristiani che hanno dato la vita per i poveri e nell’agire in linea con alcune parole chiave: conversione, compassione, speranza e redenzione.


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Un importante contributo nell’esplorazione della fede come esperienza concreta di vita vissuta ci viene dall’ambito della teologia della liberazione, nata in Sudamerica come elaborazione teorica e pratica ispirata al Vangelo, nel contesto sociale, politico e religioso delle lotte per la giustizia, l’eguaglianza e il riscatto dei poveri e degli sfruttati. Il teologo gesuita Jon Sobrino sottolinea con forza il legame che c’è tra Vangelo e realtà concreta, tra fede ed esperienza vissuta nel mondo e nella storia. Sobrino afferma che essere cristiani, prima che credere in Cristo, significa anzitutto assomigliare al Gesù descritto nei vangeli.

È importante notare come Sobrino arrivi a questa affermazione partendo da un evento storico ben preciso: l’uccisione in Salvador il 12 marzo 1977 di un suo confratello gesuita e di due campesinos. In quel momento – afferma Sobrino – ha fatto irruzione un cristianesimo che prima gli era sconosciuto, un cristianesimo profondamente attraversato dalla scelta a favore dei poveri, un cristianesimo caratterizzato dall’essere nello stesso tempo qualcosa di reale e di buono. Che cosa è dunque che rende autenticamente cristiani? Che cosa può davvero portare ad assomigliare a Gesù? Mi pare che alcune risposte offerte da Sobrino a queste domande possano valere anche per senza Dio, che siano disponibili a lasciarsi ispirare dal Vangelo.

Sobrino descrive un processo che parte dal prendere coscienza delle caratteristiche proprie di Gesù, per poi lasciarsi impregnare di spirito evangelico e diventare infine disponibili ad agire, in linea con questo Gesù. Sono 4 le parole chiave che possono accompagnare questo processo; la prima parola è conversione: la conversione richiede lo stare davanti a quello che Sobrino chiama il popolo crocefisso, lasciandosi interpellare da queste domande: «Che cosa abbiamo fatto perché il popolo fosse crocefisso? Che cosa faremo per deporlo dalla croce e perché il popolo possa risorgere?». La seconda parola è compassione: la compassione si trova rappresentata nella figura dell’essere umano esemplare: il buon Samaritano del racconto evangelico; si tratta di una compassione che – restando coerente e gioiosa – deve essere anche disponibile a diventare conflittuale, perché non solo porta ad aiutare coloro che soffrono, ma a difendere le vittime e scontrarsi con i loro carnefici.

La terza parola è speranza: avere speranza e comunicare speranza agli altri è assomigliare a Gesù, ricordando che non solo la resurrezione è simbolo di speranza ma anche la croce, come mostra il fatto che il vescovo salvadoregno Romero, assassinato per amore del suo popolo, continui a generare speranza. La quarta parola è redenzione: redenzione significa prendere sul serio la lotta per sradicare il male, non dall’esterno ma dall’interno, rendendosi disponibili a che il male ci scarichi addosso la sua forza distruttrice, diventando in questo modo simili a Gesù e mantenendo vivo il ricordo dei martiri. Secondo Sobrino possiamo assomigliare a Gesù anche in molte altre cose, come ad esempio il vivere in povertà e senza potere, in umiltà e senza arroganza, non isolati ma in comunità. Tutto questo è la chiesa, il gruppo di esseri umani che seguono Gesù, organizzati in forme concordi con il Vangelo, una chiesa – aggiungerei io – capace di diventare spazio nel quale con Dio e senza Dio possano incontrarsi e accogliersi reciprocamente in nome di un comune Vangelo.

Riferimenti:

J. Sobrino, Essere cristiani oggi, «Concilium», XLVII, 2 (2011), pp. 106-118.