Perdono e assoluzione

di Gianpaolo Anderlini

L’articolo di Ferdinando Camon (Avvenire del 26 gennaio) e quello di Siobhan Nash Marshall (Avvenire del 31 gennaio) pongono un problema che non può essere facilmente risolto. Da un lato stanno il pentimento e l’assoluzione, che per Hoess come per ogni cattolico si inseriscono in un preciso contesto sacramentale, e dall’altro sta il problema del perdono per i crimini commessi. Non discuto della serietà del pentimento in articulo mortis di chi come Hoess sapeva bene che cosa compiva mentre lo stava compiendo, ma mi pongo il problema del peso dei crimini commessi, della loro non cancellabilità e dell’impossibilità di riparare il mondo e le vite cancellate per sempre.

Non si può trovare soluzione al problema distinguendo due ambiti: il peccato legato al pentimento e all’assoluzione, quindi oggetto di fede e  demandato a uno specifico rito, ed il crimine, oggetto invece di un’azione giudiziaria. Per i crimini commessi Hoess è stato condannato a morte e la forca è ancora visibile ad Auschwitz I, per i peccati è stato assolto dal gesuita che ha raccolto la sua confessione e preso atto del suo pentimento. Il problema che si pone, visto che la formula di assoluzione è “ego te absolvo a peccatis tuis” e non “a criminibus tuis”, è in cosa consista l’assoluzione dato che  nessuno, forse nemmeno Dio, può assolvere da crimini contro l’umanità tanto efferati e comunque dicibili e numerabili perché ciò che è accaduto è verificabile nei numeri e nei fatti ma non nelle sofferenze e nei dolori inferti.

Qual è il peccato commesso da Hoess? Quello di non essere stato cristiano cattolico quando lo doveva essere. Là ad Auschwitz. Tutto il resto è crimine e da quei crimini non si può essere sciolti. Chi afferma, invece, che tale assoluzione sia possibile, mette in discussione la giustizia giusta di Dio. Il sangue del milione e mezzo di morti grida dal suolo ed impedisce a Dio di accogliere il pentimento di chi come Hoess non può (e, qui, uso un termine della tradizione ebraica) avere parte del mondo a venire, perché se ne avesse parte nulla avrebbe più senso nel nostro faticoso lottare per compiere il bene e per essere fedeli al compito che Dio ci ha affidato nel breve scorrere della nostra vita.

Sono profondamente convinto che, di fronte al pentimento e al cambiamento di vita, Dio possa perdonare le colpe e i peccati che commettiamo contro di lui, ma con fermezza affermo anche che nulla egli possa fare per le colpe e per i crimini che commettiamo contro gli altri uomini e contro il mondo creato se nulla facciamo o nulla possiamo fare per riparare ciò che abbiamo incrinato, rotto, distrutto o cancellato. Se in qualche modo (ma non so come) è forse possibile riparare i dolori, le umiliazioni e le sofferenze disumane inferte a chi è uscito ancora vivo dall’abisso di Auschwitz (come da ogni altro abisso), certo non è possibile riparare le vite di tutti coloro che là sono morti, nessuno escluso. Se davvero Hoess si fosse pentito, e le lacrime non bastano a mostrarlo, avrebbe quanto meno dovuto elencare ad uno ad uno i nomi di tutti coloro che là sono morti per colpa sua, diretta od indiretta: un milione mezzo di vite, singole e irripetibili! Questo avrebbe palesato al cospetto della sua coscienza l’impossibilità di chiedere l’assoluzione (il perdono, comunque, non l’avrebbe mai potuto chiedere) per quei crimini. Ma non lo ha fatto e forse è morto in pace con se stesso ma non con tutto ciò che non poteva in alcun modo riparare.

Allora chiediamoci se per continuare a vivere nella speranza che il mondo possa sussistere ancora dopo Auschwitz e nonostante Auschwitz, abbiamo bisogno di un Dio misericordioso o di un Dio giusto. Certamente abbiamo bisogno di entrambi i volti di Dio, ma, qui ed ora, in un mondo che anche per ciò che Hoess ha compiuto e che nessuno può riparare, non conosce ancora cosa sia la giustizia, è il volto del Dio giusto che ci può spingere a continuare a lottare perché la dignità di ogni uomo sia preservata e per fare in modo che si incarnino in noi, per noi e per tutti le parole del profeta Isaia: “opera della giustizia sarà la pace” (Is 32,7).

Gianpaolo Anderlini (gianpaoa@tin.it)