Festa di San Giuseppe lavoratore
Per un lavoro che rispetti il creato, custodisca la giustizia e prepari la strada alle generazioni future
Un appello a non sprecare la crisi causata dalla pandemia e a ripartire con un nuovo “vaccino sociale” fondato su legami di solidarietà e dalla forza delle iniziative della società civile. E’ quello lanciato nel corso della celebrazione del 1° maggio 2021, festa di San Giuseppe Lavoratore, dalla chiesa di Carpi, riunita nel santuario dedicato al Santo per la celebrazione eucaristica promossa dalla Commissione per la pastorale sociale e del lavoro e dalle Acli, presieduta dal vicario generale della diocesi di Carpi, monsignor Gildo Manicardi.
La messa del 1° maggio conclude il cammino di preghiera di invocazione a San Giuseppe per la cessazione della pandemia e per l’affidamento di tutte le realtà del lavoro specie le più colpite dalle conseguenze delle misure di contenimento della diffusione del covid-19. Sono stati realizzati tre incontri di preghiera e testimonianze dedicati ai giovani, al lavoro e alla cura delle persone fragili.
Mons. Manicardi: Come credenti condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura
“Uno dei tralci più belli della vite, che è Cristo, è San Giuseppe con il suo stile di silenzio, lavoro, affetto, e rischio di sé per gli altri. Pensiamolo – ha affermato monsignor Manicardi nell’omelia – mentre fugge, emigrante, in Egitto (Mt 2,13ss). Accanto a Giuseppe, Gesù ha imparato «l’umile arte del falegname». È il padre terreno che ha dato alla sua incarnazione questo importante ritocco, anzi questo interessante arricchimento d’umiltà.
Cosa possiamo chieder ea San Giuseppe artigiano per i lavoratori di oggi, in questo 1° maggio 2021? La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico. Nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze e si sono create delle nuove povertà. Quando il blocco dei licenziamenti, finora imposto dai governi, verrà tolto la situazione diventerà drammatica.
Anche per il lavoro e per il futuro economico abbiamo bisogno di vaccini. Il recovery plan dovrebbe funzionare proprio come un vaccino di questo tipo. I Vescovi italiani, però, hanno elaborato un’immagine altrettanto ricca, quando affermano che la pandemia ha bisogno del «vaccino sociale», rappresentato dalla rete di legami di solidarietà e dalla forza delle iniziative della società civile. In questo ambito anche i cristiani e la Chiesa devono farsi onore. Papa Francesco ci ha già avvertiti più volte: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi».
Stasera si chiude anche il cammino dei quattro sabati, in cui abbiamo chiesto a San Giuseppe di esser liberati davvero dalla pandemia. Aggiungiamo un’ultima domanda. San Giuseppe lavoratore ci insegna ad abitare il nostro territorio con le sue potenzialità di innovazione ma anche con le ferite visibili sui volti di molte famiglie e persone in crisi. Come credenti condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura.
Il documento di preparazione a Taranto afferma: … la conversione che ci è chiesta è quella di passare dalla centralità della produzione a quella della generazione: ciò che facciamo non può essere slegato dalle possibilità che lasceremo alle future generazioni … (cf. n. 25). In soldoni. Sembra che non occorrano soltanto, più soldi, ma in realtà anche più figli.
Giuseppe è il Santo del lavoro, ma è anche il padre di Gesù. È lui che guidato il suo bambino e il suo ragazzo dentro la società e che ha insegnato un mestiere al figlio di Maria.
Chiediamo a Lui di sapere ricuperare un gusto serio per un lavoro positivo, per un lavoro che rispetti l’universo, custodisca la giustizia e prepari la strada alle generazioni dei nostri figli e di quanti da noi cercano benessere e vita”.