Riflessioni teologiche – 3. Fede come sapere pratico. Approccio alla Bibbia
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
La fede può essere pensata, secondo la teologa Stella Morra, come un sapere vitale fondamentalmente pratico e la Bibbia può essere esplorata – anche dai non credenti – come un territorio che rimanda simbolicamente alle costanti dell’esperienza umana.
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Se parliamo di un Vangelo per senza Dio dovremo parlare anche di una fede che possa essere vissuta da chi è senza Dio. È possibile, infatti, trovare già nell’esperienza di fede descritta dai teologi cristiani alcuni aspetti, per nulla secondari, che a mio avviso possono essere sperimentati anche dai senza Dio. Noi siamo abituati a pensare la fede principalmente come un avere determinate convinzioni religiose e aderire a determinati contenuti riguardanti Dio e la realtà. Anche per i con Dio, tuttavia, ciò è vero solo in parte, perché vi sono altri aspetti del credere che la teologia più recente sottolinea.
La teologa Stella Morra descrive la fede come un sapere che – anche se comporta aspetti informativi e di ragione – ha come scopo quello di trasformare i comportamenti e la vita, per arrivare a quella che i cristiani chiamano conformazione a Cristo, cioè una sorta di naturalezza che porta ad assomigliare a Gesù. Proprio per questo il sapere della fede è un sapere vitale fondamentalmente pratico, in un certo senso simile quello necessario per guidare la macchina o suonare uno strumento. Si tratta cioè di una forma di sapere che inizialmente richiede concentrazione ed esercizio, ma – una volta acquisito – si traduce in modi di agire che diventano quasi spontanei e connaturali.
Ciò non significa, tuttavia, che questa visione della fede come sapere pratico faccia a meno dei testi biblici. Al contrario, la ricognizione che Stella Morra propone di quel territorio che chiamiamo fede si basa anzitutto su un approccio alle Scritture bibliche, che cerca di prendere sul serio le domande e i desideri delle persone comuni, credenti o non credenti. Questo approccio alla Bibbia si propone, su un piano prevalentemente simbolico, di riconoscere nei testi e nelle figure bibliche le costanti dell’esperienza umana; nel fare questo si devono utilizzare lo sguardo dal margine e la tattica del guerrigliero o del bracconiere che, non avendo un territorio proprio, devono sfruttare il tempo e l’occasione propizia per entrare nello spazio dell’altro, senza bisogno di chiedere permesso o essere autorizzati, con una incursione che consente loro di trovare ciò che stanno cercando.
In modo analogo, ci si deve avventurare nell’esplorazione di quel territorio che sono i testi biblici, sui quali nessuno, credente o no che sia, può presumere di possedere esclusivi “diritti d’autore”. Se infatti siamo credenti – fa notare Stella Morra – non possiamo possedere la Scrittura perché è la Parola vivente e non imprigionabile di Dio; se non siamo credenti, non la possiamo possedere ugualmente, perché è un’opera aperta di grande portata culturale e storica; davanti ai testi biblici noi lettori – con Dio o senza Dio – ci troviamo come davanti a qualcosa che non possiamo controllare e che tuttavia ci invita a giocare attivamente il nostro ruolo, dal margine esistenziale nel quale ci troviamo, cercando la tattica migliore per costringere la Bibbia a parlare alla nostra vita.
Riferimenti:
S. Morra, Parole intorno al pozzo. Conversazioni sulla fede, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, pp. 15-27; 120-122.
Le riflessioni biblico-teologiche di Stella Morra sono disponibili – oltre che in volumi pubblicati – anche sul sito dell’Associazione L’Atrio dei Gentili nella sezione Lectio.